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Papa Ratzinger

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MA COM’E’ TRISTE L’EUROPA DI BENEDETTO XVI
di Giampiero G.
riceviamo e pubblichiamo

L’Europa teorizzata dal card. Ratzinger nel libro «Europa. I suoi fondamenti oggi e domani» (ed. it. San Paolo, 2004) si identifica in toto con la Christenheit, la Cristianità. Dapprima realizzata allo stato embrionale, per opera di Roma, come continente orbitante intorno al Mediterraneo (una sorta di “Grande Europa” in seguito frantumata dall’avanzata dell’Islam: qui Ratzinger riprende evidentemente la nota e discussa tesi di Henri Pirenne), l’Europa vera e propria verrebbe alla luce soltanto in un secondo momento, grazie all’Impero carolingio e a quello bizantino. 

Tre sono gli elementi che, nonostante la macroscopica differenza consistente nel fatto che l’imperatore di Costantinopoli è anche capo della Chiesa, uniscono la cristianità occidentale a quella orientale: 1) la comune eredità della Bibbia e della Chiesa delle origini; 2) l’idea di Sacrum Imperium; 3) il monachesimo. Se, osserva Ratzinger, l’illuminismo e la Rivoluzione francese dissolvono il Sacrum Imperium a favore di un’idea di Stato e di società completamente secolare e profana (evento che determina peraltro l’esplosione del nazionalismo con i suoi esiti distruttivi), la desacralizzazione e la dissoluzione dell’Europa vengono proseguite ulteriormente dalla tecnica, espressione di una razionalità finalizzata esclusivamente alla potenza e all’efficienza materiale. 
Arriviamo così al paradosso tipico della nostra epoca: «la vittoria del mondo tecnico-secolare post-europeo» (dove per “post-europeo” bisogna intendere “post-cristiano”), vale a dire la «universalizzazione del suo modello di vita e della sua maniera di pensare», coincide anche con la sua crisi mortale. Specialmente in Asia e in Africa, scrive Ratzinger, è dato cogliere «l’impressione che il mondo di valori dell’Europa, la sua cultura e la sua fede, ciò su cui si basa la sua identità, sia giunto alla fine e sia propriamente già uscito di scena». Questa impressione è fatta propria, e riproposta dallo stesso Ratzinger non senza punte di ispido vittimismo, attraverso una cruda ma efficace metafora biopolitica: oggi l’Europa si presenta «paralizzata da una crisi del suo sistema circolatorio, una crisi che mette a rischio la sua vita, affidata per così dire a trapianti, che poi però non possono che eliminare la sua identità» (1). 
In questa patologia ci sarebbe qualcosa di cupo e sinistro: l’odio di sé, il vedere della propria storia «soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo», spesso a beneficio di un multiculturalismo che si risolve in mero «abbandono e rinnegamento» delle origini, mentre il matrimonio, la famiglia e la religione sembrano avviati verso una crisi irreversibile. Ma l’ideologia tecno-secolare o laicista si rivela pericolosamente corrosiva anche da un punto di vista politico: nella sua pretesa di «edificare uno Stato della pura ragione» retto unicamente dal «criterio positivistico del principio maggioritario», è facile che questa ideologia presti il fianco a rigurgiti teocratici (come avrebbe detto lo storico greco Polibio, l’oclocrazia, cioè il “regno della quantità”, rappresenta l’anticamera della tirannide). 
Se poi a tutte le riflessioni sulla Krisis fin qui esposte si aggiunge «il fatto che anche etnicamente l’Europa appare sulla via del congedo», la terapia possibile sembra, agli occhi di Ratzinger, una sola: «deve essere nuovamente introdotto il fattore religioso», come già pensava Arnold Toynbee. Eppure non tutto è perduto, sostiene Ratzinger: tocca ora alla «minoranza creativa» e «residuale» dei credenti impegnarsi per la rinascita dell’Europa, cioè della Cristianità. Resta da chiedersi a questo punto se la Chiesa saprà e vorrà riconoscere che il nemico assoluto del Vangelo è proprio l’indifendibile “civiltà” occidentale di oggi (dopo il recente discorso di Ratisbona la risposta appare purtroppo scontata) impegnata in una violenta e senza precedenti opera di mercificazione del mondo… Il problema di fondo mi sembra, però, ancora un altro: mentre Ratzinger deplora giustamente la perdita delle radici e del senso del sacro, ignora del tutto il contributo fondamentale apportato alla costruzione dell’Occidente tradizionale da parte di quella “cristianità perenne” nutrita di contatti e di scambi spirituali con l’Oriente che fu la religio di Dante e Novalis. È una simile Christenheit, meticcia e plurale ma non per questo “relativista”, l’Europa a cui guardare nella legittima ricerca di una più alta spiritualità.

1) Dello stesso inquietante tenore un’affermazione di Benedetto XVI: «È tutto negativo nel mondo di oggi dove Dio è assente. È un mondo oscuro, dove si ha paura di tutto e si ha bisogno di anestesia per poterci vivere» («Corriere della sera», 21.12.2005).

 

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