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VERSO IL CROLLO DELLE BANCHE ITALIANE

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18 luglio. Il legame “perverso” tra debiti privati e debito pubblico. L’Italia verso il default? 

Sappiamo quale sia stato il mantra con cui il pensiero unico neoliberista ha giustificato, con l’appoggio di destra e sinistra, di padroni e sindacalisti di ogni bandiera, le politiche di draconiana austerità e i tagli alla spesa pubblica: “lo stato è pieno di debiti mentre il privato è bello ed efficiente”.

 

Per anni pochi, tra cui i sottoscritti, hanno contestato questa leggenda. Proprio mentre si svolgeva l’offensiva ideologica neoliberista i dati e i numeri raccontavano un’altra storia ma venivano occultati e truccati. Con la crisi sistemica partita dagli Stati Uniti e simboleggiata dal fallimento della grande banca d’affari Lehman Brothers, veniva alla luce che le economie occidentali avevano visto salire la curva dei debiti privati (aziende, banche, famiglie) molto più di quelli degli stati.

 

 

 

Repetita Juvant: il tracollo finanziario del 2008, manifestatosi in terreno finanziario, era la spia di una crisi sistemica, che quindi veniva da molto lontano e aveva molteplici cause. In estrema sintesi: la oramai cronica sovrapproduzione di capitali, con conseguente caduta dei profitti, aveva causato lo spostamento di  enormi masse di capitale monetario nel settore finanziario, di qui il fenomeno del “capitalismo-casinò”. Ad ogni debito corrisponde un credito: la spinta all’indebitamento, facilitata da tassi d’interesse bassi, è funzionale ai creditori-speculatori che, gestendo grandi masse di liquidità (denaro come forma pura del valore di scambio) debbono farle fruttare prestandole.

 

 

Comunque, la leggenda liberista che “lo stato è pieno di debiti mentre il privato è bello ed efficiente”, veniva condita alla amatriciana.

 

Si ricorderanno Berlusconi e Tremonti che si facevano forti del fatto che in Italia il debito pubblico era sì alto ma a questo corrispondeva una bassa esposizione finanziaria del settore privato, e che le nostre banche scoppiavano di salute. In pochi contestammo questo racconto.

 

E’ di particolare importanza, da questo punto di vista, il recentissimo studio compiuto dalla Haver Analytics, un consulente dei grandi investitori finanziari, che sull’esattezza dei numeri fanno affidamento.

 

Tabella n.1 (clicca per ingrandire)

 

Questo studio ci dice che alla fine del 2012 la somma dei debiti di famiglie, imprese, istituzioni finanziarie (banche) e stato ha raggiunto il 400% del Prodotto Interno Lordo (vedi tabelle 1 e 2).

 

Di particolare interesse metodologico è che la Haver Analytics includa, nella stima del debito totale, anche quelli delle banche, un dato che Bankitalia non ha mai considerato nei suoi rapporti, poiché le banche non farebbero “che intermediare prestiti e non cambiano l’esposizione complessiva di un paese con se stesse”. Criterio evidentemente fallace visto che da tempo ormai quasi tutte le banche italiane dopo “le riforme”degli anni ’90 sono state trasformate in banche d’affari, esposte quindi non solo con le operazioni sui derivati, sui mercati finanziari globali. Infatti il debito italiano detenuto all’estero è circa un terzo di quel 400% del PIL. I dati a cui facciamo riferimento sono stati pubblicati da Federico Fubini su La Repubblica del 14 Luglio e solo parzialmente pubblicati dal quotidiano sulla sua edizione telematica.

 

L’analisi di Fubini sui dati di Haver Analytics, per quanto descrittiva è importante. Discutibili ovviamente le sue conclusioni “minimaliste”. 

Tabella n. 2 (clicca per ingrandire)

Se in alcuni paesi è il debito privato ad essere diventato pubblico (ad  essere stato scaricato sulle spalle degli Stati), in Italia, con la crisi del ciclo economico e le politiche di austerità, abbiamo assistito al fenomeno inverso: quello pubblico ha trascinato nel vortice i settori del privato. Mentre le banche italiane si sono messe in pancia circa 400 miliardi di titoli di Stato italiani pregiudicando i loro bilanci (potranno mai portarli all’incasso?), la recessione ha aumentato i crediti in sofferenze e inesigibili. D’altra parte, sul settore privato con profitti in picchiata a  causa della crisi, si è abbattuta la mannaia dell’aumento della pressione fiscale, che è appunto un’altro modo di trasferire gli oneri del debito pubblico.

Per tutte queste ragioni noi ribadiamo quanto andiamo sostenendo: che per quante contromisure la Bce e gli Stati possano mettere in atto, la tendenza in Italia è quella al default combinato di Stato e Banche, a maggior ragione perché non si intravvede la fine della recessione.
Una tendenza che prima o poi, più prima che poi, dovrà esplodere in un collasso improvviso e catastrofico.

 

 

Ecco quanto scrive Fubini:

 

 

«Da quando l’Italia fu ammessa nell’euro nel 1998 all’inizio di quest’anno, il debito privato in Italia è salito di oltre il 130% del Pil.

 

A dicembre 2012 gli oneri finanziari totali del paese (pubblici e privati) erano arrivati a 400,95% del Pil, mentre all’inizio del ’98 era al 264%. E’ su questa cifra che banche, imprese, stato e famiglie devono pagare un interesse reale che sale in proporzione a quanto scende il Pil,

 

Cero, alcuni paesi, la Spagna, la Grecia, il Portogallo o anche l’Olanda, sono arrivati anche oltre. Ma l’Italia non era mai giunta a questo punto nella sua storia unitaria.

 

Gli oneri finanziari che gravano su questa economia in contrazione da due anni sono di circa 6 mila miliardi: l’equivalente di circa 100 mila euro per abitante, neonati, ultra centenari e immigrati inclusi.

 

Peraltro l’unico settore che dal ’98 ha aumentato la sua esposizione solo di poco è quello del quale ci si preoccupa di più: lo Stato.

 

A titolo di confronto, nella precedente crisi finanziaria italiana del 1992 la situazione si presentava diversa. Neanche la Banca d’Italia sembra aver conservato i dati precisi di quell’epoca. Ma mentre nel ’92 il debito pubblico era poco sopra il 120% del Pil, più o meno come oggi, il totale del debito finanziario privato (di famiglie, imprese, istituzioni finanziarie) non arrivava neanche all’80%. Oggi è oltre il 260%. Significa che il debito totale nell’economia, quello pubblico più quello privato, durante la crisi del ’92 era poco più della metà rispetto ad oggi.

 

(…) I dati sulla storia anche recente del debito sono difficili da trovare. E i numeri sul presente cambiano, di molto, secondo come li si conta. Non è tanto il caso del debito dello Stato, né di quello delle famiglie che dal 1998 ad oggi è salito dal 24% al 51% del Pil e resta comunque basso nel confronto con altri paesi. Né è il caso delle banche e delle altre istituzioni finanziarie, il cui debito è cresciuto dal 37% del Pil del 1999 al 109% del 2012 (anche perché è cambiato il modo in cui gli istituti di credito operano sul mercato).

 

E’ per le imprese invece che la situazione appare davvero complessa. La Banca d’Italia stima che il loro debito finanziario (soprattutto prestiti presi dalle banche e bond) fosse all’82% del Pil un anno fa. Haver Analytics include invece nel debito delle imprese anche i derivati e porta il dato al 117% del Pil a fine 2011: si tratta di un calcolo fatto per omogeneità fra paesi sulla base di ciò che la Federal Reserve Usa classifica come debito.

 

Comunque la si stimi, l’esposizione delle imprese resta in forte accelerazione durante il primo decennio del secolo.

 

L’aumento di circa il 30% del Pil (superiore all’aumento del debito pubblico) è anche frutto della scelta da parte degli imprenditori del debito come scorciatoia: prima della grande crisi un fido in banca o un bond costavano poco, appena più che in Germania; dunque meglio indebitarsi che quotarsi in borsa o affrontare i problemi di competitività. Nei primi dieci anni dell’euro le imprese hanno nascosto la loro sottocapitalizzazione accumulando debito, ma ora la musica anche si è fermata. Dal 2010 le aziende sono costrette a perseguire un’austerità privata ancora più dura di quella del governo, contribuendo a rinviare la ripresa e ad alimentare le sofferenze nei bilanci delle banche che hanno prestato loro negli anni con tassi a livelli quasi tedeschi.

Credito deteriorato delle banche italiane

 

 

L’altra faccia della medaglia è invece il beneficio che un sistema indebitato per 6 mila miliardi può trarre da un calo dei tassi d’interesse: se il costo di finanziamento scendesse anche solo di 50-punti base (0,5%) su tutte le scadenze di debito, ciò libererebbe 30 miliardi per la crescita dell’economia. Una piccola riduzione dei tassi si tradurrebbe in una manovra espansiva da due punti di Pil.

 

Difficile dire se ciò succederà presto. Certo, continuare a negare il problema del debito totale, quello che include banche e imprese, rischia di non portare il Paese molto lontano».

 

25 pensieri su “VERSO IL CROLLO DELLE BANCHE ITALIANE”

  1. Anonimo dice:

    Leggermente OTIn qesto articolo di un blog comunista, Antonio Moscato, viene presentato un articolo sul Sudamerica di Eduardo Lucita degli Economistas de Izquierda (EDI).La frase finale è:"In questo contesto conviene tener presente che nella fase delle resistenze ciò che domina è l’anti-neoliberismo ed un certo anti-imperialismo, ma se si deve passare ad un progetto realmente emancipatore, si tratta non solo di promuovere un cambiamento di modello, assolutamente necessario, ma essenzialmente un cambiamento nelle relazioni sociali di produzione e di queste con la natura."Ora il cambio di relazioni sociali di produzione è precisamente quello che chiamavo "cambio nella relazioni sociali e di lavoro".Bisogna capire che questo cambiamento è l'obiettivo ma non solo in quanto è "necessario" in sé ma piuttosto perché senza la promessa di questo cambiamento non avrete MAI l'appoggio del popolo.Non basta disquisire di finanza, occorrono dei paradigmi sociali novi.Link all'articolo:http://antoniomoscato.altervista.org/index.php?option=com_content&view=article&id=1435:america-latina-cambiamenti-strutturali&catid=8:lamerica-latina&Itemid=16

  2. Anonimo dice:

    "Non basta disquisire di finanza, occorrono dei paradigmi sociali nuovi".E' proprio ciò che manca all'MPL, una visione di un paradigma sociale nuovo, poichè quello basato sui rapporti capitalistici di produzione, è alla frutta.Franco

  3. Anonimo dice:

    Io glielo sto dicendo da più di un anno.Prima o poi lo capiranno, non c'è dubbio, ma il problema è che se perdi il tempo giusto non sarai più in grado di utilizzarla come proposta aggregante (e scardinante, fidatevi che è scardinante e costringe gli avversari a rivelare il loro gioco).

  4. Anonimo dice:

    Ossia non è che bisogna mettere in discussione il capitalismo "adesso", non è il momento. Ma bisogna mettere in atto delle politiche che motivino il popolo dandogli forza, unità e coscienza di avere una forza contrattuale; politiche che se attuate renderanno accettabili delle proposte ancora più avanzate.Per di più, come si fa ad opporsi alla richiesta di maggiore mobilità sociale? Poi avere dei motivi economici per negare il welfare e farti credere MA NON PUOI dire esplicitamente che la mobilità sociale è controproducente.L'arma è quella, basta che si capisca che è un'arma.

  5. Anonimo dice:

    "Gli oneri finanziari che gravano su questa economia in contrazione da due anni sono di circa 6 mila miliardi".Si tratta chiaramente di un refuso…

  6. Redazione SollevAzione dice:

    Questo commento è stato eliminato dall’autore.

  7. Redazione SollevAzione dice:

    BASTA!Volete per cortesia stare al contenuto dell'articolo?!?!O dobbiamo dedurre che siete troll?……6mila miliardi di ONERI FINANAZIARINon è un refuso: è la traduzione in € del 400% del Pil.Non confondere gli oneri finanzari (debiti) con gli interessi sul debito.

  8. Anonimo dice:

    Sbaglio o anche durante l'estate scorsa si parlava di crollo e apocalisse durante l'autunno???

  9. Anonimo dice:

    Ma,sogno o son desto?Intanto concordo con l'esortazione dell'autore ad attenersi ai contenuti dell'analisi che mi sembra corretta;e poi,esigenza di un nuovo paradigma sociale?Quale,di grazia?Quello propalato per decenni dai servi del capitale, secondo cui la Storia è finita, e ciò che realmente conta è assecondare le dinamiche "neutrali"del modo di produzione capitalistico,foriero di benessere per tutti,sfruttati e sfruttatori,banchieri e popolo,padroni delle ferriere e lavoratori spremuti in maniera disumana?Che vuol dire nuovo paradigma sociale?Vuol forse dire che le classi con i loro ruolo nella società del capitale non esistono più,assieme alla loro inconciliabilità di interessi?Se si pensa questo,benvenuti nel regno del Nulla!

  10. Anonimo dice:

    Ecco, ci siamo. Quando qualcuno pone un dubbio o una critica ecco che si urla "AL TROLL!! AL TROLL!!" Una volta si urlava, quando non c'era internet, o al fascista o al trozkista deviazionista, ora invece urliamo al troll, effetti della fine della storia, evidentemente..Comunque cari redattori, questi OT io ritengo (ma potrei anche sbagliarmi, per carità) sono un segnale che la gente che vi ascolta e vi segue ha capito l'antifona e che del capitalismò casinò se n'è rotta le scatole. Ma no perchè non gliene freghi nulla, tutt'altro, e che si sono rotti di sentire sempre i soliti discorsi. Un pò come quando alcuni amici utenti del blog se la prendevano con me perchè dicevo sempre le stesse cose. E ci può anche stare, ma io ho i miei motivi, come voi avete i vostri sia chiaro, e non sto di certo a giudicare. Tuttavia i rimembro un vecchio articolo di questo blog del 2009 in cui veniva intervistato un intellettuale di cui purtroppo non ricordo il nome in cui dall'analisi marxiana criticava il fatto che il marxismo è stato si eccellente nell'analizzare il capitale ma lacunoso nell'analisi del fattore lavoro. E temo che anche voi state cadendo nello stesso errore. Per la gioia dei deviazionisti trollisky.Ma comunque come vi ho detto a me non interessa. Io la causa socialista italiana l'ho abbandonata, ora mi concentro su qualcosa di più consono alle problematiche dello stato unitario. La quistione siciliana, che si risolverà con meno europa ma anche meno itaglia.BYIL VILE BRIGANTE

  11. Anonimo dice:

    Ecco, si,bravo occcupati meno dell'"itaglia",anzi non occupartene affatto,sai quanto si perde in "dotte stupidaggini"!Anzi,ancor meglio,riversa il sarcasmo verso la folta schiera di fulminati sulla via di Damasco che riempiono di scempiaggini le pagine di siti comunque interessanti!!

  12. ulisse dice:

    per il vile brigante la quistione siciliana.lì non ci sono arrivati nè i Forconi,nè nessun altro.non è polemica la mia anch'io sono un convinto federalista la sicilia come la sardegna le renderei indipendennti già da subito ma questo lo possiamo realizzare prima sottraendo l'Italia dalle grinfie europeiste poi risistemare la costituzione e poi ci federiamo come popoli liberi altrimenti si rischia di fare la guardia al bidone pieno di rifiuti tossici.con afffettoferraioli domenicohttp://blog.libero.it/terrapagana/view.php?ssonc=408243434

  13. ulisse dice:

    P.S."Per lì" si riferisce all'articolo pubblicato dall'linkiesta e dal sito informareperresistere che ho postato sul mio blog

  14. Anonimo dice:

    Sì, le banche crollano, l'euro implode e il capitalismo esplode.Certo, come no, sicuramente quest'inverno, è matematico.Continuate a spippettarvi, mi raccomando.

  15. Anonimo dice:

    Beh, caro Ulisse, io non capisco perchè si pensi sempre che uno che parli di uscire dall'Italia voglia per forza stare nell'euro. Ci sono dovete rendervene conto che ci sono persone a cui sta sui maroni sia l'Italia e sia l'Europa. Un pò per motivi culturali e anche personali.All'anonimo delle 17.06 manco gli rispondo. E' tempo perso polemizzare coi polemisti.BYIL VILE BRIGANTEPS:I forconi sono anche loro contro l'Europa e l'euro

  16. ulisse dice:

    al vile brigante anche a me stà sul cazzo l'Italia e L'Europa ma per ottenere un obbiettivo c'è bisogno sia di una strategia che di una tattica.Oggi sia per i federalisti che per gli indipendentisti senza prima una fuoriuscita dall'euro-europa non c'è nessuna speranza di cogliere l'obbiettivo.fatto questo dobbiamo rivedere la costituzione che non consente nè federalismo nè tantomeno indipendentismo. (oltre ad altri aggistamenti)solo allora e ripeto solo allora si può intraprende la Via federalista (Carlo Pisacane insegna)che era all'origine della costituzione di uno stato italiano che poi non è avvenuto.perchè c'è stata l'annessione del regno duosiciliano a quello sardo-piemontese.sui forconi ho già più volte sostenuto la loro causa ma in mio intevento era per sottolineare che la storia riportata nell'articolo postato non ha visto la presenza dei forconi a sostenere il Pastore in questione.tutto quì.ferraioli domenico

  17. gengiss dice:

    Cari federalisti/secessionisti (ce ne sono parecchi anche da noi, al nord), vi faccio presente un principio molto semplice. Quanto più uno Stato è piccolo, e quindi debole economicamente e militarmente, tanto più è probabile che non sia autonomo, cioè sia assoggettato politicamente ad una potenza straniera (es. Usa, Nato), ed economicamente al capitale globalizzato (che infatti lavora per frazionare gli Stati non abbastanza "ospitali")

  18. ulisse dice:

    per gengissnoi anche così siamo assoggettati agli USA e alla UE. ovvero al NWOper quanto riguarda la debolezza militare sinceramente sono per lo scioglimento dell'esercito e la sua integrazione in un corpo di protezione civile riconvertendo tutto ciò che è possible a tale scopo.la guerra è bandita dal suolo patrio federalista indipendentista o unitario che sia nel compito della protezione civile c'i sarà il reparto di Autodifesa Popolare.Economicamente è falso in caso di federalismo ci sono comunque regole che valgono per tutta la federazione quindi ….(vedi germania belgio per es)Così come saranno universalizzati i diritti.cosa c'è che non funzionerebbe?

  19. Anonimo dice:

    Anche la Corea del Nord è piccola, anche Cuba è piccola. Non mi pare che dipendano da nessunoIL VILE BRIGANTE

  20. Unknown dice:

    Cari ulisse i Vile Brigante, vi parlo da patriota sardo di sinistra. La via per l'indipendenza è lunga e tortuosa e non riguarda solo l'eventuale separazione da uno stato, ma si intreccia già da oggi con la necessità di superare il capitalismo (in primo luogo il capitalismo iper-finanziario). Le soluzioni tattiche vanno decise fase per fase, quel che è certo è che Sicilia, Sardegna e Sud Italia hanno assoluto bisogno di uno sviluppo il più libero possibile. In termini di lungo periodo il sogno è una federazione mediterranea libera e prospera. Se volete parlare di tutto ciò, magari di fronte a una bella birra, con patrioti di tutta Europa ci vediamo il 2 3 e 4 agosto a Corte (Corsica), per le Ghjurnate Internazionali.

  21. ulisse dice:

    per unknownPer me sarebbe bello esserci ma non posso.Già la fuoriuscita dall'euro-europa non ritieni sia un passaggio obbligato?saluti

  22. Anonimo dice:

    Idem per me Unknow. Ma qualcuno riprenderà l'evento?

  23. Anonimo dice:

    Mentre voi vi spippettate sull' alta finanza davanti a tutti mugolando in coro, La Grassa scrive quello che succederà nell'ormai ex Italia (dando anche un accenno a ciò che è successo nel passato).Il signor La Grassa dice cose giuste ma smadonna contro la classe media che non capisce un cazzo; gli venga il dubbio al signor La Grassa che se la classe media è ignorante la colpa è degli intellettuali venduti o di quelli che si limitano a compiacersi di avere capito.Il compito dell'intellettale è di dare coscienza al popolo mentre La Grassa e Sollevazione pensano che il loro dovere sia farsi le pippe sul fatto che loro (nel loro piccolo) lo avevano detto.Articolo di La Grassahttp://www.conflittiestrategie.it/tutto-ormai-piuttosto-chiaro-di-glg-18-luglio-13

  24. Unknown dice:

    @ulisse. Assolutamente sì.@il vile. Dubito, al limite qualche video. Ma se riesci a liberarti ti consiglio di fare un salto. In effetti dalla Sardegna è abbastanza facile arrivarci, non so come sia dalla Sicilia.

  25. Orchiclasta dice:

    Riporto un brano di icebergfinanza che dissente dal dato del 400% e passa di debito complessivo dell'Italia fornito da Haver Analitics."Sulla spiaggia di Repubblica delle banane è approdato, proveniente dal Corriere della sera Federico Fubini, Addio al “tesoro dei privati“Lo lascio alla Vostra buona volontà e consapevolezza ma nella sostanza si racconta che il debito complessivo del nostro Paese( stato, imprese, famiglie e banche…oltre agli animali ovviamente ) è andato ben oltre il 400 % sulla base della leggendaria casa discografica di analisi Haver Analytics che secondo Fubini sembra possedere dati che neanche la Banca d’Italia possiede risalenti all’altrettanto leggendario 1992. Eravamo a 314 nel secondo trimestre 2011 chissà come ha fatto l’italia a superare il 400 % miracoli statistici ed econometrici suppongo…"Trovi il post su http://icebergfinanza.finanza.com/2013/07/17/italia-tutto-a-nostra-insaputa/

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