M5S FA LA FRITTATA: SILVANA SCIARRA IN CORTE COSTITUZIONALE.
9 novembre. «Dopo 21 scrutini e oltre due mesi il Parlamento ha eletto il primo giudice della Corte costituzionale: si tratta di Silvana Sciarra, candidata dal Partito democratico e sostenuta anche dal M5S. La docente dell’università di Firenze ha ottenuto 630 voti, incassando sessanta voti in più dei 570 richiesti. In mattinata era arrivato l’esito del referendum online organizzato dal blog di Beppe Grillo che aveva visto un plebiscito per la professoressa, con oltre l’88% dei voti favorevoli da parte dei militanti pentastellati». (la repubblica del 6 novembre).
Per capire quali siano le idee di Silvana Sciarra consigliamo di leggere l’articolo qui sotto. Si tratta di un’eurista convinta, favorevole ad ulteriori cessioni di sovranità, e per questo il Pd renziano l’ha candidata. La composizione della Corte costituzionale, quella che alcuni considerano “l’ultima barriera che si poteva opporre” allo sventramento della Costituzione”, viene quindi ulteriormente alterata a favore del partito eurista.
Paura d’Europa. Come vincerla?
L’ultimo volume di Silvana Sciarra, una delle più importanti giuslavoriste italiane, è quanto mai attuale: cosa si può fare per contrastare la paura dell’Europa che si è diffusa in particolare nel mondo del lavoro dipendente, oltre che tra settori sindacali che quel mondo rappresentano sul piano sociale? Se si impone la narrativa secondo la quale l’integrazione europea concerne i mercati e le banche, ma non il lavoro e la società, allora sarà inevitabile la resistenza a quel processo. Se l’integrazione europea verrà percepita come un processo finalizzato a smantellare i sistemi giuridici nazionali, il cui scopo è quello di proteggere il lavoro e le relazioni sindacali, allora sarà inevitabile che larghi settori sociali finiscano per interpretare quell’integrazione come una minaccia ai sistemi di welfare e di contrattazione collettiva. Fu questa percezione, dopo tutto, che portò buona parte delle organizzazioni sindacali francesi a mobilitarsi contro il Trattato Costituzionale, nel referendum che lo bocciò clamorosamente nel maggio del 2005. Silvana Sciarra ricostruisce con sapienza giuridica e sensibilità culturale le ragioni della paura dell’Europa, ma anche le possibilità di sperimentazione di strategie istituzionali e di policy per superare quella paura.
Sulle ragioni della paura dell’Europa, Sciarra riconosce che le politiche comunitarie del lavoro hanno dovuto scontarsi con il dramma di una crisi economica senza precedenti, ma anche con le difficoltà provenienti dalla loro natura intergovernativa. Gli impegni assunti dall’Unione Europea con progetti a favore del lavoro quali “Lisbona 2000” o più recentemente “Europa 2020” si sono tradotti, dice Sciarra, in esercizi declamatori più che in azioni effettive. Probabilmente, ciò è dovuto a quel approccio intergovernativo, noto come “Metodo aperto di coordinamento”, finalizzato a produrre cambiamenti nelle politiche attraverso la cooperazione volontaria dei governi nazionali. Anche se la Commissione europea si è molto impegnata a fornire informazioni sulle pratiche migliori nel campo delle politiche del lavoro, a registrare i punti di debolezza dei mercati del lavoro domestici, a proporre politiche (come la flexsecurity) che avrebbero potuto favorire esiti virtuosi per l’occupazione, tale sforzo non ha prodotto gli esiti sperati proprio perché i governi nazionali sono stati liberi di accogliere o meno le proposte avanzate. Tali proposte, non sostenute da un ragionevole sistema sanzionatorio, non hanno potuto tradursi in una maggiore integrazione dei mercati del lavoro e dei loro sistemi di governance.
Sulle possibilità per superare la paura dell’Europa, l’analisi di Sciarra è di una precisione e profondità rimarchevoli. La formazione di un mercato europeo è un’opportunità, non una minaccia, per il mondo del lavoro. E, comunque, è del tutto fallace pensare di potere difendere posizioni acquisite di welfare e di contrattazione rinchiudendosi nei sistemi giuridici nazionali. Occorre aprire i mercati del lavoro nazionali e contemporaneamente elaborare sistemi regolativi del loro funzionamento adeguati rispetto ai valori fondativi della civiltà europea del lavoro.
Per aprire i mercati del lavoro, consentendo trasferimenti da Paesi in crisi ad altri in crescita, molto può essere fatto per proteggere i diritti sociali di chi si trasferisce, per vedere riconosciute esperienze e acquisizioni precedenti, per garantire rientri che riconoscano il lavoro svolto in altri Stati membri nella fase successiva di stabilizzazione del ciclo. È indubbio, infatti, che la rigidità dei mercati del lavoro europei, impedendo la mobilità tra Stati membri in cui c’è carenza di lavoratori ed altri in cui c’è carenza di lavoro, abbia costituito un fattore di esacerbazione della disoccupazione generata dall’attuale crisi finanziaria. Per elaborare nuovi sistemi regolativi, Sciarra offre molte indicazioni, basandosi su proposte comunitarie, su iniziative delle parti sociali, su documenti di organizzazioni del lavoro e dell’impresa transnazionali.
Silvana Sciarra, L’Europa e il lavoro, Solidarietà e conflitto in tempi di crisi, Roma-Bari, Laterza, pagg. 116, € 15,00
Eccola in video la prescelta del M5S.
Il malinteso è tutto contenuto in questa frase: ""È indubbio, infatti, che la rigidità dei mercati del lavoro europei, impedendo la mobilità tra Stati membri in cui c'è carenza di lavoratori ed altri in cui c'è carenza di lavoro, abbia costituito un fattore di esacerbazione della disoccupazione generata dall'attuale crisi finanziaria."" La cecità di questo personaggio è la stessa condivisa dai gevernanti al potere, che continuano a vedere l'origine della crisi o l'ostacolo al suo superamento unicamente nella "rigidità del mercato del lavoro" mentre osannano alla libertà di movimenti di capitali e sedi fiscali delle imprese (non a caso proprio illussemburghese Junker è salito al potere nell'UE !). Se dovesse prevalere questa sciagurata concezione d'Europa si cementerebbe ed aggraverebbe la disparità di sviluppo dei vari Paesi, alcuni avviati verso uno sviluppo accelerato fondato sulla moderazione salariale dei lavoratori in alcuni Paesi o parti di essi(Germania Occidentale) e sul sottosviluppo degli altri (Paesi mediterranei ed ex RDT) trasformati in serbatoi di manodopera "a domanda" ed a basso prezzo.