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IL DEMAGOGO E LE SUE CARTE FALSE di Leonardo Mazzei

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[ 17 aprile ]

Dalla legge elettorale truffa alle previsioni economiche del governo del bomba e che non si possono mantenere».

Demagogia: «l’accattivarsi il favore delle masse popolari con discorsi semplici ma privi di sostanza e con promesse che non si possono mantenere».
Insomma, avete capito, l’arte di prendere per i fondelli. Quella in cui eccelle Matteo Renzi, alias il Bomba, così perfettamente fotografato dal dizionario Garzanti.

La sua furia devastatrice ha fretta di arrivare ad una legge elettorale confezionata su misura, passo decisivo verso lo stravolgimento dei principi costituzionali e l’instaurazione di un vero regime. La minoranza del suo partito protesta, e Rosy Bindi parla di “cinismo”. Sai che scoperta! E che novità! La notizia ci sarebbe solo se l’opposizione interna al Pd decidesse una buona volta la rottura. Che lo faccia ora, dopo aver fatto passare il Jobs act e i primi due voti sulla controriforma istituzionale, può sembrare strano, ma non mettiamo limiti alla Provvidenza.

La verità è che il Bomba ha fretta di incassare la legge elettorale anche in vista delle elezioni regionali del 31 maggio. L’anno scorso si presentò alle europee con i famosi “80 euro”, quest’anno deve inventarsi qualcos’altro, ed il “tesoretto” di cui si parla è davvero cosa troppo misera. Dunque la legge elettorale dovrà servire come trofeo, come la prova provata di chi comanda. Di chi ha saputo infinocchiare tanto l’ex cavaliere che l’ex segretario del suo partito.

Nella sua narrazione, da spendere negli spot elettorali di maggio, l’Italicum dovrà essere la prova che finalmente «si decide». Con il manifesto sottinteso che l’importante è decidere, non tanto la sostanza delle decisioni. Sostanza obbrobriosa dal punto di vista democratico, ma di un obbrobrio non troppo comprensibile per un popolo bombardato da 30 anni (trenta) dal dogma della governabilità.

Il 31 maggio Renzi vorrà fare cappotto. Impresa non facilissima (specie in Veneto e Campania), ma non impossibile. Con la destra in crisi e frantumata, con un M5S che non ha certo il suo forte nelle regionali, è naturale che il demagogo punti ad incassare un nuovo successo elettorale. Successo prevedibilmente reso monco da un astensionismo in fortissima crescita, ma questo è un altro discorso, sul quale peraltro Renzi può fare ben poco.

Il demagogo ha bisogno di un successo per rafforzare il suo potere prima che le sue promesse sulla ripresa economica si rivelino per quello che sono: aria fritta allo stato puro.

In generale, Renzi sa di avere dalla sua alcuni punti di forza: 1. la crisi, o comunque la difficoltà, dei suoi competitori; 2. il fatto che, dopo tanta “antipolitica”, l’idea dell'”uomo solo al comando” piace; 3. la favorevole congiuntura politica in Europa, dove la guerra di Berlino ad Atene lascia qualche margine ad un governo di Roma messosi ordinatamente in riga al seguito della Germania.

Ma ci sono anche i punti deboli: 1. il consenso è solo relativo, perché il Pd ha soltanto una maggioranza relativa tra coloro (in forte calo) che votano; 2. sulla situazione economica l’Italia è al palo e le illusioni sulla fine della crisi svaniranno assai presto; 3. a quel punto il vantaggio dell'”uomo solo al comando”, potrebbe trasformarsi nella solitudine di chi ha fatto volutamente terra bruciata attorno a se.

Non solo, mentre la particolare congiuntura europea potrebbe mutare, prima o poi – ma più prima che poi – scoppierà un’altra bolla finanziaria, quella che oggi il quantitative easing di Draghi alimenta bellamente.

Il nodo decisivo resta dunque quello della crisi. Ed è sui dati economici che il demagogo dà il meglio di se. E’ questo il caso delle previsioni contenute nel Def (Documento di economia e finanza) 2015, varato dal governo la scorsa settimana.

Il Def: liberismo ed austerità in attesa di qualche miracolo. Intanto, balle a gogò

In generale il Def 2015 non differisce in nulla da quello del 2014. Stessa politica liberista, fondata su tagli e privatizzazioni. Stessa adesione alle stringenti regole europee. Come al solito si chiede all’UE un po’ di flessibilità, questa volta come premio per l’avvenuta distruzione di ogni diritto dei lavoratori. E come tradizione si disegnano i soliti illusori scenari, che visto che non si realizzano mai vengono sempre spostati – con un copia-incolla, si direbbe – all’anno successivo.

Lo scorso anno si era scelta la furbesca strada di nascondere i draconiani tagli alla spesa, messi in calendario per il 2016, con la cosiddetta “clausola di salvaguardia” (aumento delle tasse, IVA in particolare, per 16 miliardi). Ora, 6 di questi miliardi sono stati recuperati per strada attraverso la riduzione degli interessi sul debito – unico vero successo della politica della Bce – ma gli altri 10 verranno da nuovi tagli e nuovi sacrifici.

Il demagogo ha annunciato, senza neppure arrossire, che ci sarà una riduzione delle tasse. Peccato che nel Def che porta la sua firma, oltre a quella di Padoan, ci siano scritte altre cose. Come rileva, ad esempio, Fabrizio Forquet sul Sole 24 Ore dell’8 aprile:
«Il totale delle entrate tributarie crescerà quest’anno al 30,3% del Pil rispetto al 30,1% del 2014 e continuerà a crescere negli anni (2016 e 2017) al 31,2%. La pressione fiscale propriamente detta si collocherà quest’anno al 43,5%, confermando il valore del 2014, e salirà poi al 44,1% nel 2016 e 2017».

Inoltre, prosegue Forquet:
«Ancora più significativo il confronto con il precedente quadro tendenziale, quello previsto dallo stesso governo Renzi il 30 settembre scorso con la nota di aggiornamento del Def. La pressione fiscale era indicata per il 2014 al 43,3% mentre ora è stata portata al 43,5%, per il 2015 era al 43,4 e ora è al 43,5, per il 2016 era al 43,6 e ora è al 44,1, per il 2017 era al 43,3 e ora è al 44,1. Tutto rivisto al rialzo, dunque».

Le differenze possono sembrare minime, ma – a parte il fatto che (chissà perché!) questi numeri vengono sempre rivisti in peggio – bisogna ricordarci che uno 0,1% di Pil equivale ad un miliardo e 600 milioni di euro. L’incremento di tasse previsto per il 2017 è dunque (si badi: al netto dell’inflazione e dell’eventuale aumento del Pil ) di 11 miliardi. Non proprio noccioline.

Insomma, una balla dietro l’altra, a conferma del fatto che il Bomba non si smentisce mai. A dire il vero, però, il vizietto delle previsioni ottimistiche non ce l’ha solo lui. Si è calcolato, ad esempio, che se dal 2008 le annuali previsioni governative sul Pil italiano fossero state corrette, nel 2014 avremmo avuto un Pil superiore del 14,2% a quello poi effettivamente registratosi. 14,2% vuol dire circa 227 miliardi… giusto per avere un’idea della portata degli errori non solo dei governanti, ma anche dei ben retribuiti tecnici che si dilettano con questi numeri.

Perché questi errori? Certo, una prima spiegazione sta nella difficoltà di maneggiare adeguatamente un numero particolarmente elevato di variabili, ma come mai le previsioni sono sempre (sempre!) troppo ottimistiche? Indubbiamente peserà la pressione del governo del momento per poter diffondere qualche illusione, ma c’è sicuramente dell’altro. E questo altro sta nella credenza, peggio nella superstizione, che ritiene che il capitalismo possa sempre, comunque e quantunque assicurare la mitica “crescita”. Una credenza che l’attuale crisi sta mettendo a dura prova, ma che non intacca i dogmi religiosi dei custodi dell’ortodossia economica.

Tutto ciò ha delle conseguenze davvero comiche. Mentre leggere il Def è certamente utile per decifrare l’orientamento di fondo delle politiche governative, la lettura del quadro previsionale in esso contenuto è sostanzialmente una perdita di tempo. Il problema è che le stesse scelte governative vengono motivate dentro questa architettura previsionale, che è però inficiata alla base da ipotesi di crescita che non si reggono in piedi.   

Vogliamo averne qualche prova? Nel Def 2015 si legge che: «L’economia italiana è entrata in una fase di ripresa». E la premessa al Def così inizia: «Dopo una crisi molto grave e prolungata, nell’ultimo trimestre del 2014 l’economia italiana è uscita dalla recessione. La favorevole evoluzione del contesto macroeconomico sta spingendo le principali organizzazioni internazionali a rivedere al rialzo le stime di crescita per l’Area dell’Euro e l’Italia; abbiamo a disposizione una speciale finestra di opportunità per riprendere a crescere a un ritmo sostenuto e porre il rapporto tra debito e PIL su un sentiero discendente. Non possiamo assolutamente permetterci di sprecarla».

Dunque si dice che con il 2014 è finita la recessione, e che il Pil crescerà dello 0,7% nel 2015, dell’1,4% nel 2016 e dell’1,5% nel 2017. Puntuali come sempre nello spostare un po’ più in là la famosa uscita dal tunnel, verrebbe quasi da commuoversi per tanta precisione. Se non che ci siamo presi lo sfizio di andare a vedere cosa si diceva (sempre a firma Renzi-Padoan) nel Def 2014.

E cosa abbiamo trovato? Leggete: «La fase recessiva, iniziata in Italia nella seconda metà del 2011, si è sostanzialmente chiusa nel terzo trimestre del 2013». E voi che non ve ne eravate accorti? Ora, si può ridere come piangere, ma sta di fatto che questi soloni avevano immaginato (nell’aprile dello scorso anno) un 2014 di ripresa. Sappiamo com’è andata: quattro trimestri tutti col segno meno per un dato annuo al -0,4%.

Cosa prevedevano invece Renzi e Padoan? Scopriamolo in questa autentica perla:
«Gli indici congiunturali più recenti prefigurano la prosecuzione (sic!) della fase ciclica moderatamente espansiva. E’ proseguito l’aumento della fiducia delle industrie manifatturiere. Segnali positivi provengono dal settore dei servizi. La produzione industriale è attesa in crescita nel primo trimestre. In base alle informazioni disponibili, si prospetta un moderato aumento del Pil nel primo trimestre e una ripresa più sostenuta nei trimestri successivi. Considerando anche l’effetto di trascinamento lievemente negativo sul 2014, pari a -0,1%, le attese di crescita del prodotto interno per l’anno in corso sono riviste al ribasso (capito, che realismo! – ndr) allo 0,8%, rispetto all’1,1% previsto a ottobre».

Vi basta? Per i pignoli precisiamo che nel 2014 si prevedeva una crescita dell’1,3%, negli anni successivi dell’1,7%.

Questi, ad aprile 2014, hanno previsto un +0,8, che è diventato invece un -0,4%. Se tanto ci da tanto, a quanto corrisponderà alla fine il +0,7% previsto quest’anno? Lo vedremo, ma intanto che sia chiara a tutti la natura e l’attendibilità di certe previsioni. Da sempre fallaci, ma oggi ancor più manipolate. Com’è inevitabile che sia nell’era del Bomba, un demagogo senza precedenti. Uno che fa sembrare Berlusconi un lestofante quasi perbene.   

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