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ALITALIA: I CONTI NON TORNANO di Ugo Arrigo

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[ 19 luglio 2017 ]

Di Ugo Arrigo (docente di Finanza Pubblica e Teoria delle Scelte Collettive presso la Facoltà di Economia dell’Università di Milano Bicocca) avevamo già pubblicato il 18 giugno scorso una sua inchiesta sul cosiddetto “fallimento” di Alitalia. Non siamo per niente d’accordo con l’Arrigo che infatti perora la vendita della compagnia, ma questa sua seconda incursione sui bilanci di Alitalia non è meno interessante della prima. 


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INCHIESTA ALITALIA/ I nuovi sospetti sui numeri

Cosa sappiamo in più su Alitalia dopo che la gestione commissariale ha opportunamente reso pubblica la domanda di ammissione all’amministrazione straordinaria presentata dai precedenti amministratori e il documento da essi allegato sulla situazione economica e patrimoniale dell’azienda alla data del 28 febbraio 2017? In realtà abbastanza poco, molto meno di quello che risulterebbe necessario per comprendere le ragioni che hanno portato al peggioramento della situazione economica di Alitalia nel corso del 2016 e nella prima parte dell’anno in corso.

La ragione fondamentale per cui i due documenti resi pubblici aggiungono molto poco a quanto già sapevamo è che continua a mancare il conto economico dell’esercizio 2016, l’anno nel quale la situazione di Alitalia si è aggravata sino al dissesto. Come sono andati i ricavi aziendali nello scorso anno? E i costi? A quanto ammonta la perdita industriale? Solo conoscendo questi dati è possibile farci un’idea sull’esatta natura della crisi aziendale, se essa sia prevalentemente di tipo industriale o finanziario e quanto possa essere oggetto di miglioramento in tempi ragionevoli da parte dell’attuale gestione commissariale.

Anche la domanda su quale sia la strategia migliore per i commissari potrebbe trovare utili suggerimenti nei dati che non ci sono. Ad esempio, se i problemi maggiori non riguardassero la gestione industriale converrebbe ai commissari lavorare per sistemare ulteriormente questi aspetti, prendendosi il tempo necessario, e mettere in vendita più avanti un’azienda risanata dal punto di vista industriale, ipotesi che permetterebbe maggiori introiti da cessione e un maggiore recupero da parte dei creditori delle somme incagliate. Se invece la crisi fosse prevalentemente dovuta a ragioni industriali, per essere più chiari all’impossibilità di recuperare con i ricavi da traffico una quota molto elevata dei costi necessari per far volare gli aerei, converrebbe invece la strategia opposta, quella di accelerare la cessione dell’azienda, possibilmente in favore di un operatore aereo che si reputi in grado di inventarsi una gestione sostenibile dal punto di vista industriale.

Purtroppo i dati aggiuntivi contenuti nei due documenti resi noti nei giorni scorsi sono insufficienti a chiarire il quadro interpretativo su Alitalia e discriminare nettamente tra le due ipotesi alternative. Sia chiaro che la responsabilità delle informazioni mancanti non può essere attribuita alla gestione commissariale, alla quale va invece dato merito di aver reso pubblica la documentazione a sua disposizione, bensì ai precedenti amministratori, i quali non hanno depositato, entro la scadenza di metà aprile prevista dalle norme, né successivamente, il bilancio d’esercizio del 2016 che avrebbe dovuto contenerle. È quasi del tutto inutile infatti conoscere il conto economico dettagliato dei primi due mesi del 2017, periodo dell’anno soggetto a una forte stagionalità negativa, quando non si dispone del conto economico dei dodici mesi precedenti. In mancanza di dati indispensabili occorre ancora una volta dar spazio al ragionamento logico, escludendo le ipotesi più irragionevoli e lasciando in campo solo quelle più verosimili.

In un precedente intervento avevo manifestato perplessità su alcuni numeri ufficiale sui conti di Alitalia, riportati nella sentenza del Tribunale di Civitavecchia che ha stabilito lo stato d’insolvenza. La sentenza in oggetto cita infatti la “situazione patrimoniale aggiornata al 28.2.2017 (…), che riporta un patrimonio netto negativo di 111 milioni, perdite – solo nel periodo 1.1.2017-28.2.2107 – per 205 mil. (…)”. Tuttavia se il patrimonio netto è divenuto negativo per 111 milioni al 28.2.2017 dopo un bimestre di perdite pari a 205 milioni questo vuol dire che esso era invece positivo per 94 milioni al 31.12.2016. Tale dato non risultava tuttavia compatibile con l’elevata e mai esattamente quantificata perdita del 2016. Il bilancio 2015 di Alitalia Spa, l’ultimo noto, evidenziava infatti un patrimonio netto positivo al 31.12.2015 per 51,9 milioni (tabelle di pag. 188 e 191 del bilancio 2015). Esso si sarebbe pertanto accresciuto da 51,9 milioni a 94 milioni nel corso dell’anno nonostante perdite d’esercizio dichiarate come consistenti, che lo avrebbero al contrario diminuito, e in assenza di aumenti di capitale da parte dei soci.

Almeno riguardo a questi aspetti il documento contabile ora reso pubblico, dal titolo “Relazione illustrativa al 28.2.2017”, chiarisce a pag. 8 e nella tabella di pag. 26 dal titolo “Prospetto di variazione del patrimonio netto” il mistero: il patrimonio netto risultava positivo a fine 2016 in conseguenza del fatto che sul finire dell’esercizio il socio Etihad ha conferito mezzi finanziari “quasi equity” (Strumenti finanziari partecipativi-Sfp) per 231 milioni di dollari, in assenza dei quali esso sarebbe andato in negativo per 93 milioni di euro, dato che si accresce a 146 milioni a parità di principi contabili rispetto all’esercizio precedente.

Sappiamo a questo punto che la gestione aziendale ha determinato nell’esercizio 2016 il peggioramento del patrimonio netto da +52 milioni a -146 milioni, contribuendo al medesimo per -198 milioni. Questa cifra può essere considerata come perdita gestionale dell’esercizio 2016? Se così fosse, il dato dovrebbe essere considerato come positivo, in quanto molto distante e pari solo a un terzo rispetto alla perdita di 600 milioni indicata ufficiosamente per lo stesso anno da tutti i media prima del referendum sindacale bocciato dai lavoratori. Una perdita di 200 milioni è ben diversa da una di 600: la prima appare infatti affrontabile e probabilmente rimediabile, la seconda evidentemente no. Inoltre, essa si confronta con una perdita di Alitalia Spa pari a 408 milioni nel precedente esercizio 2015 e dunque ne evidenzierebbe un dimezzamento.

Il dato in oggetto, relativo a una perdita presunta di circa 200 milioni nel 2016, non trova tuttavia conferma esplicita nel documento contabile reso pubblico, il quale resta molto oscuro al riguardo. Infatti, nella stessa tabella di pag. 27 viene indicata una perdita d’esercizio per il 2016 pari a ben 497 milioni, tuttavia attenuata per ben 299 milioni da non meglio definite “Altre componenti del conto economico complessivo”. Di che si tratta esattamente? Il documento contabile nulla dice al riguardo. In ogni caso la somma algebrica delle due componenti conduce alla perdita netta di -198 milioni, relativa al “conto economico complessivo”, che abbiamo già commentato in precedenza. Possiamo allora concludere che la perdita di Alitalia Spa nel 2016 è stata di circa 200 milioni di euro, la metà dell’anno precedente e un terzo esatto di quanto era stato annunciato alla stampa forse nell’intento di condizionare l’esito del referendum.

D’altra parte il peggioramento di Alitalia nel 2016 è proprio strano. È dovuto a una caduta del traffico in un anno di grande espansione del mercato? A una caduta dei prezzi medi, dovuta alla concorrenza? Oppure sono esplosi i costi? E se sono esplosi i costi, si tratta di costi industriali tipici, e in questo caso quali, oppure di errate scelte di carattere finanziario? In realtà, qualcuna delle possibili cause possiamo ragionevolmente escluderla: non sono crollati i passeggeri, non sono crollati i ricavi medi del traffico, non è esploso il costo del personale e neppure quello dei servizi negli aeroporti e in rotta. Sul primo fronte l’Enac ci dice nel suo annuario statistico che i passeggeri totali di Alitalia sono stati nel 2016 23,1 milioni, persino qualcuno in più dei 23 milioni del 2015. I prezzi medi si sono ridotti sul mercato, ma solo perché i vettori hanno girato ai clienti i risparmi, e neppure tutti, derivanti dal minor prezzo del carburante.

Le tariffe aeroportuali e per l’assistenza al volo non sono cresciute. Non restano molti altri fattori. Neppure il costo della flotta, che si compone degli ammortamenti, dei costi del leasing e delle manutenzioni degli aerei, può essere esploso. Non resta allora che l’onere proveniente dagli errati contratti relativi ai derivati sui costi del carburante. Ma questa non è una componente della normale gestione industriale e se essa fosse la causa principale del dissesto economico il problema Alitalia risulterebbe assai più facilmente rimediabile. Significherebbe che Alitalia ha avuto un dissesto dei conti, ma non il grave dissesto di tipo industriale in cui abbiamo sinora ritenuto si trovasse in assenza delle corrette informazioni di cui la nostra analisi necessitava.

Tutto questo è molto positivo, ma smentisce l’ipotesi che Alitalia si trovi in uno stato di grave dissesto industriale e probabilmente anche che vi si sia trovata nello scorso anno.

* Fonte: IL SUSSIDIARIO

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