MASSE “FASCISTE” E SINISTRA BORGHESE di Militant
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[ 5 luglio 2018 ]
L’ETERNO RITORNO DELL’UGUALE
Nel momento in cui la società reale, quella formata da milioni di proletari vinti alle logiche populiste, decreta l’espulsione del Pd dal governo, pezzi di sinistra residuale tornano a proporre strampalate alleanze antirazziste al fianco di chi, in questi anni, ha assolto il compito di promuovere un razzismo diffuso e dal volto umano verso i ceti popolari in generale e i migranti in particolare. Si agita il mito di un Pd “derenzizzato” a cui non crede più neanche Cuperlo, per dire; si favoleggia di “ripartenze dai territori”, come se la cinghia di trasmissione tra centro e periferia del partito della stabilità liberista fosse in qualche modo attaccabile in qualche suo punto debole. Nell’istante in cui il Pd muore, un pezzo di sinistra si offre come stampella ideologica nella lotta al razzismo leghista. E tutto questo in attesa del passaggio di consegne tra Renzi e Zingaretti. A quel punto i fuochi d’artificio saranno assicurati: finalmente il Pd verrà rimesso al centro di ogni possibile alleanza progressista contro il fascismo. Ma la mancata analisi del 4 marzo sta producendo molti più danni di quanto fosse lecito aspettarsi.
Proprio nel momento in cui finalmente si procede all’attacco frontale contro l’ongizzazione delle questioni sociali, di cui quella migrante è la più evidente, la sinistra – tutta – viene costretta dentro una logica binaria di difesa di quelle stesse Ong, che costituiscono da decenni lo strumento attraverso cui disattivare qualsivoglia conflittualità politica riguardante le contraddizioni generate dal liberismo in crisi. Nel momento in cui si diviene, volenti o nolenti, espressione politica dell’ideologia Ong, viene persa per strada la natura sociale del voto del 4 marzo, cioè il contraddittorio rifiuto della stabilità liberista fondata sui dogmi del pareggio di bilancio e della riduzione del welfare. La questione migrante smette i panni della problematica sociale per indossare quelli, pacificati, della questione culturale: razzisti contro antirazzisti, come se, di punto in bianco, quegli stessi milioni di proletari si siano automaticamente convinti della difesa della razza (mentre se avessero votato Pd, Leu e accozzaglia varia, sarebbero rimasti illuminati umanisti).
A forza di sballare paragoni col passato ripetendoli meccanicamente ad ogni cambio di governo (c’era il fascismo con la Dc, con Berlusconi, con Prodi, con Monti, con Renzi…), ci ritroviamo a braccetto con chi ha tutto l’interesse a declinare la lotta al populismo come questione antirazzista. Un tema che è centrale, ovviamente, ma solo ed esclusivamente in quanto sociale, cioè espressione e lotta al risentimento piccolo borghese verso i lavoratori poveri. Eppure è proprio la questione sociale ad essere scomparsa dai radar della sinistra dopo il 4 marzo. Prova ne è la (non) reazione delle sinistre verso il “decreto dignità” in corso di approvazione dal governo. Per la prima volta – ripetiamo: per la prima volta – da decenni viene approvato un decreto che va contro gli interessi di Confindustria, che infatti ha scatenato subito la contraerea ideologica guidata da Repubblica. Un decreto ultra-mediato, ovviamente, dal sapore propagandistico, certamente. Una misura più da campagna elettorale che materialmente efficace. Non può essere il nostro orizzonte, neanche volendoci attestare a una visione riformista dell’azione di governo. Eppure rimane il segnale: in assenza di opposizione sociale, nel deserto di qualsiasi spinta dal basso, popolare, verso misure di redistribuzione del reddito, il governo vara una di quelle misure per cui è stato per l’appunto votato dai proletari di cui sopra. Un decreto immediatamente contrastato dal partito unico di Repubblica. La (non) reazione delle sinistre esemplifica il punto morto a cui sono giunte: sghignazzamenti sui social network, sbeffeggiamenti, disinteresse generale.