AGAMBEN O LA FUGA DAL MONDO di Moreno Pasquinelli
«Vano è il desiderio di prevalere sugli uomini della perdizione prima del giorno della vendetta […] Occorre separarsi dai malvagi e attendere che scenda su di loro il giudizio di Dio»
Rotoli di Qumrȃn. Regola della Comunità, x, 17-20
Ogni vero movimento di massa è, non fosse che per le sue dimensioni, collettore di disparati bisogni e pulsioni sociali. Questo dato, sebbene fosse camuffato dalla preponderanza egemonica della componente socialista e anticapitalista, era vero anche nel ‘900. Nel nuovo secolo, venuta meno quella preponderanza egemonica, i movimenti di massa sono caratterizzati anche dalla più complessa pluralità ideologica. Essi sono dunque doppiamente eterogenei.
Le filosofie politiche dei “no-vax”
Prendiamo ad esempio il movimento contro il green pass. Fenomeno tipicamente italiano — conseguenza del fatto che l’Italia è assurto a principale banco di prova del great reset —, esso è fuoco di resistenza al regime change e moto di rifiuto della dittatura tecno-sanitaria, ergo un movimento politico di massa. Una composizione sociale quanto mai poliedrica — esso mobilita infatti cittadini appartenenti alle più diverse classi e categorie sociali —, si specchia con una composizione ideologica altrettanto frammentata.
Il Rapporto CENSIS 2021 volendo catturare gli aspetti ideologico-culturali salienti del movimento è giunto a conclusioni caustiche: esso sarebbe anzitutto caratterizzato da “irrazionalità, pensiero magico, superstizioni antimoderne, speculazioni complottiste” e via contumeliando. Per conto dei dominanti il CENSIS coglie sì aspetti reali, ma essi vengono abilmente deformati e ingigantiti allo scopo di squalificare il movimento come “reazionario”, così da far credere che esso è destinato a soccombere innanzi all’irresistibile progresso scientifico e tecnocratico. [1]
Provando invece a mappare con rigore politico-filosofico l’arcipelago del movimento occorre indicare le sue cinque isole principali: (1) quella del repubblicanesimo democratico, entro la quale stanno anche le correnti socialista e anarchica; (2) quella del cattolicesimo tradizionalista, entro la quale stanno la componente reazionaria di Viganò e pure certi ribellismi fascistoidi; (3) quella liberale, entro la quale stanno anarco-liberisti e liberisti veri e propri; (4) quella di un fantasmagorico quanto generico spiritualismo new age, la cui cifra politica è senza dubbio il gandhismo; (5) quella che lato sensu potremmo definire comunitarista — nella fattispecie l’idea di fondare, qui ed ora, comunità di vita alternative esterne al perimetro sistemico, basate su forti vincoli etico-valoriali. [2]
* * *
Ci occuperemo di questa tendenza comunitarista poiché, nel clima segnato dal fisiologico riflusso del movimento e dall’errato presentimento che l’avanzata del regime tecno-totalitario sia irreversibile, questa tendenza esibisce una certa forza egemonica di seduzione — tale che contagia infatti anche le altre aree politico-culturali di cui sopra.
La proposta di staccarsi dalla società costruendo comunità autonome solidali possiede essenziali punti di forza: a) condivide col senso comune la tesi nichilistica della morte delle “grandi narrazioni”, di qui il rifiuto di ogni etica universalistica; b) fa sua una concezione antropologica pessimista dell’essere umano, di qui l’idea che solo minoranze spiritualmente illuminate possono associarsi in armonia; c) respinge quindi come utopistica la via politica di rivoluzionare la società tutta; d) soddisfa due bisogni apparentemente opposti: quello della trascendenza spirituale e il suo immanentistico rovescio, il mettersi subito all’opera per ottenere risultati concreti e cambiamenti tangibili; e) postulando di tagliare tutti i ponti con il sistema sociale vigente essa sposa infine un ribellismo esuberante ed eroico.
La filosofia meta-politica di Giorgio Agamben
Contribuisce, a questa forza di seduzione della proposta comunitarista, il filosofo italiano Giorgio Agamben. Ad Agamben bisogna riconoscere il doppio merito di essere il solo intellettuale di prestigio ad aver condannato subito e senza esitazione l’Operazione covid, e di essersi schierato apertamente a sostegno dei movimenti di protesta. [3]
Pensiero e percorso filosofico complessi assai quelli di Agamben, come notevoli sono state le sue frequentazioni teoriche e di vita: da Pasolini a Guy Debord, da Benjamin ad Heidegger, da Schmitt a Foucault passando Lyotard e Derrida.
Scrisse Toni Negri [4] che con il libro L’uso dei corpi (2014) Agamben si congedava definitivamente da marxismo. Di più, quel distacco si fondava su una ontologia catastrofista: non c’era modo di vincere le forze del potere e del dominio, non restava che scovare la felicità della fuga e della contemplazione. Toni Negri biasimava infine il distacco di Agamben dallo stesso Foucault, che qualche (lontano) spiraglio alla possibilità rivoluzionaria ancora lasciava, criticando con durezza la proposta agambeniana per cui non restava ai saggi, che la via della “inoperosità” e della auto-esclusione dalla società, dell’atarassia come sola prassi possibile. [5]
In verità Agamben si era congedato dal marxismo e dall’idea della politica come necessaria prassi sociale trasformatrice ancor prima di quando Negri segnalasse. Molti anni prima in La comunità che viene, Agamben scolpiva questo concetto:
«Poiché il fatto nuovo della politica che viene è che essa non sarà più lotta per la conquista o il controllo dello stato, ma lotta fra lo stato e il non-stato (l’umanità), disgiunzione incolmabile delle singolarità qualunque e dell’organizzazione statale». [6]
Facciamo quindi un salto all’oggi. Posta la profondità teorica della critica al “colpo di stato” operato dall’élite dominante con l’Operazione covid, Agamben ha espresso con la massima chiarezza la sua proposta proprio nei suoi saluti alla manifestazione dei centomila del 25 settembre:
«In queste condizioni, senza deporre ogni possibile strumento di resistenza immediata, occorre che i dissidenti pensino a creare qualcosa come una società nella società, una comunità degli amici e dei vicini dentro la società dell’inimicizia e della distanza. Le forme di questa nuova clandestinità, che dovrà rendersi il più possibile autonoma dalle istituzioni, andranno di volta in volta meditate e sperimentate, ma solo esse potranno garantire l’umana sopravvivenza in un mondo che si è votato a una più o meno consapevole autodistruzione». [7]
Agamben ci offre una medaglia e, come ogni medaglia, ha due lati: una visione della storia apocalittica in salsa nichilistica e una via di fuga epicurea. Si condivide con gli apocalittici la considerazione fatalistica che il mondo ed il tempo presenti siano irrimediabilmente corrotti e condannati all’autodistruzione — con la differenza, di qui il senso nichilistico, che il nostro non crede affatto in un intervento decisivo e salvifico di Dio. Posta questa premessa catastrofista addirittura sorprendente è la prossimità, anzi l’omologia con l’etica epicurea.
“Liberati dagli affari e dalla politica” e “vivi nascosto ”, sosteneva il grande filosofo Epicuro. Abbandonate l’idea della Repubblica platonica e quella della città aristotelica, considerato anzi che ogni stato e/o società politica sono luoghi di alienazione e soggezione, il filosofo proponeva ai saggi l’auto-esilio dal mondo, una vita in comunità fondata su vincoli affettivi e di amicizia. L’epicureismo portava così alle estreme conseguenze l’etica aristocratica di autoesclusione dal mondo propria dei filosofi in età ellenistica, età segnata crollo delle polis, dalla perdita di autonomia delle città greche e dall’avvento di imperi e monarchie cosmopolitiche che avevano trasformato i cittadini in sudditi. Salta agli occhi come, all’omologia tra le vedute pessimistiche dei due filosofi, corrisponda l’analogia tra il periodo storico ellenistico e quello attuale segnato dalla globalizzazione: simile a quello delle polis l’eclissi degli stati-nazione, simile la sostituzione della democrazia con regimi di tirannia, simile l’ideologia dominante cosmopolitica.
Il prestigio e la stima di cui Agamben gode nei circuiti del movimento contro il green pass danno appunto più forza e plausibilità agli argomenti di chi propone la fondazione di comunità separate, autogovernate e autosufficienti.
Detto che usiamo la figura del comunitarismo lato sensu è certamente comunitarista l’idea per cui, liquidata come utopistica l’opzione per una società emancipata di liberi ed eguali, respinta quindi come sterile la fatica della prassi politica come azione per trasformare il mondo; la sola possibilità sarebbe quella di micro-società fortemente coese e identitarie, fondate, se non proprio sulla condivisione di una medesima visione del mondo, sulla accettazione delle stesse forme e modi di vita, sulla medesima idea di bene comune su una gerarchia dei valori etici.
Se l’epicureismo fu la via di fuga dei filosofi, cinquecento anno dopo, ascetiche minoranze di fedeli cristiani, riscoprendo lo stesso anelito alla separatezza e all’esodo da un mondo totaliter corruptus, rifiutarono ogni compromesso con la modernità del tempo e voltarono le spalle, non solo al potere secolare, ma pure ad una Chiesa diventata fondamentale pilastro del dominio imperiale. Un esempio commovente di radicale spiritualità, rispettato e amato dalle masse dei reietti e dei diseredati:
«Gli asceti erano paragonati agli angeli, ed erano considerati come facenti parte di legioni angeliche bene ordinate e animate dallo spirito d’amore e di obbedienza al loro Creatore. Il nuovo nome che il monaco assume al momento del suo ingresso nella comunità religiosa sta ad indicare che egli si considera morto nel mondo che ha abbandonato per poter rinascere in una nuova società». [8]
Molti secoli dopo, a quella forma primordiale di comunitarismo che fu il monachesimo cenobitico, toccò la medesima amara sorte della Chiesa, quello di diventare parte integrante del feudale sistema di dominio e oppressione economica — di qui l’insorgere successivo di nuovi fenomeni di comunitarismo cristiano, sia nella forma delle sette ereticali che in quella degli ordini mendicanti come quelli francescano e dominicano.
Trascorsi altri secoli, nel cuore stesso della modernità capitalistica, si assistette alla rinascita del fenomeno della fondazione di comunità autosufficienti ed autogovernate — questa volta su basi egualitarie e socialiste. Parliamo dei tentativi dell’industriale inglese Robert Owen e del filosofo francese Charles Fourier — di cui alcuni conobbero un momentaneo successo altri invece fallirono miseramente. Questi tentativi vennero rubricati da Marx alla voce “socialismo utopistico”, qualificazione alquanto dubbia se si considera che caratteristica di quegli esperimenti fu proprio quella di realizzare concretamente nel presente storico l’ideale sociale, senza quindi spostarne il compimento in un futuro lontano e indeterminato.
Conclusioni
Insomma quello che con neologismo moderno abbiamo chiamato comunitarismo ha in verità radici molto antiche, è quindi con profondo rispetto che se ne deve parlare. Come non essere solidali con chi disprezza questo mondo? Come non condividere il bisogno e il sogno di sfuggire al futuro che ci viene prospettato? Come non desiderare di guadagnare, qui e ora, un approdo, una terra promessa? Ed infine, come extrema ratio, come non sperare di poter trovare un rifugio, un santuario, un riparo inespugnabile che resista alle tempeste all’orizzonte? Come sottovalutare l’idea che nella catastrofe cibernetica serva una nuova arca di Noè?
Rispetto non equivale tuttavia a indulgenza. Se si presta la dovuta attenzione al dibattito in seno alla componente comunitarista del movimento no green pass, se si analizzano col necessario scrupolo le idee in circolazione, si scopre non solo tanta ingenua astrattezza, ci si imbatte in pressapochismo teorico e in vere e proprie astrusità. Non si pretendeno la precisione normativa di un Pacomio o di un Benedetto da Norcia, di un Owen o di un Fourier; ma a chi ci dice che vani sono tutti i tentativi di cambiare il mondo e ci propone di separarci da esso per edificare unità sociali autonome, è doveroso chiedere: come queste comunità saranno organizzate? Come produrranno e distribuiranno i beni? Seguiranno le leggi di mercato o adotteranno un sistema pianificato? Come saranno politicamente e giuridicamente strutturate? Ci saranno i servi ed i padroni oppure si contemplerà un’effettiva giustizia sociale? Che relazioni avranno queste comunità fra di loro e, anzitutto, col mondo esterno? Come potranno difendersi da pressioni ostili e dall’eventuale aggressione dei nemici?
Sono queste domande capziose o legittime? Se sono legittime reticenza e ambiguità sono inammissibili. Ahinoi, la confusione con cui si vorrebbe porre mano all’opera è direttamente proporzionale al pessimismo con cui si giudica ineluttabile e incombente la catastrofe.
Ammesso e non concesso che in ambiente di capitalismo onnipervasivo siano possibili piccole comunità non-capitaliste autosufficienti — che se fossero capitaliste non sarebbero evidentemente alternative e dunque nemmeno varrebbe la pena parlarne! —; noi non crediamo che la catastrofe sia inevitabile; noi riteniamo che ci siano ancora lo spazio, il tempo e le premesse per impedire l’avvento di quello che abbiamo chiamato il cybercapitalismo. [9]
Se abbiamo ragione nessuna autoesclusione dal mondo è ammessa, nessuna fuga dalla lotta politica è accettabile. Se abbiamo ragione non possiamo sottrarci al dovere POLITICO di consolidare la Resistenza, di strutturarla come contro-potere popolare egemonico e costituente.
“Non possiamo non dirci cristiani”, affermò Benedetto Croce. E se lo siamo è perché Gesù, invece di fuggire nel deserto, scelse di entrare in Gerusalemme sfidando le autorità nemiche. Meglio morire in campo di battaglia che passare alla storia come disertori.
NOTE
[1] E’ vero, circolano nel movimento idee cospirazioniste della storia, tecno-fobie, sfiducia nella scienza e nel progresso, pessimismo antropologico, catastrofismo apocalittico, risvegli religiosi. Pulsioni e convinzioni cresciute sottotraccia nei decenni scorsi e che ora emergono (ri-emergono poiché esse hanno anche segnato le vicende del ‘900) a dimostrazione di una sfiducia definitiva verso le promesse delle élite dominanti e di un radicale rifiuto della loro tenebrosa idea di progresso. Pulsioni e convinzioni che esprimono smarrimento esistenziale, un’inquietudine che sta diventando un’esplosiva angoscia di massa. Pulsioni disordinate, concezioni del mondo nebulose, che possono diventare carburante di un grande ma disperato incendio sociale. Affinché l’ordine vinca sul disordine, il politico dovrà soppiantare l’impolitico.
[2] Sottolineiamo che qui parliamo del comunitarismo lato sensu per almeno due ragioni. La prima è che i gruppi che nel movimento no green pass propongono la strada delle comunità parallele sono dei comunitaristi senza sapere di esserlo, ovvero non sembra conoscano l’opera dei diversi filosofi che sul finire del secolo scorso hanno dato vita alla corrente di pensiero comunitari sta. La seconda è che quei pensatori — anzitutto gli anglosassoni A. Macintyre, M. Sandel, C. Taylor, in Italia il cattolico Tommaso De Maria ed infine l’ultimo Costanzo Preve —, non hanno condiviso una coerente e condivisa teoria politica.
[3] Vedi, oltre alle sue diverse prese di posizione, la sua pubblica adesione alla manifestazione dei centomila “Lavoro e Libertà”, svoltasi a P.zza S. Giovanni a Roma il 25 settembre 2021.
[4] Toni Negri, Giorgio Agamben, quando l’inoperosità è sovrana. Ci sarebbe da tornare, siccome parliamo di Toni Negri, per segnalare un evidente fallimento strategico, sui suoi concetti di “diserzione” e di “esodo” concepiti dal nostro non solo come “forme della lotta di classe” ma come sole strade di accesso al comunismo — vedi Impero, Rizzoli 2002, pp. 201-205
[5] Su un punto tuttavia noi pensiamo fosse valida la critica di Agamben a Foucault. Per quest’ultimo bio-politica e bio-potere sorgono solo con la modernità capitalistica e sono anzi il tratto principale del passaggio storico dalle società antiche a quelle moderne. Agamben considera invece, in questo caso seguendo Thomas Hobbes, che ogni potere sovrano esercita un bio-potere, ovvero controlla e domina la “nuda vita”.
[6] Giorgio Agamben, La comunità che viene. Bollati Boringhieri 2001, pp. 67-68
[7] Giorgio Agamben, Una comunità nella società
[8] Nicholas Zernov, Il Cristianesimo orientale, Mondadori 1990, p.84
[9] Liberiamo l’Italia, Tesi sul Cybercapitalismo
molto interessante ,ma ho il dubbio che se rivolgiamo queste ottime analisi critiche a chi indiscutibilmente ha aperto la strada su quanto si è andato costituendo ,rischiamo ulteriori divisioni e particolarismi al nostro interno Questa è una fase in cui si stenta a costruire una lotta organizzata e dobbiamo rivolgere le poche energie in quella direzione Alla fine Agamben auspica la fine dei convegni e quella tattica e strategia a cui si richiama possiamo leggerle come vogliamo , tipo ,”diamoci da fare”
Agamben rimane il primo coraggiosissimo pensatore che si è manifestato ed esposto a questa tempesta del senso perduto ed è parte fondante della spinta al nostro tentativo di resistere grazie
Ottimo pezzo, bravo Moreno.
Premesso che Agamben ha degli ENORMI meriti per aver avuto il coraggio di esporsi apertamente contro la dittatura tecnosanitaria e quindi merita tutta la stima possibile, e’ innegabile che la strada da lui proposta per affrontare l’attuale situazione, sia una strada piuttosto “rinunciataria”. (…sebbene nel discorso da egli compiuto il 25 settembre, faccia comunque riferimento a possibili vie di “RESISTENZA” al regime).
Nonostante cio’ credo che non sia il momento adatto per intraprendere dispute dottrinarie che rischierebbero di creare pericolose spaccature all’interno del Movimento antigreenpass, a tutto vantaggio del nemico: cerchiamo quindi di restare uniti, concentrandoci su cio’ che ci unisce e non su cio’ che ci divide, provando a raggiungere un compromesso con le altre “correnti” del movimento.
Francesco F.
Manduria (Ta)
proprio quel che intendevo
Mah! Non capisco perché non si possa tentare di costruire realtà, situazioni di autosufficienza energetica e alimentare e allo stesso tempo operare nel politico. Per esempio mandare i propri figli a una scuola parentale in questo momento cos’è? Un gesto político, un passo verso una comunità autogestita, o cosa?
L’autosufficienza energetica e alimentare oggi è tecnicamente possibile. Ed è un modo di resistere. Se scoppia la mostruosa bolla finanziaria che ci minaccia, è probabilmente l’unico modo per sopravvivere. Per questo ci sono migliaia di gruppi di persone impegnati in questo tipo di esperienze in tutto il mondo. È un movimento inarrestabile.
Moreno cita Agamben e compagnia filosofica cantante de sinistra, perché scandalosamente de sinistra.
Poi fa considerazioni sui movimenti di uscita, che riappaiono ciclicamente, fino alle soglie della modernità.
Infine conclude con l’imperativo categorico del contro potere popolare egemonico costituente.
Sto leggendo “pensiero istituente” di Roberto Esposito, che apre uno spazio di rinnovamento della politica tra i due estremi filosofici di destra e di sinistra di cui Agamben è intriso (Heidegger e Deridda).
Ne desumo che gli argomenti di Moreno rientrano nel paradigma “de sinistra” di Agamben (che infatti Moreno non riesce a criticare ma solo a deplorare). Sennonché è un paradigma da cui si deve uscire nel solco indicato da Esposito, e non in modo epicureo ma politico.
Moreno ha ragione, ma usa strumenti obsoleti che, senza voler offendere, definirei teopolitici o premoderni, nel senso usato da Roberto Esposito. La critica radicale ad Agamben, che Moreno non sa fare, si può fare. Solo che bisogna uscire dal paradigma obsoleto e contraddittorio del marxismo essoterico.
Il comunitarismo (attenzione a non cadere dalla padella nella brace del comunitarismo feticista – che non supera il pensiero politico pre moderno, costituente -) che si inserisce nel solco istituente, può rappresentare una valida risposta ai giusti timori di Moreno. Secondo me, tale comunitarismo è ben rappresentato dal movimento neozapatista dell’America del sud. Il movimento neozapatista risponde alle domande di Moreno, certo nella prospettiva della filosofia sudamericana del “buen vivir”.
Trasferirlo qui da noi … è il lavoro che risponde all’imperativo categorico di Moreno. Ma parleremo di un contropotere né egemonico, né costituente; bensì di soggettivazione collettivista istituente.
Buona lettura.
Non avevo mai considerato la questione come esposta in articolo.
Ma mi sono sempre chiesto perché la Sars-Cov 2 detta Covid 19, quella su cui si sta costruendo il rimbambimento mondiale, per taluni abbia assunto valore solo col Green Pass come se tutto quello a monte mai fosse esistito.
E soprattutto se ci arrivo io è possibile che nessun altro, con più strumenti di me non ci arriva?
Dico pure che alcuni dei “Pensatori” dei cd “Beni Comuni” ne sanno ma tacciono come pure una dozzina di blog.
Dato atto che Agambden fu tra i primi a vedere la guerra contro il popolo … ma come attrezzarsi per affrontarla con armi appropriate?
La Pandemia è mai stata dichiarata?
Qui il link sulla falsa Pandemia https://www.facebook.com/genge.moscarda.378/posts/449487473569112
di cui FB ha reso sconosciuto il link che rimanda al dr. S. Resta, uno di quelli che nega la Dichiarazione
https://ilporticodipinto.it/content/perché-l’economia-americana-è-più-solida-di-quella-dell’eurozona#comment-3151
La lingua è il grimaldello del Potere e tutto è giocato sulla trasformazione di Discorso in Dichiarazione e tale “falsità” la si ritrova in tutti i D.L. dal 11 marzo 2020 in poi e fino a quello del Super Green Pass Bin (se non ci credete verificate).
Questo è ab ovo perché se non c’è Pandemia non c’è “virus” e neanche vaccini e Green Pass … e non riguarda solo i comunitaristi perché dovrebbe riguardare tutti, almeno quelli che pensano che il Covid 19 sia il Cavallo di Troia per il Governo Oligarchico Mondiale.
Poi se scrivo di guardarsi dagli “influencer” dai loro “like” etc. ho ragioni reali per farlo.
https://www.filmsforaction.org/articles/cancel-the-apocalypse-documentaries-to-help-unlock-the-good-ending/
link a una serie di documentari su comunità ecologiche e di vario tipo.
Non vedo perché il comunitarismo non possa costituire un’azione politica. Agamben lo concepisce come alternativa allo stato moderno, di cui registra, più che la crisi, la fine, sotto il peso delle sue insanabili contraddizioni (si veda l'”Intervento al convegno degli studenti veneziani contro il greenpass l’11 novembre 2021 a Ca’ Sagredo” pubblicato su Quodlibet online).
Ma credo che sia necessario rispondere alle domande poste da Moreno Pasquinelli nella conclusione del suo articolo, in particolare quando si chiede: “Che relazioni avranno queste comunità fra di loro e, anzitutto, col mondo esterno?”. Perché c’è comunità e comunità. Elena Pulcini (“La cura del mondo”, 2009) distingue le comunità aperte (che lei chiama “esogamiche”) dalle comunità chiuse (“endogamiche”, “immunitarie”, arroccate nella propria identità). La relazione di queste ultime con le altre comunità e con il “mondo esterno” è la classica e regressiva relazione “amico-nemico” che caratterizza appunto lo stato moderno (da Hobbes a Carl Schmitt). Le prime dovrebbero invece, penso, essere improntate ad un senso di “fraternità” (termine che preferisco a quello usato da Agamben, il quale parla di “amicizia”), la quale non esclude il conflitto, neppure quello interno alla comunità stessa (si veda lo stesso Agamben in “Stasis”, sulla “guerra civile”), ma al tempo stesso non lo porta alle sue conseguenze estreme, ovvero alla
distruzione d ell’avversario – quella situazione che Miguel Benasayag e A n gé lique Del Rey ( ” Elogio del conflitto ” , 2007 ) c hiamano ” scontro “.
Adesso accingiamoci alla visione della ricch issima r assegna di D i a n a D e p i e t r i .
Non ho capito una parola di tutto ciò che hai scritto con tanta cura e precisione
Un prezioso contributo Moreno, Grazie! Sicuramente lo rileggerò nuovamente per studiarne meglio i i contenuti e fissarne i passaggi.
… Per la maggioranza di noi fuggire fisicamente dalla società materialistico-satanica é difficile per le ristrettezze economiche (comprare campi e fattorie ha il suo bel pezzo, così come poi sistemarle e mantenerle…), però ‘con la testa’ credo che oramai siamo fuggiti dalla realtà tecno-dittatoriale quasi tutti… e questa in fondo é la cosa più importante (consoliamoci così quindi;).
Pe quanto riguarda il “far comunità”, non siamo uniti (e non vogliamo esserlo, non ci sono segnali di FRATERNITA’ nemmeno tra di noi -se non recitati per l’occasione..), basta provare a parlare con “quelli come noi” alle manifestazioni e ce se ne rende conto: impossibile intavolare un discorso costruttivo col vicino sconosciuto senza essere aggrediti nel SOLITO stile iracondo italiota da stadio… altro che “conosciamoci per creare comunità”!… Ma penso che si salverà chi ha raggiunto una buona maturità interiore e spirituale (e non va alle manifestazioni per sputare veleno in faccia al teorico fratello accanto a lui che tenta di instaurare un minimo di rapporto in stile “contiamoci”…), indifferentemente che si sia fuggiti dalle smart-satan-cities o meno. Certo che é meglio stare in campagna con asini e capre che uscire per le strade e vedere zombie smartizzanti mascherati con mutande facciali made-in-china tossiche perché terrorizzati di prendersi un raffreddore o un’influenza… 😉
Moreno, ti ho sentito su radio Gamma 5 di Padova per la manifestazione ad Aviano contro la guerra e quelli nati per esportare la demoncrazia (demon-kratos) nei paesi altrui (spesso senza che nessuno gliel’abbia chiesto :/…)!!