LA RUSSIA, L’UCRAINA E I NEOFASCISTI di Angelica Casali *
Ci segnalano e volentieri pubblichiamo
E’ corretto parlare nel 2022 di neofascismo?
Innanzitutto, chiederà giustamente il lettore: è ancora storicamente corretto parlare di neofascismo italiano? Una breve premessa è necessaria. Probabilmente sì, è legittimo se si adotta il metodo analitico del maggiore studioso del fenomeno, lo storico Giuseppe Parlato, allievo di Renzo De Felice e autore di vari saggi sul nazionalismo italiano, sul Movimento Sociale Italiano e sul neofascismo. Secondo Parlato, che diverge su questo dalle tesi di De Felice riguardanti il Movimento Sociale Italiano, la linea egemone almirantiana impedì la storicizzazione del fascismo storico, per la quale si battevano invece altre correnti, come ad esempio quella decisamente reazionaria di radice evoliana che faceva capo a Pino Rauti. Ciò condusse per Giuseppe Parlato ad una sostanziale continuità tra fascismo storico e neofascismo almirantiano. In questo ultimo la lotta frontale contro il “comunismo internazionale” che veniva considerato nella sola espressione Sovietica — mentre vi era una tiepida comprensione per il maoismo cinese o per il socialismo romeno —, si associò ad un velleitario proposito di alternativa al sistema, che dopo la sconfitta della rivolta di Reggio Calabria non fu però più spinto a fondo se in episodiche circostanze (Cfr. G. Parlato, Almirante unì le anime del MSI, tra unione delle destre e alternativa sociale al Sistema, Luglio 2016).
Secondo Federico Robbe, altro ricercatore del neofascismo, “l’ossessione antibritannica” del primordiale mondo missino che proveniva dal fascismo storico, si mescolò ad un nazionalismo mediterraneo e geopolitico “neo-atlantico” e “neo-occidentale” (di qui la solidarietà al sionismo israeliano), che avrebbe dovuto fare dell’Italia mediterranea il centro del nuovo Occidente e che ebbe prima in Aldo Moro e poi soprattutto in Craxi dei notevoli interpreti storici che recuperarono secondo la vulgata neofascista gli originari motivi missini (Luigi Battioni, Memorie senza tempo. Quando fondammo il Msi, Fergen 2009, pp. 248-249).
In modo molto egocentrico e tendenzioso, il nazionalismo italiano almirantiano applicò nella lettura geopolitica del piano internazionale il medesimo modello della guerra civile italiana per procura 1943-1945, quando secondo i neofascisti i comunisti di Togliatti o Secchia vinsero in quanto seppero astutamente utilizzare il sostegno logistico e tattico dell’intelligence britannica, tesi del resto confermata dallo stesso storico Canfora (di cui sono note le sue simpatie per stalinismo e sionismo), che avvalora la tesi dell’omicidio sia di Gentile che di Mussolini come opera di Londra.
Il neofascismo italiano e il Reggimento Azov
Nel contesto del conflitto ucraino tali motivazioni storiche “almirantiane” del neofascismo finiscono per riemergere soprattutto da parte dei militanti di “destra” (Fratelli d’Italia, Casa Pound) che sostengono apertamente Azov, Pravy Sektor e Banderiti ucraini. E’ soprattutto Il Primato Nazionale, organo di informazione online, a divulgare con grande regolarità e con accesso diretto alle fonti notizie riguardanti il nazionalismo ucraino dei Reggimenti neo-banderiti, nazionalisti e anticomunisti operanti nel conflitto. [1] Il documento politicamente più significativo era già stato pubblicato nei primi giorni di marzo del 2022, poco dopo l’invasione russa, quando l’organo dei neofascisti di casa Pound celebrava il “nazionalismo neo-risorgimentalista” ucraino dando voce a un giovane barricadiero insurrezionalista di Kiev che stava andando al fronte per difendere la patria. [2] Secondo i giovani neofascisti italiani, Azov e i nazionalisti ucraini sarebbero i custodi, nel contesto tragico della guerra, del nazionalismo integrale romantico non subalterno alle grandi potenze né dell’Oriente né dell’Occidente. Una pretesa terza posizione di questi tempi oltre capitalismo e comunismo, in chiara continuità con la prospettiva dei giovani missini che nei passati decenni sostenendo la rivoluzione islamica iraniana affermavano il principio del “Né Usa Né Urss”.
Il sito kultureuropa, espressione di un neofascismo più continentale europeista e meno nazionalista rispetto a Il Primato Nazionale, evoca addirittura una occulta alleanza tra Putin e Biden sulla pelle del popolo ucraino e di tutti i popoli europei, come ha fatto lo stesso ex Presidente iraniano Ahmadinejad lo scorso 5 aprile con un messaggio inviato alla stampa internazionale. Anche per quanto riguarda kultureuropa il massimo riferimento identitario simbolico è costituito dal neofascismo pagano del Battaglione Azov che tiene il fronte facendo sì che Kiev non ceda definitivamente al famigerato “neosovietismo imperialista e marxista putiniano”.
Giovani del Blocco Studentesco e altri gravitanti nelle organizzazioni giovanili vicine a Fratelli d’Italia sono peraltro attivi in missioni solidali in Ucraina con altri volontari europei delle varie destre nazionali (tedeschi, francesi, spagnoli e greci). A differenza di neofascisti internazionali che hanno deciso di passare la soglia del fronte di guerra imbracciando le armi a fianco dei “fratelli ucraini” e dell’Azov, la destre giovanili italiane esprimono a livello “umanitario” la propria solidarietà ideologica. La tesi di queste fazioni del neofascismo italiano avrà un valore storico concreto se la nazione ucraina si affermerà e storicizzerà dal fuoco della lotta, dando così un esempio di “riscossa” a altri popoli europei, se le elite filo-occidentali vicine a Zelensky viceversa tradiranno questo ideale nazionalista sarà un pensiero che si rivelerà politicamente perdente.
Il neofascismo italiano, Dugin e la missione metafisica della Russia
Su posizioni completamente differenti si situa il neofascismo filo-russo il cui esponente di spicco è Maurizio Murelli —editore milanese che ha pubblicato moltissime opere del filosofo russo Dughin.
Il 21 aprile 2022 l’editore dichiarava ad organi di stampa italiani che «l ’Ucraina è un campo di battaglia della Grande Guerra Mondiale a cui gli USA hanno dato nuovo impulso e accelerazione negli anni Novanta per imporre al mondo il loro ordine mondiale concependo se stessi, fin dalla propri nascita, come la vera Gerusalemme terrestre, il proprio popolo come il vero “popolo eletto” cui spetta la missione messianica di redimere l’intera umanità. Questa loro visione è ben spiegata da John Kleeves nel libro “Un paese pericoloso” che da editore ho pubblicato per la prima volta nel 1998 e ripubblicato per i tipi AGA Editrice nel 2017». L’editore milanese considera destra e sinistra italiane due semplici diversioni di una medesima ideologia liberale, depotenziando il nazionalismo ucraino di Azov come subalterno all’atlantismo e considerando definitivamente chiusa l’epoca storica di fascismo e comunismo. Si avverte chiaramente, nella sofisticata esposizione di Murelli, l’influenza della strategia duginiana basata sulla visione dell’Eurasia come polo antagonista all’Occidente e sulla Quarta teoria politica dopo la presunta fine storica di fascismo, comunismo, liberalismo. Spiega in proposito Maurizio Murelli: «Nell’ottica di Aleksandr Dugin, poi, fascismo, nazismo e comunismo sono stati una risposta al liberismo tutta dentro la Modernità. La sua posizione ci colloca al di là della post-modernità (quella che viviamo oggi) della modernità, quella che viviamo ieri ed è situata appunto nella pre-modernità, cioè nel mondo della Tradizione. Quindi, in tal senso, è anti-nazista. Bisogna poi ammettere che la chiamata in gioco del nazismo da parte di Putin è una delle cause del cortocircuito che si è determinato nelle “destre” e nelle “sinistre” e dunque, nell’ottica della loro disintegrazione, è stata una chiamata in gioco efficace e benefica».
Secondo l’editore milanese, dunque, Dugin essendo un tradizionalista ortodosso non può che essere un antinazista e un anticomunista. D’altra parte già il barone Julius Evola, grande esponente della dottrina pre-moderna della Tradizione (pagana più che cristiana), durante il regime fascista, come ha mostrato De Felice, ebbe un ruolo marginale per Mussolini che gli preferì di gran lunga l’attualista e modernizzatore Giovanni Gentile. Le tesi filosofiche e geopolitiche di Dugin hanno molto influenzato varie comunità culturali “identitarie” della destra italiana come La Terra dei Padri o Casaggì che hanno nel corso degli anni compiuto anche loro azioni di solidarietà attiva ma verso le repubbliche separatiste filorusse in guerra proprio con i nazionalisti ucraini di Kiev. In Veneto ed in Piemonte settori molto identitari di Fratelli d’Italia sono scesi in campo dal 2014 in sostegno dei filorussi del Donbass organizzando convegni e manifestazioni pubbliche di sostanziale denuncia della strategia della Nato e degli angloamericani ed hanno confermato tale loro posizionamento anche dopo il 24 febbraio 2022. Lo stesso sindaco veronese Sboarina, entrato in Fratelli d’Italia da circa un anno, è chiaramente posizionato in senso russofilo come la maggioranza degli ambienti neofascisti veronesi e veneti.
Ciò che però potrebbe fortemente inficiare questa interessante prospettiva della Quarta teoria politica è il fatto politico e storico concreto che la cosiddetta operazione militare russa, fortemente caldeggiata dagli ambienti duginiani russi, si è posta come avanguardia e punta di lancia di una lotta contro il fascismo mondiale, come i nostri grandi liberatori fecero nel 1945 dello scorso secolo, al punto che lo stesso Dugin, secondo una notizia divulgata anche dai canali italiani che il diretto interessato non ha smentito, pare essere uno degli organizzatori e dei promotori del primo “Congresso Mondiale Antifascista” che dovrebbe tenersi in Russia nel prossimo agosto 2022. Non a caso proprio questo sito, in uno scritto del 24 gennaio 2022 contestava la tesi forte della ideologia della Quarta teoria politica secondo cui fascismo e comunismo sarebbero morti e si scriveva che anche la Russia avrebbe a breve dovuto fare di nuovo i conti con fascismo e comunismo visto che non aveva affatto risolto il problema della sua autocoscienza nazionale. La Russia di Putin si porrebbe dunque come avanguardia mondiale nella lotta al fascismo, sebbene allora l’alleanza con l’India ultra-nazionalista di Narendra Modi e del Rashtriya Swayamsevak Sangh — organizzazione paramilitare induista— sia quantomeno incoerente e tendenziosa. Tale polarizzazione radicale, nella stessa prospettiva della Quarta teoria politica e dell’Eurasia di Dugin, indica che in fondo per quanto si consideri formalmente e astrattamente chiuso l’esperimento storico fascista, “l’epoca del Fascismo di Mussolini” —come la definì profeticamente il bolscevico Zinov’ev nel dicembre 1922 —, sembra invece dar ragione a Parlato secondo il quale, laddove c’è un nazionalismo integrale e anti-universalista è difficile non vedervi una continuità, più o meno coerente, con il fascismo storico del secolo scorso. Questa è, non a caso, la originaria tesi filosofica espressa da Nolte, storico tedesco, tesi che per quanto successivamente superata con la teoria della “guerra civile europea” mai fu però accantonata o ripudiata dallo storico.
Scrisse non a caso nel 1965 il filosofo cattolico e antifascista Del Noce con una intuizione fulminante e insuperata riguardo alla zinov’eviana “epoca del Fascismo di Mussolini”. «In realtà il fascismo sorge su una intuizione estremamente notevole: al di sotto delle realtà delle classi c’è un’altra realtà più profonda, che il comunismo ha ignorato, la realtà delle nazioni: lo prova il fatto dell’arresto di una rivoluzione pensata inizialmente come mondiale. Ma quest’intuizione fu ripensata da Mussolini secondo le categorie del socialismo rivoluzionario in cui era cresciuto; per cui l’affermazione della realtà della nazione portò all’estremo quel momento per cui il nazionalismo trascriveva il marxismo, sostituendo alla lotta delle classi la lotta delle nazioni per la propria sopravvivenza storica – soprattutto per una nazione debole e povera, destinata a morire, come lo era l’Italia del 1919». Tale fulminante visione di Del Noce ci può forse aiutare a comprendere, meglio della propaganda dei vari fronti, neofascisti o antifascisti, il mondo in cui viviamo.
* laureanda con tesi sul neofascismo italiano
NOTE
[1] Estremamente significativo e assai interessante il reportage di Bonazza del 12 aprile dove il comandante di Azov di Mariupol asserragliato nella acciaieria Azovstal dirama il seguente messaggio: “Slava Ukraini! Molti oggi parlano di difendere Mariupol, che stiamo combattendo le forze soverchianti, che stiamo trattenendo una grande orda, che non facciamo entrare i russi, e che stiamo trattenendo l’intero esercito russo. Tutti sono felici, perché l’orda non va oltre. Ma avete pensato a come si sta qui, a come si combatte in queste condizioni, a come si sentono i difensori di Mariupol? È quando ti scrivono: ‘Come stai, amico mio?’ e tu appena cinque minuti fa hai messo un amico che conosci da sette anni in un sacco nero. È quando il tenente comanda meglio e più efficacemente di un colonnello, che per tutta la vita ha ricevuto uno stipendio dallo Stato. Si prende cura di un soldato, si prende cura di un altro, si prende cura di un terzo soldato, e sempre modestamente dimentica se stesso. Dimentica di ricompensare se stesso. Questo è quando il reggimento Azov prende d’assalto una compagnia di forze speciali d’elite. Questo è quando un amico con una ferita grave scappa dall’ospedale perché ha promesso di aiutare i suoi amici. Di aiutare a combattere al fronte. …Quando una piccola e fragile ragazza corre sotto il ‘Grad e salva delle vite……. Soprattutto quelle persone che sono fedeli al giuramento. Persone che sanno che la Russia può essere sconfitta. E voi state combattendo per loro, per quegli ucraini, per quegli amici che hanno già dato la loro vita nella lotta per l’Ucraina. E noi, i difensori di Mariupol, vogliamo augurare al popolo ucraino di tenere duro. Tenere duro. Non dimenticate la lotta. Combattete e vincete. E vi ricordiamo ancora una volta che Mariupol è l’Ucraina. Finché siamo qui, Mariupol continua ad essere ucraina!”.
[2] Lorenzo Cafarchio, prima di intervistare il giovane nazionalista kieviano, scriveva: “ L’Europa è tornata a bruciare. Brulica l’occidente, mentre il tacco di Putin e dell’orso russo si è abbattuto sull’Ucraina. In questa settimana i media italiani e internazionali hanno inondato le nostre case con immagini strazianti provenienti da Kiev. Profughi, armi ed esplosioni: un mantra che riaccende il senso della storia. In questo scenario il popolo ucraino ha dimostrato al mondo intero quanto ancora, nonostante le campagne sradicanti del pensiero woke, sia radicato il senso di Patriottismo, il senso più alto di Patria. In un viaggio senza limiti verso qualcosa di puro, verso gli avi che non hanno smesso di accompagnarci. “Vogliamo la Patria”, scrisse Giuseppe Mazzini, “la Patria una e rapidamente”. E sono i giovani col vessillo gialloblu attorno al collo, i giovani dell’Ucraina, ad invocarla. “Possiamo cedere su tutto, su questo no”.
Molto molto interessante, ringraziamo la ragazza
L’articolo è molto obiettivo a parte il riferimento a sionismo e Msi, la corrente più influente romualdiana fu sempre filopalestinese, filonasseriana e nel 79 fu la prima corrente politica italiana a sostenere la rivoluzione iraniana che di certo che non era sionista, quando tutti inscenavano la campagna sul chador, a iniziare dalle sinistre nostrane!!!
articolo molto interessante e corretto ma non è corretto che il Msi fosse filoisraele. Niccolai, Romualdi, Mennitti. Urso FDG erano tutti filoarabi, Almirante era filofalangista (gemayel fu proprio ucciso da Israeliani !).
Articolo tutto sommato oggettivo, non troppo antifascista a parte il folle riferimento al sionismo, per essere ancora migliore andava riportato il pensiero di Nerozzi…visto si parlava a ragione di Verona…, che non sarà un politico politicante ma è un guerriero …
Lo riporto da Faceb scorso 3 marzo interessasse a autrice
Sono certo che se avessi il coraggio di salire in auto e di recarmi in Ucraina rimarrei affascinato da quei giovani che attendono i Russi imbracciando un fucile. Conosco perfettamente quello stato d’animo che nasce quando si entra in contatto con lo spirito di chi è pronto alla battaglia. E’ uno dei sentimenti più forti che esistano, paragonabile all’amore per una donna. E’ qualche cosa che va oltre la geopolitica, le ragioni ed i torti, i calcoli di interesse. Lo studente, il contadino e l’operaio che diventano guerrieri, la maestra e la casalinga che preparano gli ordigni o pattugliano la prima linea. La bellezza totale. La purezza. Non c’è alcun dubbio che quella gente merita rispetto, ammirazione e solidarietà, nonostante il marciume che stagna nelle retrovie. Penso allo stesso modo che anche dall’altra parte ci siano giovani guerrieri che affrontano le paure e le esitazioni che ogni uomo ha di fronte alla fredda minaccia della morte, convinti di lottare per un grande ideale spirituale che si contrappone al disastro tossico sparso dall’Occidente liberista su tutto il continente. Da una parte e dall’altra ci sono Uomini e Donne che per il solo fatto di saper affrontare la morte o la mutilazione tenendo nel cuore la fiamma della Patria e dell’Idea vanno guardati da noi come luminosi esempi di dignità e di ardimento. E’ lancinante, per noi spettatori da divano, osservare questa umanità bruciare per dei calcoli che nulla hanno di così nobile. Ma i loro singoli sacrifici, il loro sangue versato, il tremore di fronte all’acciaio che li sta schiacciando, sono offerte sull’altare di un rito universale che da tempi immemori forgia i migliori tra noi. Nel paradosso di uno scontro che in realtà celebra l’unione di chi ha deciso di non piegarsi di fronte alle follie che il nemico dell’armonia impone a masse di belanti pecore senza alcuna speranza. Nemmeno quella di morire in piedi.