UN BILANCIO DELLE ELEZIONI IN SPAGNA di Manolo Monereo
Bisogna partire dalla cosa più importante: il sistema elettorale, ancora una volta, ha penalizzato le forze minoritarie, continua a erodere gravemente il reale pluralismo del Paese e sta svilendo la democrazia costituzionale. Come ha validamente sostenuto Javier Pérez Royo, le norme che regolano il diritto di partecipazione politica sono precostituzionali e materialmente incostituzionali; favoriscono il bipartitismo e, fondamentalmente, assicurano il potere di chi governa ma non si candida. La prima condizione per ridare il mandato a Pedro Sánchez sarebbe dovuta essere cambiare il sistema elettorale, tutto il resto è secondario; insisto, secondario. Alla fine questa sarebbe stata la prova del nove che si fa sul serio, che si vuole davvero cambiare le cose e sconfiggere le destre.
Torniamo alle elezioni del 23 luglio. I sondaggi disegnavano almeno due scenari: a) un ritorno al 1996, cioè una maggioranza di destra precaria e debole e un Psoe che in ripresa, come sempre, trasformando le proprie debolezze in punti di forza. Era, ricordiamolo, il tempo in cui Aznar parlava catalano e negoziava con il “movimento di liberazione nazionale basco”; b) il quadro del 1977, cioè un ritorno a un “bipartitismo imperfetto”, dove Vox avrebbe occupato il ruolo di Alianza Popular e Sumar quello di un PCE rafforzato. Mi interessa questa formulazione di Iván Redondo perché ci consente di introdurre un’idea — che lui tuttavia non sviluppa — che mi sembra centrale, e cioè che queste elezioni hanno avuto per le destre unificate il carattere di una “sbarramento di regime”, di chiusura del ciclo (quello del 15M), di restaurazione su nuove condizioni del quadro politico-costituzionale. I risultati, lo sappiamo tutti, non sono stati quelli previsti dai sondaggi. Alla fine, quello che c’è è un pareggio strategico tra due blocchi, uno guidato dal PP e l’altro egemonizzato dal PSOE; Il fatto che detto pareggio sia o meno “catastrofico” dipenderà dalle soluzioni politiche in contesti, non va dimenticato, di mutamenti sostanziali nei rapporti di forza nel sistema-mondo e, per quanto ci riguarda, nell’Unione Europea.
Le strategie elettorali sono state abbastanza simili a quelle applicate nelle elezioni regionali e comunali, ma con mutata posizione degli attori. Il “tutti contro Sánchez” è stato sostituito da un “tutti contro il governo di coalizione PP/Vox” facendo della paura l’asse di una campagna che il PSOE è andato trasformando in una “coalizione difensiva” che alla fine ha raggiunto il suo obiettivo: impedire il governo delle destre unificate. Il Partito Popolare, spinto da sondaggi troppo favorevoli, ha messo in atto una strategia che minimizzava i rischi e lasciava ai propri media il grosso delle munizioni offensive. Dopo il dibattito con Sánchez, Feijoo pensava di aver vinto la partita e che l’importante fosse mantenere il vantaggio e non perdere; grande errore, soprattutto nel caso di Sánchez. PSOE e Sumar, apparsi per la prima volta in campagna, sono passati all’offensiva e si sono dedicati, con successo, a smantellare la figura del candidato Núñez Feijoo e a svelare i contenuti degli accordi tra PP/Vox in diverse comunità autonome.
La campagna di Sumar è stata chiara fin dall’inizio: essere la sinistra complementare del PSOE. La complicità mostrata tra Sánchez e Yolanda Díaz è stata fatta al servizio del governo di coalizione da un chiaro impegno a favore della sua riedizione. Non c’è mai stato spazio per la differenziazione e per l’esercizio di una strategia autonoma. Non entro in tema di liste, veti o fuoco incrociato tra diverse formazioni politiche. Né mi addentrerò in un aspetto che ritengo decisivo, la mancanza di un’analisi seria e dettagliata del motivo della debacle elettorale nelle passate elezioni autonome e comunali. Quello che si può dire è che Sumar non è riuscita a invertire la tendenza al declino di Unidas Podemos, in un contesto dominato da un’aggregazione di forze senza precedenti (più di 15) e da un sostegno mediatico sconosciuto per quello che viene chiamato lo spazio a sinistra del PSOE. I dilemmi strategici della formazione di Yolanda Díaz sono ancora tutti lì nella speranza di restare al governo. Sumar è stato progettato per accompagnare Pedro Sánchez e rendere praticabile la riedizione di una nuova maggioranza parlamentare con le forze sovraniste e indipendentiste.
La realtà politica ha diverse facce che non sempre si manifestano. Si parla ancora di polarizzazione e bipartitismo politico come cose diverse. Non si tiene conto del grande consenso esistente tra le forze politiche più significative. I poteri costituiti sono riusciti a strappar via al dibattito pubblico, niente di più e niente di meno, la guerra in Ucraina, l’indiscusso e indiscutibile sostegno alla politica militare della NATO, il massiccio invio di armi nella zona del conflitto o il sostanziale aumento del budget delle spese militari. La sinistra, in pratica, come mezzo di consenso per governare, è diventata atlantista e ha finito per assumere la politica estera statunitense, che mira a organizzare la sconfitta politico-militare, economica e tecnologica della Cina. Parlare della politica di difesa e sicurezza della Spagna come se fosse un problema più paragonabile al dibattito sul reddito minimo vitale equivale al non sapere bene dove si sta e quali rischi corrono le nostre popolazioni.
È sorprendente che forze che ostentano un europeismo rigoroso ed esclusivo accettino, senza discussione e senza dibattito pubblico, le mutazioni in atto nell’Unione Europea. L’asse franco-tedesco non funziona più, la leadership politica è esercitata con forza crescente dalla Nato e il centro di gravità del potere continua a spostarsi fortemente verso est. L’Ue vive, in pratica, in uno Stato di eccezione permanente che sta sostanzialmente modificando la sua “costituzione materiale”. Il rialzo dei tassi di interesse, la lotta all’inflazione riconvertita in obiettivo fondamentale, il ritorno alle regole del risanamento fiscale [Patto di Stabilità, NdR] sono dati di una realtà, di una correlazione di forze politico-sociali che puntano al predominio di un liberismo conservatore e fortemente autoritario. Meloni non fa eccezione. All’orizzonte la deindustrializzazione dell’Europa, una crescente dipendenza energetica e tecnologica dagli USA e la riduzione delle libertà pubbliche e dei diritti sociali.
L’estrema polarizzazione, come denunciano con insistenza i media, funziona nascondendo il consenso di fondo e si esercita in uno spazio colonizzato dal pensiero liberal-conservatore. La polarizzazione avviene tra una destra sempre più dura e vendicativa e una sinistra debole, senza progetto e — va sottolineato — sulla difensiva. L’unica cosa che fa la differenza, per ora, è la difesa dei diritti sociali. Si dice che non ci sia stata sconfitta politico-culturale proprio quando la Spagna conosce un pareggio strategico tra blocchi e la destra è stata sull’orlo della maggioranza assoluta. Rifiutarsi di vedere la realtà così com’è e confondere le voci con gli echi è sempre un preludio alla sconfitta. Questa polarizzazione (asimmetrica) favorisce il bipartitismo e spinge a destra il sistema politico. La restaurazione ha fatto molta strada.
Quali le via d’uscita? Fondamentalmente due: governo di grande coalizione o elezioni anticipate. Entrambi sono correlate e saranno pilotate con mano ferma da Pedro Sánchez. Il candidato del PSOE cercherà, prima di tutto, di dimostrare l’isolamento di Feijoo e la sua incapacità di stringere alleanze con forze diverse da Vox. Sánchez non ha fretta e stabilirà bene il ritmo; in secondo luogo, eserciterà una forte pressione su Junts [indipendentisti catalani, NdR], rendendoli responsabili di un’eventuale ritorno alla urne. Non bisogna dimenticare che i migliori risultati del PSOE sono stati in Euskadi e in Catalogna. Ripeto, entrambe le soluzioni — chiedere nuove elezioni o la possibile formazione di un nuovo governo di grande coalizione — sono correlate e fanno parte di un unico gioco strategico. Ogni atto, ogni iniziativa sarà pensata in chiave elettorale. Presto i media di destra — e non solo loro –+— passeranno all’offensiva; le parole chiave saranno stabilità e governabilità.
La sinistra a sinistra del PSOE (la subalternità è epistemica) è obbligata a un dibattito strategico. Sono scettico che accadrà e che l’opzione di governare con il PSOE sia già predeterminata. Temo che il dibattito programmatico sarà debole come nella fase precedente e che le questioni decisive continueranno ad essere eluse; tuttavia, insisto, il dibattito strategico è assolutamente necessario. Se Sumar ha mostrato qualcosa, è la sua debolezza organica, la sua eterogeneità e la mancanza di un progetto credibile. Non è una novità e viene dai tempi di Unidos Podemos. Ad ogni elezione, più progressi del bipartitismo, meno voti ed erosione della base militante e dei legami organizzati nei territori. Sumar gioca nel territorio e con le regole dei partiti sistemici e questo ha un grande peso. Far parte di un governo come quello che sta arrivando potrebbe finire per essere la fine di una sinistra alternativa spagnola con l’ambizione di trasformare davvero il Paese. I venti stanno cambiando in peggio ei margini di manovra si stanno restringendo sempre di più.
La sinistra, a mio avviso, dovrebbe porre l’accento sulla sua ricostruzione programmatica, politica e organica, avviando un processo costituente. Le invenzioni, le scorciatoie, le mosse mediatiche hanno vita breve, soprattutto quando stiamo vivendo momenti di eccezione, di transizioni geopolitiche accelerate, cambiamenti storici. Si può favorire un governo senza esserci, riorganizzandosi nella società e costruendo un’alternativa autonoma dal punto di vista delle classi subalterne. La condizione preliminare è rompere con il politicismo e avere un proprio pensiero all’altezza delle sfide dei tempi. Il nostro non è mai stato facile.