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UNA SEPARAZIONE NECESSARIA

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«Il più disgraziato e pernicioso prodotto del fascismo è l’antifascismo»

[Amedeo Bordiga]

Al culmine di una breve controversia interna, alcuni attivisti hanno deciso di abbandonare il Fronte del Dissenso. Di seguito il documento con cui il Direttivo Nazionale espone le vere cause del dissidio e le ragioni che hanno reso la separazione un atto necessario di buon senso.

*   *   *

Tre sono le condizioni che debbono essere soddisfatte per poter convivere in armonia nella medesima comunità politica: condivisione piena del programma e degli scopi, osservanza delle regole interne, massima lealtà e rispetto verso i compagni di partito. Quando queste condizioni vengono a mancare — divergenza sugli scopi, violazione delle regole, disprezzo fino alla diffamazione dei propri compagni anche all’esterno dell’organizzazione —, ogni coesistenza è impossibile e, la separazione, un atto inevitabile.

Nemmeno due mesi e mezzo fa, a coronamento di una fase di crescita e consolidamento, il Fronte del Dissenso ha celebrato la sua Assemblea nazionale Costituente, conclusasi con l’approvazione di un Manifesto che a premessa afferma:

«Oggi l’umanità, alle prese con un passaggio inedito, deve sciogliere il dilemma: accettare o impedire che venga alla luce la creatura che il sistema del capitalismo globalizzato porta in grembo. Al mostro in gestazione abbiamo dato un nome: Cybercapitalismo.

(…)

Chi non prende atto delle incalcolabili conseguenze dei mutamenti in corso, chi non riesce a individuare il nuovo nemico e l’ideologia di cui si serve, chi resta prigioniero del passato, è condannato all’irrilevanza politica. Non c’è possibilità di battere il nuovo nemico accettando i suoi paradigmi, dobbiamo invece opporre un’alternativa visione dell’uomo e del mondo. La ricaviamo attingendo all’immenso deposito spirituale di idee, cultura e di esperienze delle differenti civiltà da cui raccogliamo gli ideali universali di libertà, fratellanza ed eguaglianza sociale. Rivendicare le migliori tradizioni della nostra civiltà non significa tuttavia disconoscerne le responsabilità e i nefasti sviluppi. Per questo condanniamo il colonialismo, l’imperialismo e il razzismo in ogni loro forma.

(…)

Siamo rivoluzionari consapevoli che per poter cambiare il mondo occorre prima di tutto conservare tutto quanto in esso c’è di vitale, di sano, di imprescindibile. Non siamo tuttavia reazionari: il rispetto delle tradizioni non giustifica nessuna nostalgia oscurantista. Difendiamo le conquiste sociali strappate dai lavoratori nel corso della storia. Difendiamo i diritti di libertà ottenuti dalle rivolte giovanili e dei movimenti delle donne degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, diritti che l’élite oligarchica ha cannibalizzato strumentalmente per far passare la sua concezione aberrante di progresso».

Questo Manifesto, che in maniera inequivocabile traccia la nostra direzione di marcia e disegna la nostra identità politica, ha incontrato alcune resistenze interne. Protagonisti di queste resistenze proprio coloro che hanno abbandonato il Fronte. Di che tipo di opposizione si trattava? Di eredi, pur a vario titolo, della tradizione ideologica della sinistra comunista novecentesca. Per costoro non saremmo in presenza di alcun salto di specie del sistema capitalistico, i cui mutamenti sarebbero invece solo di facciata; l’élite dominante è una classe reazionaria, anzi intimamente fascista; di qui la difesa integrale dell’eredità del comunismo novecentesco, ivi comprese le sue nefandezze. Posizioni molto distanti da quelle espresse nel Manifesto.

La speranza che si potesse convivere con questa tendenza si è rivelata vana. Quella che poteva essere una ricchezza per la stessa crescita teorica dell’organizzazione si è purtroppo rivelata un fardello. La resistenza è diventata una vera e propria opposizione con lo scopo recondito di trasformare il Fronte in un ennesimo e inutile gruppo di estrema sinistra.

Tra i diversi modi coi quali questa tendenza poteva venire allo scoperto i fuoriusciti hanno scelto il demagogico camuffamento dell’antifascismo. Ci è stato infatti chiesto di assumere la “discriminante dell’antifascismo democratico e costituzionale” come costitutiva e suprema cifra della nostra identità politica.

Abbiamo respinto con fermezza questa pretesa perché sbagliata sul piano teorico e pratico, in aperto contrasto con lo spirito e la lettera del Manifesto. Sul piano teorico perché l’identità politica dipende dalla visione del mondo e non da una mera dichiarazione oppositiva ad una delle tante forme in cui si manifesta il dominio capitalistico — sotto le insegne dell’antifascismo stanno infatti le più disparate correnti ideali e politiche. E’ così significativo che i fuoriusciti abbiano aggiunto al sostantivo “antifascismo” gli aggettivi “democratico e costituzionale”, segno inequivocabile di subalternità a quello di marca liberal-borghese.

Se “anti” è prefisso che sta per opposizione noi siamo al contempo antimonarchici, antiliberisti, antimperialisti, antiatlantisti, antieuropeisti, antioligarchici. Posto che siamo anzitutto anticapitalisti l’elenco delle “discriminanti” potrebbe astrattamente, ma sterilmente continuare. No quindi ad una concezione oleografica del concetto di “discriminante”, che è invece criterio politico concreto: a seconda del momento storico e politico, del contesto sociale e nazionale, può prevalere questa o quella “discriminante” o possono darsene di nuove.

E’ forse il fascismo reazionario che abbiamo alle porte? Per niente, avanza al contrario, sotto le insegne di un nichilismo materialistico, il Cybercapitalismo, un mostro che si presenta come demiurgo del progresso tecnocratico senza freni, come paladino libertario dei “diritti umani”, come custode di un cosmopolitismo antinazionale, antistatalista e antifascista. Se è sommamente sbagliato scambiare il Cybercapitalismo per una reincarnazione del fascismo, è del tutto sterile invocare l’antifascismo in assenza di fascismo.

Un’etichetta, quella dell’antifascismo, non solo improduttiva ma disfunzionale alla nostra causa poiché invece di aiutare i cittadini a comprendere la nostra differenza con i soggetti politici al servizio del nemico principale, ci fa apparire come collaterali o peggio satelliti. Mentre occorre delimitare le zone semantiche di promiscuità col nemico; mentre si debbono usare concetti, parole e linguaggi per tracciare la linea che ci separa dal nemico; bisogna evitare di appiccicarsi addosso etichette che invece di fare chiarezza aumentano la confusione, la quale aiuta sempre i dominanti mentre disarma le classi subalterne. E’ un fatto che l’élite mondialista e i suoi ideologi squalificano tutti i loro avversari come “fascisti”: lo sarebbero Trump e Putin, Erdogan e Netanyahu, Le Pen e Afd. La Cina sarebbe un paese fascista come l’Iran e tutti gli “stati canaglia”. Una categoria politica è diventata così un marchio d’infamia e un superficiale sinonimo di regime autoritario e violento.

Ogni sforzo per mantenere la discussione politica e teorica su un piano di confronto dialettico razionale è stato vano. “Il mio animo è antifascista, io sono antifascista, è un sentire da cui non posso prescindere”. Si capisce, da questa affermazione di uno dei fuoriusciti, che per essi l’antifascismo è un religioso atto di fede: al posto del male ontologico il fascismo metafisico e imperituro.

Se c’era una residua possibilità di convivenza essa è stata minata alle fondamenta quando i fuoriusciti sono giunti a bollare alcuni nuovi militanti che erano appartenuti a movimenti di “destra sociale”, come “infiltrati fascisti”. Invece di ritrattare questa grave calunnia essi hanno accusato la direzione di “trasformare il Fronte in un movimento di destra” e di aver imboccato una “deriva reazionaria”. Non abbiamo solo considerato un dovere di lealtà difendere i militanti ingiustamente accusati, abbiamo rivendicato come un punto di forza del Fronte del Dissenso la capacità di accogliere cittadini di diversa origine politica e di accettarli come fratelli e sorelle, posto l’accordo sui principi e il non aver commesso crimini politici.

Si doveva difendere il Fronte del Dissenso come un’organizzazione politica, si doveva impedire ai morti di allungare le mani sui vivi, si doveva evitare che diventassimo una setta religiosa di sinistrati psicotici terrorizzati dall’idea di venir “contaminati”.

Si dice che le separazioni siano sempre dolorose ma spesso necessarie. Non sempre è vero che “l’epurazione rafforza l’organizzazione”.

Questa volta lo è.

Il Direttivo Nazionale del Fronte del Dissenso

11 luglio 2023

5 pensieri su “UNA SEPARAZIONE NECESSARIA”

  1. Antimperialismo AntiGender AntiDavos dice:

    Ha naturalmente ragione il Fronte del Dissenso, unica forma di Sinistra Antagonista, nazionale e antiglobalista. La questione fascismo/antifascismo va oggi decisamente superata e lasciata agli storici (nè fascisti nè comunisti nè liberali), Siamo in presenza di un tentativo di mutamento antropologico, post-umano o forse esplicitamente anti-umano secondo taluni teorici lgtbq per cui l’umanità sino a oggi sarebbe stata sempre -appunto- fascista, maschilista, patriarcale, reazionaria; tale tentativo è basato sull’imposizione sociale dell’Ideologia Gender, una vera e propria forma di Totalitarismo strisciante. Piuttosto che dividersi su fascismo ed antifascismo occorrerebbe oggi dividersi, teoricamente e praticamente, su gender sì (Silicon Valley/Davos/Dems/Deep Church/Deep State/Big Pharma) gender no (Trump/De Santis/Kennedy/Putin/Erdogan/Islam/ Mons. Viganò): non si può più ignorare il problema, è questo il problema massimamente politico di questi tempi.

    1. Francesco dice:

      Concordo.
      Chi oggi evoca il “pericolo fascista” (…in assenza di fascismo)
      O è consapevolmente organico al Potere… O è politicamente incapace di leggere la realtà: simile ad un generale che volesse approntare i suoi piani di guerra usando mappe risalenti a 3 secoli prima.
      Tertium non datur.

      Francesco F.
      Manduria (Ta)

  2. Ares dice:

    Usare etichette è un modo per disumanizzare , prendere distanze, dividere; è un modo per agevolare la macchina del fango . Non a caso modi di tentare di screditare gruppi anche solo critici sono stati quelli di voler indicare ad esempio gruppi come “No-Vax”, “putiniani” o quant’ altro; o ancora, sempre giocando con la sintassi , si cercano di far passare messaggi irrazionali ( quali far passare per unica ancora di salvezza un “vaccino” che non è nemmeno tale ). (O , se di interesse il comunismo, al comunismo sono state associate etichette come “totalitarismo” o altro; ricordo peraltro che in Italia c’ è stato un periodo dove si usava così tanto il termine “comunista” per indicare qualsiasi forma di opposizione non in linea con un certo partito o linea di governo tanto che la parola era stata ripresa come slogan da vari soggetti di satira attivi nel periodo ).
    Usare etichette in maniera indistinta, per riempirsi la bocca della sintassi, è quindi porta per la diffamazione, l’irrazionalità, l’evitare analisi puntuali.
    Le etichette hanno senso se usate in modo semantico , se si distingue ad esempio come “No-Vax” chi si comporta da “No-Vax” (invece che ad esempio da “free-vax”); se si distingue “putiniano” da “filorusso” , da “anti-Nato” o quant’altro; le etichette sono usate correttamente quando usate con la corretta semantica di parole e quindi associate a determinazioni opportune.
    E’ quindi “fascista” chi opera da “fascista”, non chi ci sta antipatico per qualche motivo; se si slega “fascista” da un significato semantico e si usa come etichetta favoriamo irrazionalità e incomprensioni.
    Anche dal punto di vista razionale si rischia di cadere nella fallacia logica “ad hominem”, dove un argomento corretto viene ritenuto sbagliato non per motivi semantici ma per le negatività non pertinenti rispetto alla semantica dell’argomento che si associano al soggetto che espone l’argomento. 2+2 fa 4 anche se a dirlo e la persona più antipatica, mostruosa, incivile, … che conosciamo e conseguentemente per quanto quella persona possa tendere a sbagliare su molti aspetti quando però dice 2+2=4 sta dicendo il vero, sta dicendo una cosa corretta .
    Saper apprezzare e condividere i contributi altrui, poter vivere con altri che la pensano anche diversamente da noi sono peraltro obbiettivi di molti processi democratici o di pace, quindi anche solo in ambito civile si cerca spesso di convivere e accogliere apporti di chi anche non pienamente in sintonia con noi. (Perfino in ambito religioso anche le religioni che non sono di tipo manicheo riconoscono la possibilità di cercare di convertire il miscredente, recuperare la pecorella smarrita o trarre il bene dal male, tra alcuni esempi; perfino quindi casi che potrebbero invocare argomenti forti come un radicalismo religioso si lasciano quindi invece aperture a certe possibilità).

    Se il Fronte del Dissenso si batte contro il “Cybercapitalismo” e il Cybercapitalismo è una forma di capitalismo , nuova o vecchia forma che sia, “salto di specie” o meno che sia, il Fronte del Dissenso sta combattendo contro una forma di capitalismo peraltro diffusa, attiva e operante nel suo tempo e quindi chi si iscrive al Fronte del Dissenso per combattere il Cybercapitalismo sta cercando di combattere una forma di capitalismo recepita attiva e in pericolo di imminente ulteriore sviluppo.
    Chi quindi si iscrive al Fronte del Dissenso per combattere il “Cybercapitalismo” , per quanti altri difetti o limiti possa avere , sta cercando di combattere una forma di capitalismo; se questo è un gesto “fascista” allora che si combatta o meno il capitalismo si è fascisti, quindi la questioni posta dai fuoriusciti è irrilevante determinando sempre e comunque a priori un responso di “fascista”.
    Se invece combattere il “Cybercapitalismo” non è un gesto fascista allora chi lo compie , indipendentemente da altri meriti o trascorsi o altro, sta dando un contributo che almeno limitatamente alla questione non è “fascista” perché non coincide pienamente con la semantica di “fascismo”, non coincide con un comportamento di solo stampo fascista.

    Ora è vero che non tutte le adesioni sono uguali e la diversità di background culturali porta a diversità di sfumature, di impegni, di volontà di impiego; le divergenze di background potranno quindi rendersi manifeste al variare della situazione. Ma, se l’emergenza in corso è comunemente nota e individuabile, sparare sull’altro del nostro esercito perché ci è antipatico è un regalo che facciamo al nemico. Il nemico del mio nemico è mio alleato ; se sono io a sparare su un mio potenziale alleato, su un potenziale nemico del mo nemico, sto facendo un regalo al mio nemico. Eventuali “fascisti” che si unissero al Fronte del Dissenso per combattere il cybercapitalismo starebbero dando un contributo verso una forma di capitalismo mentre chi cerca di dividere e fare distinguo per motivi di etichetta e non di comportamento semantico aiuta il nemico a tenere disgiunte, separate, indebolite e isolate le forze anti-sistema.

    Il Fronte del Dissenso recepisce la necessità di combattere quella forma di organizzazione negativa, quella forma di capitalismo nuova o vecchia che sia , individuata come Cybercapitalismo e avvertendone la necessità di contrastarla rispetto ai suoi tentativi di realizzazione immanenti e in corso. Chi ritiene di avere visioni più ampie del Fronte del Dissenso o per altro motivo ritiene (purtroppo) necessario distinguersi si separi pure ; ma si spera che anche quando separato continui ad avvertire la necessità di combattere il nemico imminente (lo fanno anche i “fascisti” che si iscrivono al Fronte del Dissenso) e che quindi continui a dare un contributo, interno o esterno che sia, per far fronte alla minaccia comune.

    Nel frattempo, ringraziamenti vanno al Fronte del Dissenso che cerca di combattere il Cybercapitalismo , ringraziamenti ulteriormente sentiti se nel farlo cerca di avere un “fronte”, una composizione, più ampia possibile per ampliare e rendere meglio effettivo il contrasto con le negatività Cybercapitaliste .

  3. Ginevra dice:

    Condivido, tra l’altro anche la Sinistra americana, con Bob Kennedy, sta cambiando rotta! Altro che fascismo primo nemico, parole d’ordine di Neocon e Globalisti, è l’agenda Gender 2030 il primo nemico…,

  4. Giuseppe dice:

    Ben fatto ,l’ossessione dell’etichetta :”antifascista” è divenuto il mezzo mediante cui ci si trova affratellati ai nemici più efferati dei lavoratori e dell’umanità. Mi ricordo quella Piece di Fo” Tutti uniti, tutti insieme scusa ma quello non è il padrone?”

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