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CHI C’È DIETRO ALLA SILICON VALLEY di Francesco Centineo

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Quando si parla di “controcultura” e di Silicon Valley solitamente si volge lo sguardo al Flower Power e ai vari Timothy Leary, Aldous Huxley, ed ai grandi movimenti contro la guerra in Vietnam, ai grandi concerti, a Jimmy Hendrix ed ai Grateful Dead ed alle droghe sintetiche, ai viaggi triptaminici dei grandi Guru neospiritualisti ed alle più svariate utopie fricchettone e fricchetoidi. Ma questa non è stata l’unica rivoluzione siliconiana; nel frattempo, un’altra vera e propria rivoluzione si compieva nella valle del silicio e della quale poco si parla.

Eric Sadin nel saggio La Siliconizzazione Del Mondo affronta con piglio brillante l’argomento sviscerando con un’analisi dettagliata e puntuale tutti gli accadimenti, i risvolti e l’impatto di questa sotterranea rivoluzione che nell’ombra si insinuava e metteva radici profonde. Così’ alla fine degli anni ’60 mentre “La controcultura californiana aveva vissuto la sua stagione più intensa. Parallelamente era andata dispiegandosi un’altra forma controculturale, che però non ne portava il nome. Non aveva niente di solare e mirava a tutt’altri obiettivi. Agiva e si sviluppava sullo stesso territorio da molto più tempo, ma in maniera discreta e senza ostentazioni.”

Una rivoluzione silenziosa e travolgente che non mirava alla contestazione aperta dello status quo ma un progetto destinato a scardinare vecchi paradigmi ed a favorire lo sviluppo di un nuovo modello, di un particolare ambiente tecnico-scientifico, una rivoluzione sostenuta da svariati apparati coinvolti nello sviluppo di tecnologie d’avanguardia con lo scopo di creare un polo tecnico-scientifico-industriale autosufficiente a favore del “progresso” della nazione americana (progresso militare) ed avvalorarne la potenza.

Scrive Sadin che “Nella regione di San Francisco alla fine degli anni Trenta sorge per l’appunto l’ambizione di trasformare «un paradigma sociale o scientifico o estetico esistente» e di proporre un modello capace di autosostentamento per formalizzarsi poi nella creazione di un ambiente infrastrutturale tutto nuovo”. La nascita in buona sostanza del modello del partenariato pubblico-privato e di contempo la riduzione dell’università e del sapere scientifico a stampella dell’industria militare ed economica.

Per Sadin “L’intenzione dichiarata era quella di concentrare scienziati, ingegneri, studiosi di alto livello e di ogni disciplina insieme a dirigenti militari e industriali, per far germinare dalle loro mescolanze fruttuose sinergie. […] questo specifico ambiente militare-industriale portò alla fabbricazione di potenti radar, aeroplani calcolatori e intratteneva rapporti col Manhattan Project, preposto alla realizzazione delle bomba atomica e diretto da Robert Oppenheimer a Los Alamos, ne New Mexico”.

L’Università di Stanford diventerà il centro, il punto nevralgico da cui si svilupperà l’impero della Silicon Valley grazie soprattutto all’intuizione di “Frederick Terman, direttore del dipartimento Electrical Engineering di Stanford e futuro vicerettore della stessa universalità, nel dopoguerra si sarebbe ispirato a quello stesso modello e avrebbe inserito la medesima logica interdisciplinare all’interno del suo campus. […] Frederick Terman fu uno dei “padri fondatori” della “prima Silicon Valley”. Allora ne vennero fissati i principi fondamentali, basati sul primato dell’alta tecnologia, l’eccellenza universitaria, le partnership fra industria elettronica e ambiente militare , e infine una mentalità tesa a valorizzare l’iniziativa imprenditoriale, nucleo primario di quella che sarebbe stata poi chiamata «cultura del rischio».”

Ed ecco qua tutti gli elementi che hanno reso la Silicon Valley il luogo che tutti noi conosciamo, dove proliferano le Start Up ed i Venture Capitalist promuovono ed investono in esse. Un luogo iper concorrenziale in cui milioni di giovani competono aspirando a diventare il nuovo Bill Gates, il nuovo Steve Jobs, Elon Musk o Mark Zuckeberg, quelli che Sadin chiama con l’appellativo di “criminali in felpa”.

Questi squali multimiliardari che hanno ridotto il mondo ad un luogo pieno di ingiustizie ed accumulato capitali sulla pelle dei popoli del mondo, creando con le loro multinazionali una società castale su scala globale, in cui da un lato ci sono loro i nuovi plutocrati ed i loro scagnozzi: ingegneri e scienziati strapagati per le loro conoscenze e vero motore di questa rivoluzione, e dall’altra ci siamo noi: il caporalato digitale a servizio della sharing economy e ancor dopo di noi ci sono gli schiavi che nel terzo mondo lavorano in condizioni disumane alla produzione delle nuove tecnologie, intossicati, sfruttati e sottopagati, al limite della soglia di sopravvivenza.

Ma la vera mossa geniale fu quella propagandistica del mito fondativo su cui si regge la narrazione del self-made man, dell’imprenditore venuto dal basso, quel mito della Silicon Valley a cui milioni di giovani ambiscono: il mito del garage. Quel mito che nacque sotto l’influsso di Frederick Terman, il quale, in nome di quella “cultura del rischio” tanto sbandierata “incoraggiava i suoi studenti a fondare le loro società in zona anziché unirsi a quelle situate a est. I primi a seguire il suo consiglio furono William H. Hewlett e David Packard, che nel 1938 crearono il loro primo prodotto un oscillatore audio, in un garage di palo Alto situato al 367 di Addison Avenue, sulla cui facciata oggi campeggia una targa con su l’iscrizione: «In questo garage è nata la prima regione mondiale ad alta tecnologia, la “Silicon Valley”»

Ed ecco qua la narrazione perfetta, la quale necessitava di un mito fondativo ed il garage designa appunto questo: il mito della fondazione. Come osserva Sadin “Il garage designa la scena primaria , quella dell’impulso iniziale, il luogo della “ribellione originale […] il garage è un emblema ha molto più a che fare con un’architettura leggendaria che con la realtà storica. Mito fondatore, testimonianza della capacità di creare, non ex nihilo ma a partire da un’intuizione forte, da un’idea giudicata promettente all’interno di una cornice flessibile, un prototipo a vocazione imprenditoriale già costituito. Il Dna originale della Silicon Valley consiste nel contestare una struttura esistente che si giudica obsoleta a partire da una visione industriale ancora informe ma che incarna l’avvenire”, quel mito che oggi ritroviamo nella follia della quarta rivoluzione industriale, della disruption digitale e della distruzione creatrice. Il capitalismo è proteiforme e vive di rivoluzioni e stravolgimenti, ma sempre a beneficio dei padroni, su questo non c’è alcun dubbio.

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