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CHIESA, TECNICA E TRANSUMANESIMO di Moreno Pasquinelli

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Questa è una breve chiosa ad un importante articolo apparso il 29 luglio su Avvenire, che pubblichiamo più sotto. L’autore è un noto filosofo cattolico: Vittorio Possenti. Brano interessante poiché, almeno ai miei occhi, svela i limiti, anzi la fallacia, del discorso cattolico sulla Tecnica, sullo scientismo e sulle distopie del transumanesimo.

Il Possenti pone a premessa della sua indagine una certezza ontologica: nulla può cambiare l’essenza umana nemmeno la “volontà di potenza della tecnica”. E non può, appunto, perché essendo essa plasmata e consegnataci da Dio, per sua natura sarebbe indisponibile agli uomini medesimi. Il Possenti attacca il determinismo e la concezione macchinica e materialista dell’uomo propri dello scientismo e del fisicalismo riduzionista, e lo fa formalmente in nome “della coscienza, della libertà e della volontà” che distinguono l’umano dalla macchina. In verità porta sostanzialmente il suo attacco in nome di un determinismo rafforzato, ovvero un predeterminismo teologico.

Possenti non s’avvede che proprio questo actus fidei è il punto debole del suo ragionamento, di converso il punto di forza dell’ideologia transumanista: la promessa prometeica di una super-libertà, di una libertà sconfinata che giunge fino al superamento definitivo dei limiti posti dalla natura e dalla storia, l’emancipazione dell’uomo dalla sudditanza al divino, diventando cioè divino egli stesso.

Ora, se per essenza s’intende ciò che non solo è stabile, che è immutabile e per sempre dato (il parmenideo ed eterno Essere), allora quello che chiamiamo cybercapitalismo non può effettivamente cambiare l’essenza umana, e i transumanisti sono quindi destinati a fatale sconfitta. Forse, invece, anche l’umana essenza è figlia di un processo vivente, un risultato storico-sociale, anch’essa è sottoposta a mutamento. Proprio grazie alla tecnica è infatti oggi possibile non solo plasmare la coscienza bensì manipolare la stessa struttura biologica e anatomica dell’essere umano. Ecco allora il minaccioso punto epocale di svolta a cui siamo giunti col cybercapitalismo, che dobbiamo combattere perché comporta un antropologico, catastrofico e possibile salto di specie. Considerarlo impossibile può essere consolatorio ma è sbagliato in linea teorica e disarmante sul piano politico. Ricordiamo l’ammonimento di Dostoevskij: l’uomo è un campo di battaglia tra Dio e il Diavolo, la posta in palio è l’anima.

C’è infine un secondo evidente punto debole della critica cattolica (quella ufficiale colta quantomeno). Sentiamo il Possenti:

«Una volta di più si mostra vero che i rischi per l’umanità non vengono da errori delle tecnologie, ma dal loro uso malsano. Ogni tecnica è aperta sui contrari, sul suo uso buono o cattivo, e ciò non dipende dalle tecnologie ma dall’uomo che le progetta e le impiega. L’energia atomica illumina le città ma può essere impiegata per distruggerle».

Solo ingenuità filosofica? Se è grave l’errore di confondere la tecnica con le tecnologie — ove appunto la tecnica, non è questo o quel marchingegno, ma una delle manifestazioni dell’essenza dell’uomo moderno, il modo in cui essa si presenta come inesorabile volontà di potenza volta al dominio assoluto —; è davvero sorprendente leggere che la tecnica… sarebbe neutrale che tutto dipende dall’uso che ne viene fatto. Una sciocchezza che non dipende soltanto dall’incomprensione, appunto, dell’essenza della tecnica moderna. Qui c’è di mezzo il dogma teologico di Genesi per cui Dio, avendoci fabbricati a sua immagine e somiglianza, avendoci fatto dono della sua somma bontà e della sua somma intelligenza, ci avrebbe altresì consegnato lo scettro del comando totale sul mondo animato e quello inanimato: quindi la facoltà di fabbricare a nostra volta i mezzi (tecnici) per esercitare questo comando.

Possenti voleva “pensare la tecnica”, in verità siamo tutti obbligati a ripensarla, cattolici compresi.

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L’Intelligenza artificiale ci obbliga a “pensare” la tecnica

di Vittorio Possenti*

Senza un’idea adeguata della persona e della sua dignità, la volontà di potenza della tecnica e di chi la possiede genera violenti squilibri

Pensare in profondità la tecnica, in modo da stabilire ciò che essa può fare e ciò che invece non può fare, anche quando volesse esercitare la più alta volontà di potenza: questo è il punto più indispensabile di ogni discorso sull’universo delle tecnologie. Pochi però lo affrontano, e da questa carenza teoretica primaria seguono innumerevoli equivoci.

In diverse occasioni ho mostrato (non è possibile ripeterlo qui) che l’innegabile potenza delle tecnologie non può trasformare la natura o essenza umana, mutandola in qualcosa di altro e diverso. Prese nel loro significato più autentico le nozioni di natura umana o di essenza umana appartengono all’ambito del necessario e dello stabile, di ciò che è strutturato in un certo modo e che non può essere diversamente. Sinché esisterà un essere umano, questi sarà un soggetto personale vivente, formato dal sinolo tra anima e corpo, e dotato di intelletto, volontà e libertà; niente di più e niente di meno. La grandeggiante retorica sul postumano e il transumano, penetrata dovunque da oltre trent’anni e denotata dal detto “Mutare o perire”, ha accuratamente evitato di fare i conti filosofici con le nozioni di natura/essenza e di divenire, che non sono così malleabili come si vorrebbe. In altri termini lo scientismo tecnologico sogna molto e pensa poco: soprattutto non guarda verso l’ontologia. Il rifiuto, spesso apriorico, del discorso ontologico, sposta l’attenzione sull’etica, confidando che essa da sola possa darci una risposta adeguata; purtroppo raramente è così.

La premessa secondo cui la potenza della tecnica non può cambiare l’essenza umana in qualcosa di altro e diverso, non si accorda però con alcuna forma di quietismo, che volesse lasciare campo libero alle tecnologie sulla scorta dell’idea appena enunciata. Anzi i maggiori rischi, insieme alle opportunità, si aprono proprio a questo livello “intermedio” in cui si cerca in genere di restaurare e di potenziare l’essere umano, sia curando malattie sia dotandolo di maggiori capacità. In questo campo possono accadere eventi buoni o cattivi. Consideriamo la sfida dell’Intelligenza artificiale (IA), pressante in rapporto a due fattori: il suo impatto ambivalente e plurimo sull’essere umano nella vita individuale e sociale; il cambiamento iperveloce del tessuto esistenziale e le difficoltà di molti di reggere il ritmo, con le conseguenti fratture sociali in molti campi. Senza un’idea adeguata della persona, dei suoi diritti e doveri, della sua dignità, la volontà di potenza della tecnica – che in realtà è volontà di potenza dei singoli e dei grandi gruppi e holding che operano poderosamente su scala mondiale, spesso in un grave vuoto normativo – è capace di generare violenti squilibri. Finora scarsa è stata la capacità dell’autorità pubblica di regolamentare efficacemente i grandi produttori di IA che, costituiti da gruppi privati egemoni a livello mondiale, mostrano un’alta riluttanza a sottoporsi a controlli e normative.

Nell’epoca dell’infocrazia la questione principale per coloro che si guardano intorno e riflettono, è se vi sarà il tempo necessario per trovare risposte adeguate, prima che il dominio tecnocratico metta a tacere le opinioni dissenzienti. Molti si interrogano sull’influsso che il complesso scientifico-tecnologico esercita sulla democrazia con le relative derive quali l’ascesa del populismo, l’accendersi di acute emotività, l’instabilità dei governi, la diffusione intenzionale di notizie false, la sottrazione ai cittadini della possibilità di scegliere a ragion veduta. Con l’allettamento della libera connessione permanente l’infocrazia fomenta la solitudine della persona. E si sa che la solitudine è la condizione primaria della sottomissione. Questa è in atto in quanto i soggetti connessi si sentono autonomi, mentre sono perpetuamente schedati nelle sterminate memorie dei big data. I controlli sono in fin dei conti nelle mani di coloro che dovrebbero essere controllati.

L’IA è oggi il settore in più rapido cambiamento. Chi abbia una qualche competenza sul modo con cui la persona esercita la conoscenza sensibile e intellettuale, non può non vedere che il termine stesso di IA è un ossimoro, portatore di falsità e mistificazione. L’IA computa e compone ad alta velocità, ma non pensa: l’ intelligenza è vita e non macchina; e se è macchina non è intelligenza. La pervasività del mondo digitale opera contro questa fondamentale acquisizione: il contatto quotidiano con il mondo digitale offusca la diversità tra virtuale e reale, operando una trasformazione ambigua dell’esperienza umana e del senso comune. Si finisce per credere che in numerosi casi decida meglio la IA invece che l’uomo. Qui si può fare riferimento al ricorso all’IA nel campo della giustizia gestita da Stati e corti. Possiamo abdicare al diritto primario che ogni persona debba necessariamente essere giudicata da un’altra persona e non da macchine?

L’ideologia del transumanesimo ha preparato il terreno verso una mente aumentata e un corpo inessenziale per il funzionamento della prima. L’IA si innesta su questa trama favorendo il mentale-algoritmico-virtuale sull’esperienza corporea del mondo. A questo livello si incontra il tema della libertà, più essenziale che mai perché lo scientismo combatte tenacemente per mostrare che l’essere umano è predeterminato nelle sue scelte dal macchinico e dall’algoritmo, e che la coscienza è un epifenomeno di altro. Possiamo perciò essere eterodiretti. E già lo siamo quando, dopo essere stati profilati in mille modi, gli allettamenti della pubblicità ci orientano allo scopo di massimizzare i profitti delle multinazionali che dominano. Un compito urgente sta nel ridestare in tanti l’amore per la libertà e il desiderio di servirsene per vivere la propria vita e per formarsi una capacità di giudizio.

Occorre che singoli e popoli reagiscano alla serpeggiante passività morale, alla sottomissione rassegnata alla tecnologia e tecnocrazia. Senza sottovalutare le prese di posizione critiche e il grande lavoro sulla neuroetica e sull’etica dell’IA, l’atteggiamento dei più sembra quello di stare a vedere in modo passivo. Il poderoso legame tra ricerca tecnoscientifica ed eccezionali livelli di capitale di rischio, che puntano al più alto profitto possibile, scoraggiano e indeboliscono le capacità di reazione. Non ci sono che fragili contrappesi, e nelle democrazie la cattiva moneta delle reti social, dell’IA, degli algoritmi sovrasta tutto il resto. La moneta cattiva caccia la buona, e le grandi imprese tecnologiche non mostrano interesse a correggere queste gravi distorsioni, da cui traggono potere e profitti. L’odio che circola sulla rete rende più di altri business, e non si calcolano i danni inflitti ai minorenni e ai bambini che crescono in tale clima. Una volta di più si mostra vero che i rischi per l’umanità non vengono da errori delle tecnologie, ma dal loro uso malsano. Ogni tecnica è aperta sui contrari, sul suo uso buono o cattivo, e ciò non dipende dalle tecnologie ma dall’uomo che le progetta e le impiega. L’energia atomica illumina le città ma può essere impiegata per distruggerle. Il chip che viene installato nel cervello non solo consente di interpretare i segnali elettrici di coloro che non possono comunicare con l’esterno, fornendo un aiuto; ma consente parimenti di inviare segnali esterni al cervello, con il rischio di manipolazione e di espropriazione del soggetto. Non si dovrebbe mai dimenticare l’intrinseca ambivalenza della tecnica.

Per valutare se siamo preparati per il cambio di mondo che già opera, dovremmo chiederci: qual è il contesto spirituale prevalente in Occidente, in specie negli strati più elevati, a cui toccano speciali responsabilità nelle decisioni pubbliche che riguardano tutti? Nelle nostre società liberaldemocratiche l’umanesimo della persona deve affrontare sfide che provengono dall’involuzione dei concetti di liberalismo e di individuo, quest’ultimo ridotto a esclusiva libertà di autodeterminazione, in cui l’altro è sentito come un limite o un avversario. Il liberalismo, che si è trasformato in neoliberalismo e libertismo sul piano etico, e liberismo in campo economico, continua ad occupare la scena. Il loro richiamo alla persona e alla sua dignità è spesso di comodo per coprire altri cammini: le società liberali sono in crisi a motivo della loro concezione aggressiva dell’individuo autocentrato e ostile all’alterità, e del distacco dall’idea cristiana di persona. Prevale una scepsi diffusa e talvolta apertamente materialistica. Essa, che legge l’io personale come risolto nel circolo della vita biologica, deve oggi registrare una crescente paura del futuro – nonostante i mezzi tecnici potentissimi di cui disponiamo – e timore dell’altro, verso cui si dice: noli me tangere. L’altro è sentito come concorrente, non come potenziale termine di una relazione e della cooperazione.

L’Europa dello spirito non potrà portare un sufficiente rimedio a tale clima se abbandonerà il suo retaggio cristiano, e si volgerà alle potenze dell’epoca, inchinandosi a loro idolatricamente. Vanno meditate le parole di Karl Löwith, stese 70 anni fa: «Soltanto con l’affievolirsi del cristianesimo è divenuta problematica anche l’umanità». Obliato Dio, rischia di essere messo da parte l’uomo, non più pensabile a sua immagine e somiglianza, secondo il messaggio biblico. Allora l’uomo vede solo i propri prodotti, e si pensa a immagine e somiglianza di sé stesso, della sua corporeità più che del suo spirito.

* Avvenire

Un pensiero su “CHIESA, TECNICA E TRANSUMANESIMO di Moreno Pasquinelli”

  1. Ares dice:

    Premessa: vari si dicono cattolici, in vari livelli ma, purtroppo, in realtà si definiscono tali individui con determinazioni assai diverse. Ad esempio per la “pandemia” c’era chi diceva che iniettarsi i sieri genici era una forma di battesimo nel male mentre altri sostenevano che usarli era buona azione (per qualcuno anzi anche in qualche modo necessaria) ed entrambi i tipi di soggetto definivono le proprie posizioni come “cattoliche”.

    Da cattolico io mi sento in dovere di indicare (a grandi linee per evitare di entrare in speculazioni) quali dovrebbero essere le considerazioni di riferimento per ambito cattolico (mi dispiace anticipatamente per chi non condividerà definizione), consentendo poi conseguentemente a ciascuno di effettuare proprie riflessioni.

    -Le verità divina (distinta dalla comprensione che ne ha il singolo uomo) è oggettiva e immutabile e delinea i valori virtuosi per agire per il bene e in conformità ai progetti divini; il problema del cristiano sulla terra non è ripensare le verità ma vedere come attuare i valori divini ricevuti nel contesto per lui presente (con propri limiti e peculiarietà).
    -I doni fatti all’uomo dalla divinità sono fatti allo scopo inteso dalla divinità di concorrere al bene.
    -Non usare correttamente i doni di Dio, non accogliergli, disprezzarli, può risultare in un mancato bene conseguente o in omissioni (che dal punto di vista religioso può essere peccato, male).
    -Cercare di impiegare per il meglio (da determinarsi in accoro alla volontà divina, no a declinazione soggettive) i doni ricevuti, rispettarli, impiegarli come risorse per un bene più grande può essere modo di far progredire il bene. Cercare di usare al meglio per la ricerca e il conseguimento del bene i doni ricevuti, quello che si è ricevuto in dono (in accordo a sue possibilità), può essere virtù.
    -Non accogliere i doni ricevuti, ritenergli indegni e necessari di modifica, non individuare la loro dignità anche nei loro limiti, può essere mancanza di umiltà, superbia, vanagloria, ribellione al piano divino (l’equivalente dello “hubris” greco) , male, peccato. (La storia che in genere si racconta della caduta degli angeli ribelli per voler ricoprire ruolo più alto di quello assegnato loro dovrebbe essere sentore di come non accettare i doni che si hanno può portare a diventare agenti del male).
    -Dio dona all’uomo terrestre anima e corpo.
    -Il corpo per il cristiano è dono di Dio e dotato (anche nei suoi limiti) di propria dignità (in alcuni punti è ad esempio perfino descritto come “tempio dello Spirito Santo”) .
    -L’anima ha in dono il libero arbitrio , che consente all’uomo di fare scelte ( buone o cattive).
    -Il libero arbitrio è un concetto in sostanza esattamente contrario al determinismo totale, perché consente appunto di fare scelte completamente arbitrarie ( immotivate, irrazionali, folli, non dovute o legate solo a criteri ristretti, bizzarre, virtuose, martirizzanti, di sacrificio, … ) quale sia il contesto.
    -Le scelte fatte dal singolo possano essere influenzante dal contesto, ma se sono fatte da un singolo libero arbitrio sono appunto arbitrarie e possano andare anche contro quanto il contesto suggerirebbe.
    -Salvo atti distruttivi estremi (che potrebbero però variare il significato di ciò che rimane rispetto al termine originario di “uomo”), la condizione di uomo terrestre come composto da anima e corpo rimane (anche se mi amputano una gamba o me ne attaccano un’altra).
    -Avere un libero arbitrio non vuol dire poterlo esercitare (posso continuare a decidere cosa vorrei fare, ma non è detto che sia in grado di farlo, ad esempio se mi hanno legato con una corda);
    -Il libero arbitrio (capacità di scelta) è distinto da intelletto, libertà e autocontrollo; esso può anzi proprio scegliere perfino di rinunciare ad esercitare (in tutto o in parte) tali doni.
    -Intelletto, libertà e autocontrollo, capacità di agire possono essere limitati, per scelta o meno, in un singolo individuo anche quando questi nella sua mente possa ancora ipotizzare scelte e sue determinazioni potenziali.
    -Non esercitare i propri doni per sottomettersi in fede a Dio può essere atto di fede religiosamente corretto.
    -Non esercitare i propri doni per incuria, tornaconto o altro in situazioni dove vi è il rischio di risvolti negativi può essere omissione e male di per sé anche al di là dell’effettivo verificarsi degli eventi negativi. (Se mi drogo e perdo il controllo di me, qualora anche risulti per magari ipotetici motivi di ignoranza giustificato per eventuali danni fatti in modo solo colposo mentre la droga ha effetto e sono fuori controllo, l’aver non vigilato e fatto un’azione dalle potenzialità così negative come drogarmi e farmi perdere il controllo, in assenza di altre adeguate precauzioni, può essere negativa di suo per omissione e mancata corretta tutela dei doni ricevuti, proprio in considerazione dei potenziali rischi che potrebbero potenzialmente derivare dall’azione ).

    -Le scelte fatte con il libero arbitrio determinano se sto scegliendo per il bene o per il male . (Se non sono più in grado di scegliere non sto esercitando più io le scelte e quindi la responsabilità delle azioni non è più mia , che agisco obbligato o non comunque sotto un controllo non più di mia responsabilità, se non nella misura in cui ho eventualmente contribuito io stesso a raggiungere quello stato di mancanza di scelte).
    -Le scelte fatte con il libero arbitrio possano avere impatto sul singolo soggetto e sugli altri, comportando conseguenze anche solo sui piani fisico, civile, etico, morale, … prima ancora di scomodare una più ampia analisi religiosa.
    -Poiché il libero arbitrio è appunto arbitrario, se esso (come avviene in certi casi sulla terra) può essere effettivamente esercitato dal singolo allora gli impatti che esso può avere possano anche essere negativi, di peccato, di danno, di male. (Dio dona il libero arbitrio perché sia utilizzato per il bene, in modo da realizzare un bene più grande in caso di corretto utilizzo; ma nel suo amore, verità e giustizia consente che tale dono possa essere usato in modo arbitrario secondo le determinazioni del singolo, facendo un dono di fiducia in modo analogo ad esempio di quando si fa guidare per la prima volta la propria auto ai propri figli).
    -La libertà che Dio concede all’uomo donandogli il libero arbitrio non diventa estensione di bene ma di male se l’uomo invece di corrispondere alla volontà divina e perseguire il bene persegue il male o scopi di analoga consistenza.
    -Il giudizio religioso su un azione dipende dagli scopi intesi e dai costi e benefici religiosi dell’azione (curare una persona per aiutarla può essere positivo, ma se per farlo ne ammazzo altre 50 potrei cadere nel caso negativo, come anche in caso di accanimento terapeutico).
    -Una tecnica, anche potenzialmente di scopo ipotetico buono, può essere errata da applicarsi, o applicarsi su larga scala se i suoi costi sono eccessivi o comunque tali da superare i benefici.
    -Come il libero arbitrio, anche l’intelletto e le conoscenze scientifiche sono doni che Dio fa all’uomo e che Dio vuole siano impiegati per concorrere al bene,ma che l’uomo con il peccato può usare per il male. (Dio affida all’uomo i suoi doni, ma per amministrarli e far evolvere la situazione verso il bene; usarli per il male è contro la volontà divina, è peccato, contributo per il male).
    -I mezzi tecnici e anche il sapere sono strumenti che possano essere usati per scopi buoni o malvagi . (Posso usare il coltello per aiutarmi in cucina o sala operatoria o per danneggiare gli altri; posso cercare con il sapere nuove cure o nuovi modi per danneggiare gli altri).
    -Fino a che punto sia da considerarsi “intelligenza” l’intelligenza artificiale è problema di ambito scientifico e non religioso (a chi competente in tale ambito quindi la determinazione a riguardo; qualsiasi sia il risultato della determinazione, non essendo dogma di fede, non cambia il piano religioso se rimane invariata la valutazione del mezzo tecnico come strumento da impiegarsi per le azioni ).
    -Intelligenza artificiale e tecnologie integrabili con il corpo umano sono strumenti a disposizione dell’uomo che possono essere usati per il bene (metto una protesi per curare un problema, per sopperire una disabilità) o per il male (opprimere, danneggiare gli altri, distrarli da condotte virtuose).
    -Compito del fedele, per rispondere alla volontà divina, è quindi individuare come impiegare, o come non impiegare, gli strumenti a disposizione (incluse tecnologie e conoscenze) per cercare di ottenere una situazione di sviluppi quanto più possibile in linea con le virtù e il bene delineati dai principi divini.
    -Una mente (e a maggior ragione un corpo), anche se aumentata ma comunque di livello umano, non cambia il rapporto con Dio e le necessità del timor divino o di esercitare virtù. Una mente , anche se impedita, sminuita, malfunzionante, non cambia il rapporto con Dio e le necessità del timor divino o di esercitare virtù. Che io sia bambino o saggio, scemo o genio, per quel che mi riguarda e nelle mie possibilità sono chiamato dal disegno divino a cercare di scegliere e attivarmi per il bene e le virtù.
    -Impiegare strumenti per scopi malvagi, o in assenza di adeguate garanzie a supporto del sostanziale maggiore beneficio dell’impiego degli strumenti rispetto ai costi e potenzialità di impiego, può essere modo di favorire il male. Evitare di osservare le potenzialità negative di certi sviluppi, non prevenirle, contrastarle, arginarle, … quando si hanno le possibilità è quantomeno omissione se non ausilio al progresso del male (dice un detto di Edmund Burke che affinché il male trionfi basta che il bene rinunci ad agire).
    -Distogliere da aspetti di rilevanza della virtù, del bene, del piano spirituale, in favore di obbiettivi materialistici o di minor bontà può essere modo di evitare il conseguimento di un bene maggiore o perfino agevolare qualche forma di male.

    Con i precedenti spero di aver richiamato le considerazioni che dovrebbero consentire di delineare quale sia il punto di vista cattolico sulle questioni sollevate .

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