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TITOLI DI STATO, BANCHE ITALIANE E APPETITI TEDESCHI di Piemme

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Tabella n.1

[ 19 maggio ]

Alcuni lettori si lamentano che qui  “parliamo troppo di economia e di finanza”. A noi non pare. In un mondo dove l’economia — per meglio dire quella che Aristotele bollava crematistica— predomina, chi voglia davvero cambiare lo stato delle cose, non quindi contemplarle da.. economista, è tenuto quanto meno a capire come funziona il gioco, per comprendere quanto esso sia truccato e predatorio, ed eventualmente conoscerne i suoi punti deboli.

Com’è noto la Germania, dopo avere imposto il meccanismo del bail-in, che come spiegavamo sembra fatto apposta per penalizzare le banche italiane —che infatti, vedi tabella n.2, hanno subito un vero e proprio tracollo del valore delle loro capitalizzazioni di borsa—, per bocca del suo Ministro delle finanze Wolfgang Schäuble, ha ribadito che proporrà “all’Europa” che sia posto un limite a quello che hanno definito “acquisto smodato” di titoli di Stato da parte delle banche: “Bisogna ridurre i rischi che si determinano con la connessione fra il debito pubblico e i bilanci delle banche”.


Ribadito, appunto, perché la Bundesbank, per bocca del suo presidente Jens Weidmann, ci torna sopra un giorno sì e l’altro pure.

E la chiamano “unione” europea…
Un’altra mossa che sembra stata fatta apposta per terremotare il già fragile sistema bancario italiano, già gravemente zavorrati dagli Npl o crediti deteriorati.[1]  Una mossa che nasconde gli appetiti predatori delle grandi banche tedesche, che mirano appunto a papparsi quelle italiane. Con buona pace dei buoni propositi unionisti si fanno sentire i vecchi meccanismi della concorrenza inter-capitalistica, il cui motto è, tanto più in tempi di crisi sistemica, mors tua vita mea.
Tabella n. 2

Facciamo quindi due conti.

Non è un segreto per nessuno che il Quantitative Easing di Draghi si è rivelato un colossale fallimento. Il Qe è però servito alle banche tutte dell’area dell’euro, che ne han tratto da esso enormi vantaggi. Le banche europee detengono circa 1.850 miliardi di titoli di Stato in euro (in media il 5,8% degli asset totali ma una cifra più alta del Pil italiano). 

Il vantaggio? Non dovendo rispettare limiti sull’entità dell’esposizione hanno aumentato i loro profitti parassitari grazie al carry trade — che consiste nella differenza tra il costo del finanziamento presso la Bce più basso rispetto al rendimento del bond—,  usando poi l’abbondanza dei titoli come collaterale per le operazioni Bce e per soddisfare i requisiti più stringenti sulla liquidità.

Ma a quanto ammonta la cifra dei titoli di stato in possesso della banche italiane? E’  preso detto: 455 miliardi di euro.

Come mostra la Tabella n.3 nel portafoglio titoli delle banche italiane il  92% sono Btp mentre l’8% è costituito da titoli di debito pubblico di altri paesi dell’area euro.

Se guardiamo invece al portafoglio titoli delle banche teutoniche il 69% è costituito da titoli di stato tedeschi, mentre il 31% sono titoli di altri paesi dell’area euro.
Tabella n.3

Ma come spesso accade le percentuali non ci dicono tutto.

E’ vero che per le banche tedesche i titoli di Stato in portafoglio sono il 3,3% dei loro attivi (il 6,7% per quelle italiane), ma esse ne detengono, in valore assoluto, la cifra più alta.  Non parliamo poi della massa enorme di derivati che proprio le banche tedesche hanno in pancia.
Ci ricordava quindi Alessandro Merli che tutto dipende dai criteri che verranno eventualmente adottati per “ripulire” i conti delle banche:

«Se invece venisse adottato un tetto all’esposizione delle banche al debito sovrano, secondo una simulazione di impatto condotta dall’Esrb lo scorso anno, l’imposizione di un criterio di diversificazione costringerebbe le banche tedesche al più alto volume in valore assoluto, fra tutti i Paesi dell’eurozona, di vendite di titoli di Stato in “eccesso” nei propri portafogli: 303 miliardi di euro (su un totale di 716 miliardi dell’intera area euro), se venisse applicato un tetto pari al 25% dei mezzi propri. Se metà dell’esposizione venisse esentata dal tetto, le banche tedesche si troverebbero comunque costrette a vendere 120 miliardi di euro di titoli di Stato, più della metà del totale dell’eurozona». [Il Sole 24 Ore del 23 aprile scorso

Morale: il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. 
Per quanto banchieri, maghi della finanza e ministri tentino di fare, senza una consistente crescita economica globale, l’Unione europea resta l’epicentro della crisi mondiale e, come andiamo dicendo da tempo potrebbe essere proprio il legame “perverso” tra debiti privati e debito pubblico a scatenare dei default a catena. 

NOTE

[1] Già nel 2010 dovevamo smentire la favola che le banche italiane stavano in buona salute perché non avevano “tanti” derivati in pancia…. Ci tornammo sopra nel luglio 2013: “VERSO IL CROLLO DELLE BANCHE ITALIANE

Un pensiero su “TITOLI DI STATO, BANCHE ITALIANE E APPETITI TEDESCHI di Piemme”

  1. Alberto dice:

    Mi viene in mente un paragone tra gli npl europei ed i subprime americani, che hanno cause diverse ma concorrono allo stesso risultato.I primi sono chiaramente l'esito del ciclo di Frenkel inteso in senso lato, per l'europa del sud (non sempre e necessariamente inteso in senso geografico), i secondi nascono invece dall'impazzimento delle logiche speculative finanziarie nel cuore stesso della loro espansione metastatica al resto del mondo.Alla base dei due fenomeni c'è però una matrice comune, che è la patologia del credito, ovvero le sue devianze verso forme insostenibili apriori, più che prevedibili, addirittura scontate.Intesi così come sintomi di una patologia del sistema monetario ormai globalizzato, ne palesano il raggiungimento dei limiti, e con esso il venir meno delle sue logiche interne, che semplicemente smettono di funzionare. Prima tra tutte la correlazione storica tra massa monetaria, centralmente controllabile (con buona pace degli "endogenisti" della moneta), ed andamento economico (crescita).L'organismo non reagisce più agli stimoli, come un cavallo esausto che non ha neppure più fame. Resta la guerra come stimolo di ultima istanza, che nel passato ha sempre lasciato sul campo un cavallino nuovo e sano, per quanto inizialmente fragile. Il problema è che anche questa strada è interrotta, o meglio conduce ad un cavallino abortito aprioristicamente, come è scontato per un conflitto mondiale all'ultimo sangue.A questo punto la scelta non è più tra socialismo o barbarie, ma tra un qualche cos'altro e sopravvivenza. Un qualche cos'altro il cui aspetto formale è anche un paradigma monetario completamente diverso, di rottura col presente, a partire dai principi contabili per ogni attore economico, pubblico e privato.Una nuova contabilità dove il "debito pubblico" sia solo archeologia.

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