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SINISTRA ITALIANA A CONGRESSO: CHE NOIA, CHE BARBA, CHE NOIA…

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[ 18 febbraio ]

Stiamo seguendo, in streaming, i lavori del congresso fondativo di Sinistra Italiana (SI) apertosi venerdì e che si sta svolgendo a Rimini. Anzitutto, ci pare doveroso denunciare la vera e propria congiura del silenzio che i media (tutti!), hanno riservato a questo congresso.

Detto questo, non è che questo congresso brilli per idee, proposte, intuizioni. Idem con patate in  quanto ad analisi serie della crisi, della sue cause. Grandi visioni e “discorsi profetici” zero. Tante invece le denunce dello stato di cose presente, delle innumerevoli ingiustizie, delle discriminazioni sociali, della miseria della politica politicante; ma stucchevoli, al limite del banale. Addirittura debordante l’empatia per i deboli e gli esclusi, in stile moralistico Papa Bergoglio. Lessico e toni però in stile inesorabilmente vendoliano.

Un congresso, come dire, stanco, abulico, che si è acceso solo quando la presidenza è stata costretta a richiamare il mal di pancia della platea rispetto a certi convenuti…

Tutti han parlato di un “nuovo inizio”, di Sinistra Italiana come architrave per una nuova sinistra politica. Tante le frecciate alla stessa “sinistra” Pd, di critiche all’idea che si debba ricostruire un altro centro-sinistra —qui le contestazioni allo scissionista Arturo Scotto. “Nuovo inizio” (l’ennesimo a sinistra) ma su cosa non si capisce. O meglio, la continuità con il già sentito, detto e fatto supera di gran lunga i segnali timidi di discontinuità. Il dibattito è noioso e da esso poco viene fuori. Occorre andare a leggersi le tesi congressuali e la carrettata di emendamenti proposti dalle diverse “anime” del nuovo partito per capire meglio dove SI va a parare.

Molto singolare (per usare un eufemismo) che nessuno intervento (nessuno) si sia soffermato sulle tesi congressuali che saranno messe ai voti, tantomeno sugli innumerevoli emendamenti, spesso contrastanti. Come se i congressi in corso fossero due, in parallelo, con quello vero, che decide la linea apolitica, che si svolge in camera caritatis, nelle chiuse stanze della commissione politica.

E che ne viene fuori, leggendo le tesi? Che Sinistra Italiana va a raccogliere l’eredità della “migliore” socialdemocrazia, con tanto movimentismo post-moderno, molto sindacalismo sociale, retorica dei diritti LGBT. Sullo sfondo un po’ di europeismo cosmopolitico —addirittura patetica la difesa di euro e Ue fatta da Cofferati. Insomma: un riformismo debole che non diventa forte per l’innesto di dosi conclamate di mutualismo proudhoniano. Ultimo ma non meno importante: discorso pro-immigrazione e per l’Italia meticcia come elementi addirittura identitari.

Lo abbiamo già segnalato che c’è tuttavia una parte, in Sinistra italiana a cui ci sentiamo più vicini, quella rappresentata da Stefano Fassina. Al momento non è ancora intervenuto a difendere il suo emendamento, che sembrerà poca cosa, e che invece, se fosse approvato, sposterebbe l’asse stesso di Sinistra Italiana. ma non sarà approvato, potete starne certi.

Per questo vale la pena riportarne il suo cuore:

«La sinistra deve riconoscere l’assenza delle condizioni politiche per riscrivere i Trattati o per “far girare” l’euro in senso favorevole al lavoro, ossia in sintonia con le Costituzioni nate dopo la II Guerra Mondiale. Deve riconoscere il conflitto irriducibile fra i Trattati europei e la Costituzione e riaffermare il primato storico e politico di quest’ultima. Deve riconoscere che il demos europeo non esiste, a parte la upper class, cosmopolita da sempre, promotrice e beneficiaria dell’ordine vigente.
(…)  Il superamento dell’ordine dell’euro è la condizione per rivitalizzare funzioni fondamentali dello Stato nazionale al fine di proteggere il lavoro da ulteriore svalutazione e rianimare la democrazia costituzionale. In sintesi, per rigenerare la sinistra nel XXI Secolo il banco di prova è la capacità di rimettere in discussione, dopo un trentennio di subalternità culturale e politica, “il nesso nazionale-internazionale” (per riprendere il lessico di Antonio Gramsci). Quindi, per noi, vuol dire ripartire dalle città per riconquistare spazi di sovranità democratica in un’Unione europea rifondata attraverso la cooperazione tra Stati nazionali. Solo così si potrà riconciliare il progetto europeo con la Costituzione repubblicana e con il principio della sovranità popolare».

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