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GIAPPONE: QUANDO IL DEBITO PUBBLICO FA BENE AL CAPITALISMO

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[ 30 dicembre 2017 ]

Secondo le stime del Fmi in cima alla classifica dei paesi con il debito più elevato rispetto al Pil c’è il Giappone —negli ultimi due anni il debito pubblico giapponese è passato da quasi 6.340 mld a 11mila miliardi.

Una delle conseguenze della cosiddetta “Abenomics” varata cinque anni or sono dal premier Shinzo Abe e dal governatore della Banca centrale giapponese Haruhiko Kuroda.

In cosa consista la “Abenomics” è presto detto: acquisto da parte della Banca centrale di un’enorme quantità di titoli pubblici emessi dal governo, quindi relativa immissione di liquidità nel mercato. Con la moneta sonante fornita dalla banca centrale il governo ha finanziato grandi e piccole opere. Quello, appunto, che non può essere fatto nell’Unione europea dati gli stringenti vincoli monetaristi e ordoliberisti a cui è sottoposta la politica monetaria della Bce. Quello che men che meno può fare un singolo Paese come Italia, privato della sua sovranità in fatto di politica macroeconomica e monetaria.

Orbene, secondo i sacerdoti dell’ordoliberismo, la politica economica e monetaria seguita dal Giappone, avrebbe dovuto causare un disastro economico e sociale, tra cui un’inflazione fuori controllo come conseguenza del deprezzamento dello yen. Quindi il default giapponese. Invece…

Invece l’inflazione è ancora vicina allo zero ( 0,6% a fine 2017) e lo yen è considerato una delle valute forti del pianeta e cresce addirittura la quota di titoli di stato acquistati da investitori stranieri (vedi tabella accanto).

Ma il risultato più eclatante è che in Giappone la disoccupazione (dati novembre 2017) è al il 2,7%, tornata ai livelli del 1994 —con l’industria che denuncia una scarsità di forza-lavoro.

Numeri che la Ue si sogna, per non parlare dell’Italia.

Abbiamo così che il Prodotto interno lordo giapponese viaggia a fine 2017 al 2,5%. 

Governo e Banca centrale porranno quindi fine alla politica monetaria espansiva? Per Niente!
Ci informa infatti IL SOLE 24 ORE che 

«Il governo guidato dal premier Shinzo Abe ha gia’ preparato la bozza di una nuova manovra di stimolo all’economia di un importo fino a 2mila miliardi di yen (circa 17 miliardi di dollari), finalizzata soprattutto a migliorare i servizi alle famiglie e a ridurre gli oneri scolastici». 

Qui ci preme, oltre a smentire il mantra eurista per cui il debito pubblico sarebbe il male assoluto da combattere, precisare che se il capitalismo giapponese gode di un ottimo stato di salute, che vede nelle esportazioni il suo punto di forza, prima ancora che per la “Abenomics”, è dovuto ai bassi salari (vedi tabella sopra) e alla crescita forte della produttività. 

Per dire che nessuna politica monetaria può fare miracoli, che in regime capitalistico di libero mercato un’economia è competitiva anzitutto se crescono i profitti, e questi crescono se i salari scendono, se non in termini assoluti in termini relativi. Che è proprio quanto accaduto in Giappone: aumento della produttività del lavoro a salari stagnanti. Questo il vero “segreto” che spiega la forza dell’economia giapponese, quindi la sua competitività rispetto ai concorrenti. [1]

NOTE

[1] «Sempre oggi e’ stato reso noto un record dell’avanzo delle partite correnti in ottobre a 2.180 miliardi di yen (oltre 19,2 miliardi di dollari), guidato dal balzo del 31,6% del surplus nel primary income account (che riflette i guadagni sugli investimenti all’estero). Si tratta del 40esimo mese consecutivo di surplus nella bilancia delle partite correnti giapponese. Risulta in avanzo la bilancia commerciale (430,2 miliardi di yen), sia pure in calo del 24% rispetto all’ottobre 2016 nonostante il +14,3% dell’export».

5 pensieri su “GIAPPONE: QUANDO IL DEBITO PUBBLICO FA BENE AL CAPITALISMO”

  1. Alberto dice:

    "… in cima alla classifica dei paesi con il debito più elevato rispetto al Pil c'è il Giappone …"In questa asserzione c'è una distrazione freudiana, manca l'aggettivo "pubblico" a qualificare il debito. Cosa che poi viene recuperata nel seguito, ed infatti questa mia osservazione non è tanto finalizzata a contestare l'articolo nel suo insieme, quanto a sottolineare come la confusione sulla attribuzione del debito sia una costante comunicativa, alla quale corrisponde una confusione più di sostanza, sugli equilibri, o gli squilibri più spesso, che reggono un'economia.Il Giappone storicamente non conosceva neppure il concetto di "debito pubblico", sarebbe stato offensivo per l'Imperatore. Poi sono arrivati gli americani, con le loro armi che hanno messo in pensione definitivamente i samurai, e i loro soldi che dopo la guerra hanno sostituito le due bombe atomiche. Ma anche i giapponesi imparano dalla storia, a differenza di altri …..Il debito pubblico giapponese nasce quindi come adattamento al modello monetario americano, ma senza rinunciare ad un forte sentimento patrio. Quindi niente vendita all'estero dei titoli pubblici, ed import-export regolamentato con vincoli o non vincoli a seconda del momento e della convenienza interna.E allora a chi compete il salvadanaio del debito pubblico giapponese? Si è tentato in prima battuta di attribuirlo ai cittadini-risparmiatori ed alle aziende, ma anche loro hanno dei limiti. Così arriva la banca centrale a fare la parte del leone in questa pantomima, fornendo denaro facile all'economia interna e, perchè no, alla speculazione finanziaria internazionale professionale, storicamente nota come "carry trade", e successiva varianti.Questo è quanto è dato di sapere ad un pollo come me, che è già tanto rispetto a molti altri polli da batteria. Ma è già sufficiente a capirci qualcosa del modello economico giapponese, come ad es. che si regge sull'ordinata ed efficiente operosità dei sudditi dell'Imperatore, sia pure in un impero subordinato.Tornando al lapsus denunciato sopra, il confronto con la nostra economia si chiarisce meglio, nella maggior avversione giapponese al modello americano del debito privato. Forse perchè non potrebbero permetterselo? Su questo a mio avviso c'è da meditare.

  2. Eros Cococcetta dice:

    Penso che l’autore dell’articolo si dovrebbe vergognare. Sostenere che “un'economia è competitiva anzitutto se crescono i profitti, e questi crescono se i salari scendono” significa che la sua posizione è quella di Ciampi e Andreatta che nel 1981 hanno iniziato a rovinare l’Italia non solo con il catastrofico “divorzio” della BI (che ha fatto schizzare alle stelle gli interessi sul debito pubblico e quindi lo stesso DP, facendo raddoppiare il rapporto DP/PIl in 10 anni) ma anche dettando la linea sul taglio della scala mobile poi realizzato dal Governo Craxi nel 1984. Questi esperti o presunti esperti di economia si dimenticano sempre, stranamente, che nella vita di uno Stato esiste soltanto una priorità assoluta: il benessere dei cittadini, che dipende anzitutto dalla piena occupazione e da giusti e adeguati salari (artt. 1, 3, 4 e 36 Cost.). Tutti gli altri parametri economici (debito pubblico, spesa pubblica, profitti delle imprese, moneta in circolazione, inflazione, ecc.) sono in funzione di questo obiettivo. Non sono gli uomini al servizio dell’economia, ma è l’azione dello Stato e la stessa economia che devono essere al servizio degli uomini. Perché bisogna aver ben chiaro, anche sotto l’aspetto strettamente economico, che è la domanda di beni che crea l’offerta di beni e non il contrario. In altre parole uno Stato è in salute solo quando i suoi cittadini stanno bene, cioè hanno redditi adeguati e quindi possono acquistare i beni che il sistema produttivo è in grado di offrire. Viceversa in uno Stato di poveri – come sta diventando l’Italia, con 18 milioni di poveri o a rischio povertà e 5 milioni di disoccupati, compresi gli inattivi/scoraggiati – la domanda di beni crolla perché molti cittadini possono acquistare poco o nulla oltre a quanto strettamente necessario per la sopravvivenza e quindi molte imprese chiudono o falliscono, il che aumenta i disoccupati e quindi il numero di poveri; quindi la domanda di beni diminuisce ulteriormente, in una spirale negativa che si autoalimenta. Ma nella visione anaffettiva/schizoide/delinquenziale del neoliberismo e del capitalismo questa situazione di povertà e disoccupazione generalizzata è, invece, auspicabile e voluta perché così si possono impiegare i lavoratori a bassi salari e senza diritti e mettere in un angolino i sindacati e le legittime richieste dei lavoratori. Un obiettivo perfettamente centrato mediante l’Euro e la BCE, i due sicari utilizzati dai neoliberisti per scippare la sovranità monetaria agli Stati Eurozona, al fine di acquisire tutti i beni e i servizi dello Stato (impoverito dalla mancanza della moneta sovrana, perché uno Stato senza soldi non può fare nulla e non conta nulla) e per togliergli la possibilità di effettuare spesa pubblica in deficit, secondo la comprovata teoria Keynesiana. Non è un caso se la Cina e il Giappone (2ᵃ e 3ᵃ economia del Mondo) sono gli Stati più Keynesiani del pianeta, come dimostra il loro eccezionale ricorso alla spesa pubblica. Evidente questi due grandi Paesi hanno capito – a differenza di Europa e USA, abbindolati dalla menzogna neoliberista del pareggio di bilancio e connesse amenità per la UE (patto di stabilità e fiscal compact) – come funziona la moneta in uno Stato Sovrano e, quindi, che il debito pubblico non solo non è un problema perché c’è sempre lo Stato come pagatore di ultima istanza che può creare la moneta dal nulla illimitatamente e quindi non potrà mai fallire, ma ovviamente è una ricchezza per l’intera collettività (costruzioni o messa in sicurezza di ospedali, scuole e infrastrutture varie, ricostruzione delle zone terremotate, messa in sicurezza dei territori a rischio, maggiori finanziamenti per ministeri, comuni, forze di polizia, ricerca, pensioni, morosità dello Stato, ecc.). Quindi il debito pubblico va aumentato (e non diminuito), con il solo limite di tenere l’inflazione sotto controllo. Naturalmente per finanziare tutte queste belle cose ci vuole la moneta sovrana e non l’euro, il fiscal compact e il pareggio di bilancio in Costituzione.

  3. Redazione SollevAzione dice:

    Alberto,era implicito che si tratti di debito pubblico.Il titolo recita infatti: "GIAPPONE: QUANDO IL DEBITO PUBBLICO FA BENE AL CAPITALISMO"

  4. Luca Tonelli dice:

    E comunque il Giappone esporta il 20% del proprio PIL. mooooolto meno dei Paesi UE.

  5. Eros Cococcetta dice:

    Ma infatti anche il titolo è sbagliato. Il debito pubblico non deve fare bene al capitalismo, deve fare bene ai cittadini. Perciò la spesa pubblica deve essere sempre orientata verso l'interesse dei cittadini. Ovviamente anche le imprese vanno tutelate, ma qui si va a cozzare con il divieto UE degli aiuti di Stato, perché questa Europa tutela anzitutto la concorrenza, che le imprese si fanno a danno dei lavoratori diminuendo i salari. Siamo in un Mondo rovesciato. Uno Stato serio (che non è il caso dell'Italia) dovrebbe abolire tutte le forme di precariato e stabilire i minimi salariali. Le imprese che sgarrano vanno multate o nazionalizzate.

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