IL TRAMONTO DEL PD, UN’OTTIMA COSA PER IL PAESE di Carlo Formenti
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[ 27 settembre 2018 ]
Il malinconico tramonto del PD è una catastrofe per le nostre élite neoliberali, resa più tragica dal parallelo afflosciarsi di Forza Italia, l’altra grande stampella del centrismo moderato che, alternandosi con i Dem, ha garantito una scrupolosa gestione degli interessi del grande capitale e delle sue istituzioni transnazionali (Ue in testa).
L’analisi di Franchi, lucida e spietata, si articola su tre punti fondamentali: 1) il PD è nato troppo tardi, quando i modelli internazionali che ne avevano ispirato il progetto erano già in crisi; 2) per tentare di sopravvivere dovrebbe operare una scelta secca fra due alternative reciprocamente incompatibili: ricostruirsi un’identità, o almeno un’immagine, di sinistra, oppure procedere senza esitazioni sulla via delle “riforme”, tentando di confluire in (o di costruire) un ampio fronte antipopulista: 3) posto che si tratta appunto di una scelta secca, deve essere disposto ad accettare l’eventualità di una scissione e a prendere atto che non può continuare a vivacchiare con l’attuale identità ibrida. Vediamo come Franco approfondisce i punti in questione.
Il PD è nato, più di dieci anni fa, attraverso una “fusione fredda” fra postcomunisti e postdemocristiani, un miscuglio mal riuscito di forze accomunate dall’ambizione di applicare all’Italia le lezioni di Bill Clinton e Tony Blair, due modelli già contestati a quei tempi, ma destinati a perdere qualsiasi credibilità di fronte alla grande crisi finanziaria del 2008 e ai suoi effetti devastanti sulle condizioni di vita, nonché sui livelli di occupazione e di reddito di centinaia di milioni di cittadini-elettori occidentali. A tenere in vita questo aborto al contrario (cioè nato non prematuro, bensì fuori tempo massimo) ci hanno provato prima Bersani, con il suo appello allo spirito di sopravvivenza della “ditta”, poi Renzi con il suo arrogante tentativo di costruire un partito personale sulle rovine della tradizione. Tentativi clamorosamente falliti come certificato dai risultati elettorali.
E adesso? O cerca di recuperare i milioni di elettori che hanno voltato le spalle non solo al PD ma alla sinistra in generale, o si rivolge a quell’elettorato moderato che si presume disponibile a mobilitarsi contro populismo e sovranismo. Obiezioni alla prima ipotesi: si tratta di “un campo di gioco ai limiti dell’impraticabilità”, che implica affrontare una campagna lunga, difficile e dall’esito incerto per ricostruire e/o ridefinire una nuova sinistra. Obiezioni alla seconda: compito altrettanto improbo, che verrebbe sicuramente premiato dal plauso dell’Economist ma difficilmente da quello di giovani, ceti popolari e classi medie. In ogni caso, è chiaro, scrive Franchi citando un articolo del Fatto, “che non si può tenere insieme chi vuol fare Corbyn e chi Macron”. Quindi o il PD ne trarrà le conseguenze oppure andrà verso un inevitabile destino di dissoluzione.
Fanno la stessa politica de PR di Pannella.Quanti voti ha avuto al massimo (malgrado spazi spropositati su giornali e TV)?Il 2 % ?Il 2,5 % ?