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UN SOCIALISMO PER L’ITALIA di P101

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ƒIL SOCIALISMO A MISURA D’UOMO, UN SOCIALISMO PER L’ITALIA

Presentiamo ai nostri lettori un documento, almeno per noi, molto importante. La crisi epocale del sistema capitalistico ripropone la questione della fuoriuscita. Ma verso dove? E’ ancora pensabile e auspicabile una società socialista? E se sì di cosa stiamo parlando? E perché sono falliti tutti i tentativi di realizzarlo? Queste tesi venero approvate dall’ Assemblea Nazionale del Movimento Popolare di Liberazione – PROGRAMMA 101 svoltasi nel dicembre 2016

 Il capitalismo non funziona

Il sistema capitalistico —grazie allo sfruttamento senza precedenti delle capacità produttive e creative del lavoro, all’uso sistematico delle risorse naturali, ed all’applicazione su larga scala delle nuove scoperte tecnico-scientifiche— ha prodotto progressi economici, sociali e civili senza precedenti.

Questo sistema non ha solo conservato le diseguaglianze e gli antagonismi tra le classi sociali, è segnato da una menomazione congenita: i beni vengono prodotti come merci, cioè come cose finalizzate a soddisfare la brama di profitto della esigua minoranza dei detentori di capitale, le esigenze della società nel suo insieme essendo solo un pretesto.

Mossi da questa brama i capitali, in accanita concorrenza fra loro sono costretti, ognuno per non soccombere, ad investimenti crescenti ed a sfornare merci senza limiti, a tal punto che, esssendosene prodotte troppe, esse non possono essere vendute a prezzi che consegnino il profitto atteso. Il valore economico dei capitali crolla, con la conseguenza che molte imprese chiudono i battenti, interi paesi sprofondano nel marasma, masse enormi di lavoratori gettati sul lastrico e dunque costretti ad accettare condizioni di vita miserabili. È la crisi generale, come quella il sistema conosce oggigiorno.

Ogni crisi generale accentua diseguaglianze e conflitti sociali, causa il collasso della democrazia e la nascita di regimi di tirannia, accresce la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi grandi gruppi monopolistici, accentua i contrasti tra le diverse potenze.

I fiumi di sangue e le immani distruzioni delle due guerre mondiali sono la prova provata che il sistema capitalistico è una minaccia per l’intera umanità e la vita stessa sulla terra. L’iper-finanziarizzazione dell’economia, la globalizzazione e la concentrazione della ricchezza nelle mani di poche centinaia di multinazionali, aggravano e non attenuano i conflitti all’interno delle nazioni e fra le nazioni. Un crollo generale dalle conseguenze catastrofiche è probabile. Un’alternativa di società è necessaria. Noi la chiamiamo Socialismo.

Cos’è il Socialismo?

Esso può essere racchiuso in una proposizione: “Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”.

È l’idea di una società in cui il lavoro non sia una condanna alla schiavitù per valorizzare il capitale ma un’attività necessaria per vivere tutti meglio; in cui si produca e si consumi quanto basta per condurre una vita dignitosa; dove l’eguaglianza formale nella sfera politica sia sostanziale; in cui forze produttive e scienza siano orientate ad assicurare il bene comune e non i privilegi di pochi.

Quest’idea, per cui masse sterminate di uomini e donne hanno combattuto segnando nel profondo la storia, è considerata dalle classi dominanti, che hanno il monopolio dei mezzi d’informazione, come un’utopia. È invece un’idea ragionevole quella per cui i settori strategici di produzione e di scambio, oggi monopolio di una minoranza assetata di profitto, diventino proprietà pubblica e vengano amministrati e gestiti dai lavoratori associati, siano essi manuali che intellettuali.

Già oggi i grandi capitalisti, quelli che mettono il capitale, poco o niente sanno dei reali processi produttivi delle loro aziende, e nulla potrebbero senza l’ausilio del personale tecnico e amministrativo dirigente. Grazie all’enorme progresso delle tecnologie sarebbe ben possibile lavorare tutti meno e meglio. I dominanti invece fanno il contrario: usano questo progresso per ridurre i dipendenti, sfruttandoli di più e condannando masse sempre più ampie alla precarizzazione ed alla disoccupazione perpetua.

La società dev’essere concepita come una totalità organica, i diversi settori sono arti dell’unico corpo sociale, di qui la necessità che l’economia sia sottratta alle cieche leggi di mercato, con un’allocazione efficiente e giusta delle risorse, dei beni, quindi razionalmente organizzata, finalizzata a soddisfare i plurimi bisogni del genere umano, il tutto nel pieno rispetto di Madre Natura.

Alla concezione feticistica che la ricchezza consiste nell’ammucchiare denaro —che inevitabilmente implica la lotta egoistica di una minoranza a spese della maggioranza per possederne sempre di più— noi opponiamo quella per cui una società è tanto più ricca quanto più riesce ad assicurare ai cittadini una vita buona, soddisfando i loro variopinti bisogni, materiali e spirituali.

Il fallimento dei primi tentativi di passare al Socialismo

Nel secolo scorso, dopo quello russo, diversi popoli, sotto la guida di potenti partiti comunisti, si sono incamminati sulla via del socialismo. Quei tentativi, dopo enormi successi iniziali, si sono conclusi in un fallimento. Ciò non è dipeso solo dalle difficoltà legate ad ogni grande processo di trasformazione sociale, ma da alcuni errori basilari insiti nella stessa teoria politica dei comunisti, cinque spiccano sugli altri.

(1) I comunisti erano convinti che la classe proletaria possedesse un’intrinseca e spontanea vocazione rivoluzionaria, quindi la capacità di guidare il passaggio al socialismo. Questa vocazione non è invece innata, che essa si manifesti dipende dalle mutevoli condizioni storiche e sociali. Anche per il proletariato vale che davanti alle difficoltà la spinta al cambiamento si può rovesciare nel suo opposto.

(2) I comunisti erano convinti che la statizzazione integrale dei mezzi di produzione sarebbe sfociata necessariamente nella completa socializzazione e autogestione. Si è verificato invece che il potere è finito presto nelle mani di un ceto dirigente professionale che lo ha utilizzato per imporre la propria supremazia politica e sociale e difendere i suoi privilegi.

(3) I comunisti erano convinti che la pianificazione economica avrebbe non solo evitato gli squilibri tra settori economici ma, ipso facto, soppresso l’economia mercantile, producendo una crescente eguaglianza sostanziale e abolito ogni forma di oppressione e di antagonismo sociale. Abbiamo visto invece che la pianificazione può creare nuovi squilibri sociali, convivere con la produzione mercantile, causare non solo spreco e distruzione di risorse naturali e sociali, diventando un freno allo sviluppo sociale ed economico.

(4) I comunisti erano convinti che il “regime proletario” oltre che di breve durata avrebbe soppresso la stessa democrazia (“borghese”) lasciando il posto ad un regime libertario integrale e senza Stato. Invece di questa chimera esso si è pietrificato ben presto in un regime dispotico e antidemocratico.

(5) I comunisti erano convinti che una volta mutata la struttura economica della società le sovrastrutture, i modi di vita e la sfera spirituale si sarebbero adeguate pressoché automaticamente. Costumi, idee, visioni del mondo, date le loro profonde radici, hanno dimostrato invece una capacità di resistenza formidabile.

Il Socialismo che immaginiamo in Italia

Chiamiamo socialismo il sistema che si organizza e si struttura affinché gli uomini possano ridurre al minimo la durata del tempo di lavoro, accrescendo invece quello libero, affinché, al di là del riposo, egli possa dedicare questo suo tempo, una volta soddisfatti i bisogni primari, a realizzare quelli immateriali, a nutrire il suo spirito, estrinsecando le sue molteplici facoltà ed attitudini, dedicandosi infine alla cura delle faccende politiche e comunitarie.

Affinché ciò possa accadere sono necessarie tre condizioni: il massimo sviluppo delle forze produttive materiali e spirituali, ovvero il più alto grado d’automazione e informatizzazione dei processi lavorativi e della partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica; una nuova e qualitativa gerarchia dei bisogni, quindi nuove concezioni di sviluppo e di benessere, opposte a quelle oggi imperanti, consumistiche e feticistiche; e infine uno Stato che sia effettiva espressione della sovranità popolare.

Grazie a ciò sarà davvero possibile ottenere da ciascuno secondo le sue possibilità, e dare ad ognuno secondo i suoi bisogni, abolendo quindi non solo lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo ma ogni forma di oppressione politica e di saccheggio delle risorse naturali.

Questo socialismo implica la proprietà pubblica dei principali settori strategici dell’economia (non quindi non l’abolizione della proprietà privata tout court) ed uno Stato che funga da sentinella del nuovo ordinamento sociale e democratico e che assicuri a tutti i cittadini non solo l’esercizio dei diritti di libertà, ma pure la fruizione di quelli al lavoro, all’istruzione, alle cure sanitarie, nonché quello ad un reddito di base universale. Non basta l’eguaglianza sul piano economico. La libertà di pensiero, di parola, di associazione politica, di stampa, di fede religiosa sono principi inalienabili della persona. Eguaglianza sociale e libertà individuali e collettive sono indissolubili.

Il socialismo che auspichiamo, contrariamente a quanto hanno utopisticamente immaginato i primi socialisti, Marx compreso, lungi dal fare sparire la democrazia la estenderà, permarrà dunque l’organizzazione statuale, come necessaria espressione politica e amministrativa della comunità.

Non si giungerà al socialismo con pochi assalti frontali. L’esperienza ci consegna numerose evidenze che esso sarà invece frutto di un lungo e difficile processo fatto di trasformazioni, successive, grandi e piccole. L’economia capitalistica non può essere abolita per decreto, così come non potranno essere soppresse dal giorno alla notte le forze mercantili. Con queste si dovrà convivere a lungo.  Per tutto un periodo, che nessuno può stabilire in anticipo, avremo quindi un’economia mista, pluralista.  Settori e forme capitalistiche coabiteranno con quelli nazionalizzati, con quelli dei beni comuni, cooperativi, nonché quelli socialisti nascenti, che cioè produrranno e si scambieranno i beni non per ricavare un profitto ma come beni diretti a soddisfare i bisogni della comunità, privandoli così della loro forma merce.

La politica avrà il posto di comando e lo Stato, grazie alla nazionalizzazione dei settori strategici dell’economia e del sistema bancario, sarà non solo regolatore ma attore economico primario. L’emissione monetaria sarà monopolio dello stato, che dovrà tendere progressivamente ad impedire che la moneta, nella forma di denaro, sia tesaurizzabile come capitale privato. Il sistema fiscale sarà progressivo, finalizzato a sostenere i comparti quali la scuola, lo sviluppo scientifico, la sanità, la tutela ambientale, il patrimonio artistico e culturale, e tutti quei cittadini inadatti al lavoro.

La pianificazione economica dovrà procedere per gradi. Pur riguardando direttamente solo i settori nazionalizzati, dei beni pubblici e dei servizi, essa dovrà tendere dunque ad armonizzare e sincronizzare i diversi settori economici evitando tra essi una competizione selvaggia, tendendo al massimo equilibrio e al minimo spreco di risorse e lavoro.

Affinché programmazione e pianificazione diano il massimo dei frutti, si farà affidamento ad un articolato sistema di consultazione che dal basso salga verso l’alto, mettendo in rete le informazioni e le istanze dei cittadini, organizzati in comitati di base, sia di produttori che di consumatori. Le forme di produzione e di scambio privatistiche potranno essere vinte solo se saranno superate, solo cioè se le nuove modalità nazionalizzate e socializzate di produzione e di scambio si riveleranno al contempo più efficaci e meno divoratrici di risorse naturali ed umane.

Lo Stato di diritto sarà esteso ed assicurata la divisione tra i poteri dello Stato, con l’eleggibilità di tutte le principali cariche pubbliche, di cui quello supremo è l’Assemblea legislativa, i cui membri, eletti a suffragio universale, saranno revocabili ed eletti con sistema proporzionale. Nella sfera dei mezzi di comunicazione dovrà essere assicurata la massima pluralità.

Con la conquista del potere da parte delle masse lavoratrici inizierà una lunga “guerra di posizione”, la società sarà un campo di battaglia in cui la posta in palio sarà il futuro stesso della comunità nazionale.

Nessuna vittoria è irreversibile. Il popolo lavoratore, una volta strappato il potere, potrà mantenerlo se saprà assicurarsi, assieme al sostegno della più ampia maggioranza dei cittadini della nazione, l’amicizia e la solidarietà dei popoli di altri paesi.

Difendiamo quindi, dagli assalti dei suoi numerosi nemici, la Costituzione repubblicana del 1948 la quale, raccogliendo l’eredità delle secolari lotte democratiche contro ogni forma di tirannia politica e quelle delle classi lavoratrici per la loro definitiva liberazione sociale, rappresenta per noi, al contempo, un punto d’appoggio ed una bussola per trasformare la società.

Un pensiero su “UN SOCIALISMO PER L’ITALIA di P101”

  1. Luca Paganotti dice:

    Buongiorno, penso che gli obiettivi siano quelli giusti ma lo strumento per raggiungerli, il socialismo, mi lascia con moltissimi dubbi. Chi valuta e decide quali sono i bisogni del singolo? Chi valuta e decide in quale modo il singolo può contribuire alla società, quali sono i suoi “talenti”? Penso che l’affermazione di un nuovo modello sociale debba partire dal basso con la creazione di micro comunità il più possibile autosufficienti, quasi in senso autarchico, in cui rimane la proprietà individuale del singolo che di converso mette a fattor comune i frutti del proprio lavoro all’interno della comunità. Ciò che è mio rimane mio, ciò che produco col mio lavoro è di tutti. Concentrare poteri, anche piccolissimi, nelle mani di gruppi o di singoli penso sia causa di ingiustizie. Il cambiamento può solo manifestarsi dapprima nel singolo e poi in piccolissimi gruppi, tutto quanto venga calato dall’alto non può, per sua natura soddisfare i bisogni del singolo cittadino, di tutti i cittadini. Non ci può essere cambiamento senza prima un cambiamento interiore del singolo, una presa di coscienza profonda e determinata, guidata da un estremo senso di responsabilità individuale in primis verso sé stessi e quindi verso la comunità a cui si appartiene. La mia speranza rimane questa, risvegli individuali volti a formare nuove strutture sociali. Qualunque forza abbia questi obiettivi va nella direzione giusta, giusta a mio parere. Il disastro a cui stiamo assistendo segna il declino di un’epoca storica e avrà conseguenze che non riesco ad immaginare ancora del tutto. Penso però che il processo sia iniziato, non ne conosco la durata, forse ci vorranno centinaia di anni, forse no; ma, al momento, non vedo altra strada.

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