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POLITICA E RIVOLUZIONE di Moreno Pasquinelli

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La politica è una scienza o un’arte? Lenin rispose, di contro ad ogni meccanicismo scientista, che è un arte. Egli voleva dirci che coloro i quali si occupano degli affari sociali, più che mai quelli che agiscono per modificare lo stato di cose esistente, non sono come tecnici di laboratorio, che quindi ottengono il risultato atteso in base ai materiali che maneggiano ed ai protocolli che utilizzano. La società è un luogo in perenne mutamento, dove non ci sono solo oggetti che un demiurgo possa manipolare in base ad uno schema, dove agiscono forze e soggetti differenti e opposti, e la risultante delle loro reciproche azioni e controazioni, non è mai data in anticipo, predeterminata. Nella storia intervengono infatti il caso, la contingenza, l’imprevedibilità. Di qui il politico, che tra le altre qualità deve possedere quelle dell’ingegno, della creatività, della tempestività, nonché del coraggio nel prendere le decisioni.

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Per cambiare il mondo, per passare da un sistema ad un altro, occorre conquistare il potere politico, poiché esso da accesso all’uso di alcuni degli strumenti indispensabili per la trasformazione sociale.

Non c’è una sola via per conquistare il potere, la storia ce ne indica diverse. Proviamo ad indicare le principali. Il potere lo si può prendere sull’onda di una mobilitazione di massa che sfoci in rivoluzione democratica e popolare. Si può ottenerlo, in ambiente di formale democrazia parlamentare, grazie ad una vittoria elettorale. Lo si può strappare, ove la lotta sia diventata guerra civile, con una vittoria militare. Si può guadagnarlo con un colpo di stato militare ove si disponga dell’appoggio delle forze militari interne. Si può raggiungere mettendosi al servizio di potenze straniere che con la guerra occupano il paese dato — vedi le invasioni americane di Iraq e Afghanistan o quelle dell’Armata Rossa nell’Europa orientale. L’esperienza ci dimostra infine che il potere lo si può conquistare grazie ad una combinazione di queste diverse modalità.

Posto che non parliamo di avvicendamento al governo di questa o quella frazione tra i dominanti bensì di potere popolare volto al cambiamento sistemico c’è, con ogni evidenza, un fattore che accomuna tutti questi casi: il potere, non fosse altro perché le forze dominanti combattono esse stesse per non soccombere, si conquista solo con la lotta — questa è, a ben vedere, una vera e propria legge storica, ove l’eventuale eccezione sta a conferma della norma.

Qual è, tra queste vie, quella che più si confà alla lotta di emancipazione delle masse popolari oppresse? Non si può dare una risposta univoca. La via al potere non può essere scelta a piacimento poiché essa dipende da numerosi fattori storici, sociali e politici; risulta dall’incontro condizionante di cause strutturali ed elementi contingenti che giungendo a fusione determinano la via. Nessuna forza rivoluzionaria può vincere se si limita a correre dietro agli eventi. Può vincere solo chi riesce a prevedere, tra le vie possibili, quella più probabile, quindi chi, anticipando gli eventi, agisce per rendere certo il più probabile.

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Tenendo conto del lascito della storia, delle peculiarità sociali, culturali, politiche e istituzionali del nostro Paese; tenendo conto della sua struttura sociale ed economica; tenendo conto della sua collocazione geopolitica; considerati tutti i fattori e stante il contesto qual è, tra queste vie, quella più probabile? Risposta in prima approssimazione: il combinato disposto risultante dell’incontro tra la mobilitazione extraparlamentare delle masse popolari e l’avanzata dell’opposizione antagonista sul piano istituzionale. Diciamo in prima approssimazione poiché i dominanti potrebbero, come del resto spesso hanno fatto, agire per stroncare preventivamente la vittoria delle masse popolari. In questo caso tutto cambia, tutto verrebbe deciso sul piano della forza.

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Posta come necessaria la fuoriuscita dal disordine del sistema capitalistico nella prospettiva di un ordine socialista di tipo nuovo — intervengono a questo punto questioni relative ai mezzi, alla strategia, alla tattica.

Posto il fine della trasformazione sociale, i mezzi che si utilizzano per ottenerla possono quindi essere diversi. Due cose sono tuttavia chiare: il fine più nobile andrebbe a farsi friggere, sia ove si adottassero mezzi sbagliati, sia nel caso si resti prigionieri di una metafisica dei mezzi. Si può restare prigionieri di questa metafisica in due maniere. La prima è quella di giudicare la liceità dei mezzi non in base anzitutto a criteri politici ma etici astratti. Sono legittimi i mezzi che si rivelano adeguati ad ottenere la vittoria. Di converso sono da scartare quelli che conducono alla sconfitta. La seconda maniera è quella di ipostatizzare questo o quel mezzo. E’ nel fuoco della battaglia sociale che si rivela l’efficacia dei mezzi di lotta, tenendo poi conto che ogni ciclo di lotta ne fa sorgere di nuovi e inediti che occorre saper afferrare ove si rivelassero proficui, ovvero generalizzabili.

Riguardo alla strategia, anche in questo caso nessuna idealizzazione. Gramsci, a nostro parere, commise questo errore. Dovendo tener testa a chi mitizzava la rivoluzione bolscevica egli sostenne che in Occidente la rivoluzione sarebbe venuta solo come risultato della guerra di posizione. Poste come giuste le sue considerazioni che non si conquista il potere in società complesse ed a forte egemonia liberal-capitalistica con l’assalto frontale, quest’ultimo è solo una delle forme della guerra di movimento. La storia europea nel tremendo secolo che ci siamo lasciati alle spalle ha dimostrato che nello scontro tra classi dominanti e dominate abbiamo avuto una combinazione di entrambi queste forme di guerra sociale. E’ sempre il più forte che sceglie il campo di battaglia e il tipo di guerra, chi è più debole non può dettare le regole del gioco.  E del resto: come fascismo e nazismo spazzarono via ed espugnarono le potenti “casematte” del movimento operaio se non, appunto, con i metodi di un’insidiosa e aggressiva guerra di movimento?

E che dire della tattica? Diciamo solo due cose: occorre fare tesoro della storia, occorre essere  irremovibili sui principi e tenaci in battaglia, tener fede al giuramento rivoluzionario; ma bisogna essere altrettanto spregiudicati e scaltri sul piano della manovra politica e delle alleanze. Come scrisse il Machiavelli: forti come leoni e furbi come volpi. Quanto detto sarebbero tuttavia solo chiacchiere al vento se, al momento decisivo, l’avanguardia politica non si fosse già costituita in partito, tra tutti gli altri mezzi quello irrinunciabile. Tanto più irrinunciabile se, come pensiamo, il potere verrà afferrato non da un singolo soggetto politico ma da un blocco popolare, da uno schieramento per sua natura composito e instabile.

4 pensieri su “POLITICA E RIVOLUZIONE di Moreno Pasquinelli”

  1. vito dice:

    Leggo sempre con molto interesse gli scritti di Moreno, mi serve del tempo per assimilare il concetto di metafisica dei mezzi, non è facile. Forse corrisponde al Fine Giustifica i mezzi?

    Vito

    1. Moreno Pasqinelli dice:

      Rispondo volentieri a Vito; evidentemente è necessario rendere esplicito ciò che è implicito nel concetto di “metafisica del mezzo”. Si tratta di una critica, le cui radici risalgono a Hegel e Marx, alla morale e allo “imperativo categorico” di I. Kant, che potremmo così riassumere: “agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo”. Comando apprezzabile, ma astrattamente moralistico, impolitico. L’umanità non è un entità armonica che vive nella concordia. Essa è divisa, anzi dilaniata da contraddizioni e conflitti. E chi agisce politicamente deve fare differenza tra amici e nemici, non può comportarsi con i secondi come fa con i primi.
      Quando un brigante ti punta un coltello alla gola hai tutto il diritto di difenderti anche a costo di togliergli la vita. Quando il tiranno calpesta la libertà e la dignità di un popolo il tirannicidio è legittimo. Quando una potenza imperialistica aggredisce una nazione oppressa, questa ha non solo il diritto ma il dovere di difendersi e tentare di annientare il nemico.
      La morale kantiana non è che un forma elegante e secolarizzata del “porgi l’altra guancia”.
      METAFISICA DEL MEZZO significa quindi idealizzare e mitizzare un dato metodo (nel caso di specie quello pacifista o fariseicamente diplomatico), tornato in voga negli ultimi decenni dopo la rimozione dei “crimini del ‘900”. E non a caso per certa intellighentia politicamente corretta non solo Hegel e Marx ma pure Machiavelli sono pensatori esecrabili e nefandi.
      D’altro canto ricade in una metafisica del mezzo anche colui che, all’opposto, afferma che il potere si conquista solo ed esclusivamente, con la lotta armata, e quindi mitizza ed esalta l’uso delle armi.
      Per cui, per quanto sia una semplificazione ed una volgarizzazione del pensiero di Machiavelli sì, “il fine giustifica i mezzi”. Per quanto mi riguarda direi che un popolo che si pone un fine rivoluzionario può e deve ricorrere anche a mezzi e metodi moralmente detestabili se e solo se questi avvicinano l’agognata liberazione.

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  4. Graziano+PRIOTTO dice:

    Politica : “искусство или наука” , arte o scienza ?
    “Искусиати”: mettere alla prova, quindi agire, riferito a chi ha esperienza.
    Giustamente Pasquinelli ricorda che nella concezione di Lenin la politica era primariamente considerata arte, la scienza semmai serviva a capire la realtà, ma i movimenti rivoluzionari si dovevano basare appunto su un procedimento che è tipico dell’artista creatore di un’opera ,che se crea un capolavoro lo fa partendo da un’imprescindibile ispirazione, si basa sull’esperienza … e crea . La scienza spiega, l’arte crea.
    Anche il generale e filosofo cinese Sun Tsu non a caso aveva intitolato il suo trattato ” Arte della guerra”: dopo aver esposto tutti i criteri ricordava infatti che la scelta della straategia dipendeva infine soprattutto dall’intuizione, e le rivoluzioni sono in fondo guerre, condotte con sistemi diversi secondo le circostanze come appunto ricorda l’articolo di Pasquinelli.
    La politica vera, quella che trasforma il mondo migliorandolo , quindi pa politica rivoluzionaria è certamente un’arte. Tuttavia la scelta dei modi di procedere non è mai estemporanea, cosa che vanificherebbe ogni sforzo, ma è il risultato di procedimento euristico, cioè attraverso ipotesi e verifiche, e questo è il metodo scientifico.
    Dunque chiarite le priorità, si può affermare che politica è arte che si basa sulla e si serve della scienza.
    Esattamente l’opposto delle politiche neocapitalistiche, che pur presentandosi come scienza sono invece piuttosto un’accozzaglia di dogmi privi di fondamento scientifico che vengono insistentemente dichiarati irrinunciabili ed indiscutibili proprio perché non reggerebbero ad un’analisi scientifica degna di questo nome. In questo caso quindi né arte né scienza, sono i legami con la più antica professione.

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