LA GUERRA NEL DOPO-WAGNER di Leonardo Mazzei
Dunque, Prigozhin è giunto a Minsk. Nel frattempo, Putin ha ribadito le tre opzioni lasciate ai wagneriti: arruolarsi nell’esercito russo, andare in esilio, cambiare lavoro.
Anche se non possiamo conoscere tutte le clausole dell’accordo del sabato pazzo appena trascorso, siamo apparentemente davanti ad un chiaro successo del capo del Cremlino. Lo scontro fratricida è stato evitato, le perdite sono state minime, Prigozhin è stato sconfitto. E, soprattutto, l’Occidente è rimasto a becco asciutto.
Detto questo, è evidente che siamo ad un passaggio decisivo della guerra, uno snodo che ne segnerà nel bene e nel male gli sviluppi. Proviamo allora a fare il punto della situazione per cercare di mettere a fuoco le questioni principali.
- Non è stata una messinscena
Mancano ancora troppe informazioni per esprimere una valutazione compiuta sulla mossa del capo della Wagner. Probabilmente si sarà sentito con le spalle al muro, magari avrà valutato male i reali rapporti di forza, forse alcuni appoggi attesi al momento giusto non ci sono stati. Sono tutte cose che capitano in certe circostanze, basti pensare al flop dei golpe in Venezuela (2020) od in Turchia (2016), entrambi falliti benché appoggiati dagli Usa, non dalle Giovani Marmotte.
Ricordiamo queste banalità a chi, non riuscendo a raccapezzarsi su quanto avvenuto, ricorre alla pittoresca teoria della “messinscena”. Una messinscena di cui non si capiscono però i motivi. Insomma, se Putin e Prigozhin erano già d’accordo tra loro, davvero era necessario fare tutto questo casino per arrivare al nuovo modus vivendi tra governo russo e Wagner? Non scherziamo, per favore.
La verità è che nell’establishment russo (di cui obiettivamente fa o faceva parte pure la Wagner) lo scontro c’è, ed è normale che sia così. E’ normale per la complessità di quel Paese, è normale nel contesto di una guerra difficile e complicata. E, talvolta, questa normalità può sfociare in situazioni assai vicine al golpe od all’innesco di una guerra civile. E questo non solo in Russia, od in qualche landa sperduta dell’Africa, ma pure dalle parti della prima superpotenza mondiale. Senza andare troppo lontani nel tempo, cos’altro è successo a Washington il giorno della Befana del 2021 con l’assalto a Capitol Hill?
La verità è che il mondo è complicato, che gli errori di valutazione esistono, che non tutto è prevedibile, che la combinazione dei diversi fattori può scombinare qualsiasi progetto, che a volte i grandi piani falliscono, mentre altre quelli apparentemente strampalati hanno successo. E’ questo il bello della storia, bellezza!
Anziché dedicarsi all’esame di tutto ciò, il mondo è pieno di un esercito di commentatori d’ogni rango, e d’ogni indirizzo, che ritengono di aver capito tutto su quanto avvenuto, che sapevano già tutto prima e che lo avrebbero saputo anche se le cose fossero andate in maniera opposta.
Di fronte a questa massa di saputoni a prescindere, noi ci limitiamo a ricordare una sola cosa: se metti la guerra in mano ai mercenari, è abbastanza normale che ad un certo punto questi ti chiedano il conto anche in termini di potere, non solo di soldi. Se si capisce questo si capisce l’essenziale. Altro che messinscena!
- Due analisi opposte, ma entrambe strampalate
Adesso molti commentatori ci propinano due “verità”, opposte ma entrambe strampalate. Da una parte ci sono i commentatori mainstrem dell’Occidente, dall’altra (purtroppo, purtroppo, tre volte purtroppo) una buona fetta di quelli “alternativi”. Con questi ultimi ci unisce la scelta di campo, nel senso che siamo per la vittoria della Russia e per la sconfitta della Nato, ma non l’analisi concreta della situazione concreta. Ed è questo un problema che prima o poi bisognava segnalare.
Per i commentatori mainstream, peraltro tutti ben retribuiti, il discorso è semplice: nonostante la sconfitta della sedizione, per Putin saremmo ormai all’inizio della fine. Ergo, la Russia sarà non solo sconfitta, ma pure umiliata.
Per quelli “alternativi” il discorso è rovesciato. Putin ha vinto, punto e basta. Ha vinto come aveva già vinto nel febbraio 2022, dopo la presa di Mariupol o quella di Bakhmut. Ergo, la guerra sta per finire e l’Occidente scenderà presto a più miti consigli. Quante volte avete già sentito questo ragionamento? Direi comunque troppe.
Il problema è quando all’analisi, la più possibile rigorosa, si sostituisce la propaganda in un caso, la tifoseria nell’altro. Invece, pur essendo dichiaratamente tifosi della causa della resistenza alla Nato, quel che serve è piuttosto un’analisi realistica del punto in cui siamo giunti, in questa fase iniziale di quella che si prospetta come la prima tappa della Terza Guerra Mondiale.
- A che punto siamo?
Il conflitto armato tra la Russia e il blocco Usa-Nato-Ucraina è in corso da 488 giorni, tra non molto saremo all’anno e mezzo. Non poco per un conflitto che i più immaginavano di veder concludere in poche settimane al massimo. Ma la cosa peggiore è che la guerra è in stallo. Della mitica controffensiva ucraina non restano che tenui tracce, per lo più propagandistiche; ma non è che la precedente avanzata russa sia stata travolgente, anzi!
Per prendere Bakhmut, la cui importanza strategica è assai opinabile, sono serviti 9 mesi. Roba da Prima Guerra Mondiale! Questo fatto non può stupire chi, come noi, ha piena consapevolezza della forza di un nemico organizzato, guidato, addestrato ed armato alla grande dagli Usa e dal resto della Nato. Ma proprio per questo, andiamoci piano con i canti di una vittoria che vorremmo vicina, ma che ancora non lo è.
Come normale che sia, in questi sedici mesi ognuna delle due parti ha messo in luce punti di forza e punti di debolezza.
Il blocco occidentale ha mostrato una notevole coesione politica, mentre con una forte riduzione dei consumi ha saputo reggere pure l’impatto energetico. Non è però riuscito ad isolare politicamente la Russia come pensava, mentre sul piano militare si è evidenziata un’imprevista fragilità nel settore della produzione bellica.
La Russia ha retto meglio del previsto sul piano economico, ha saputo fare fronte alle pesanti sanzioni che le sono state inflitte, ma ha mostrato una notevole disorganizzazione delle proprie forze armate ed un’inferiorità qualitativa negli armamenti riconosciuta dallo stesso Putin. Un punto questo, sul quale il leader del Cremlino si dimostra ben più realista di certi suoi fans.
Il 9 giugno scorso, dopo aver dichiarato che: «Tutti i tentativi di controffensiva fatti finora sono falliti, ma il potenziale delle forze armate ucraine è stato preservato», Putin affermava che: «Alla Russia mancano ancora armi moderne, ma l’industria della difesa si sta sviluppando rapidamente e tutti i compiti fissati per l’industria della difesa saranno adempiuti». (la Pravda)
Non sarebbe male se al realismo a prova di bomba di Putin, corrispondesse un atteggiamento un po’ più sobrio anche da parte di certi putiniani d’Occidente.
La verità è che la guerra in corso è dura e maledettamente complicata per la Russia. Il blocco Usa-Nato-Ucraina ha le sue difficoltà, ma è impensabile che molli proprio adesso.
- Una guerra ancora lunga
Non abbiamo la famosa palla di vetro per scrutare il futuro, ma al momento l’ipotesi più probabile è quella di una guerra ancora lunga.
Le previsioni che si leggono da mesi su un “cessate il fuoco”, modello Corea 1953, non paiono molto convincenti. Certo, su entrambi i lati c’è stanchezza, ma nessuna delle due parti ha raggiunto i suoi obiettivi. L’Ucraina è ben lontana dal riconquistare i territori persi, la Russia lo è altrettanto dal pieno controllo delle 4 regioni formalmente annesse nel settembre 2022.
Ma è in particolare il blocco occidentale a rifiutare ogni ipotesi di mediazione. Prima il piano di pace cinese, poi quello indonesiano, sono stati cestinati prima ancora che potessero diventare un terreno di confronto politico-diplomatico. La Casa Bianca non ha intrapreso la strada della guerra, sia pure per interposta nazione, per farla finire in un nulla di fatto che per molti aspetti finirebbe per sembrare un successo (sia pure parziale) della Russia. A Washinton vogliono la capitolazione di Putin, con la speranza di innescare per quella via il processo di disgregazione della Federazione Russa. Dietro l’opposizione ad ogni trattativa c’è sempre stato questo obiettivo, al quale gli americani rinunceranno solo se costretti da una netta sconfitta sul campo.
- Il passaggio decisivo
Se quella attuale è una situazione di stallo, quale potrà essere il passaggio decisivo per decidere le sorti del conflitto?
In entrambi i campi, l’usura attuale è fondamentalmente un’usura di uomini prima ancora che di mezzi. L’Ucraina è ormai a corto di soldati, e potrà risolvere questo problema solo con un ingresso in campo diretto di truppe di paesi Nato. Senza i famosi stivali sul terreno – boots on the ground, come amano dire gli americani – reggere sarà difficile. Ed i primi paesi che potrebbero concretizzare questa svolta sono chiaramente la Polonia ed i Paesi Baltici.
La Russia ha lo stesso problema, e la mobilitazione parziale dei mesi scorsi non lo ha risolto. Per il Cremlino c’è una sola opzione per venirne fuori: quella di una mobilitazione generale in grado di raddoppiare (meglio ancora triplicare) le truppe al fronte.
Per evidenti ragioni politiche, sia interne che internazionali, sia la Russia che il blocco occidentale hanno finora evitato la strada di questa drammatica escalation, ma adesso è il momento della verità. Chi troverà la forza di compiere con decisione questa mossa?
Semplificando, esistono solo tre possibilità: a) nessuno dei due contendenti è in grado di aumentare le truppe in maniera decisiva, b) entrambi sono in grado di farlo, c) solo uno dei due ci riuscirà.
Nel primo caso avremmo la stanca prosecuzione dello stallo attuale; nel secondo saremmo ad un’escalation inferiore solo al superamento della soglia nucleare; nel terzo avremmo già scritto il nome del perdente e quello del vincitore.
In teoria questo schema prevede una sola variante: nel terzo caso la parte incapace di aumentare le truppe potrebbe infatti rispondere con l’uso di atomiche tattiche. In pratica, però, è ben difficile che chi è disponibile a rischiare l’uso dell’atomica, rinunci prima ad un aumento delle truppe.
Tutto lascia perciò pensare che sarà proprio su questo terreno che si giocheranno le sorti del conflitto. Da questo punto di vista, per una serie di ragioni, principalmente per il fatto di combattere una guerra esistenziale, la Russia sembra in condizioni migliori rispetto all’Occidente. Ma nulla sarà facile, e la scelta decisiva non potrà essere rimandata ancora a lungo. Sempre meglio mobilitare un milione di uomini che rischiare il conflitto nucleare.
Fa piacere veder Mazzei tornare sulle pagine di Sollevazione con un articolo concreto e coi piedi per terra.
I due elementi che mi sembrano esulare dall’analisi e renderla un po’ semplicistica sono quello degli equilibri internazionali e quello della natura globale del conflitto. Per Mosca la crescita del movimento dei BRICS o nuovi Paesi non allineati è fondamentale per evitare lo strnagolamento strategico ed economico. Al tempo stesso, una pacificazione dell’Ucraina non eliminerebbe l’assedio anglosassone, ma si limiterebbe a trasferirlo su altri fronti già adesso in fase di rodaggio, come quello bielorusso e quello armeno/azerbaigiano.
La guerra attuale dev’essere inquadrata nel più vasto contesto della terza guerra mondiale o seconda guerra fredda (come giustamente premesso dall’articolista). Putin sta cercando di evitare l’errore dell’Unione sovietica, che trasferendo troppe risorse al settore militare finì per restare indietro su quello economico. La possibilità di ulteriori mobilitazioni va valutata su questo sfondo.
Anche l’impiego di armamenti nucleari non dovrebbe necessariamente precedere le mobilitazioni generali. In proposito è in corsao in Russia un vivo dibattito:
https://eng.globalaffairs.ru/articles/a-difficult-but-necessary-decision/
https://www.geopolitika.ru/en/article/finding-deal-russias-nuclear-debate
Avevo dimenticato il più recente contribto al dibattito:
https://eng.globalaffairs.ru/articles/sober-up-the-west/