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TRA IPER-INDIVIDUALISMO E CYBER-CONTROLLO di Francesco Centineo

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C’è uno strumento simbolo, emblema, rappresentazione plastica del cyber-controllo. Questo strumento così innocente, attraente, divertente, comodo e pratico, diffuso tra tutti, grandi e piccini, è ovunque: nelle tasche di tutti sempre e comunque, da quando ci svegliamo a quando andiamo a dormire, lo smartphone è con noi, e ce lo trasciniamo fin sotto alle coperte molto spesso.

Lo smartphone scandisce i tempi della nostra giornata: ci distrae, ci interrompe, ci consiglia, ci indirizza e ci raddrizza, ci avvisa e ci avverte, monitora i nostri stati d’animo, percettivi ed emotivi, scandaglia i nostri desideri, i nostri sogni, le nostre abitudini, estrapola dati sempre e pervasivamente in mille modi, con una combinazione potenziata ed intrusiva dei vari metodi del controllo (biometrico, estrattivo, visivo, psicologico, emotivo etc. etc.) di cui la sorveglianza digitale può avvalersi nutrendo il Machine Learning degli algoritmi e targetizza le migliori opportunità per noi.

Questo piccolo e rivoluzionario aggeggio: lo smartphone, l’adorata “lampada di Aladino” le cui doti magiche, le infinite potenzialità rendono l’essere umano psicologicamente suddito di esso. Lo smartphone questo artefatto pregno dell’etica protestane iper-individualista dell’homo homini lupus della scuola anglosassone, della cultura del self-made man è permeato strutturalmente di quest’etica appunto.

Le tecnologie – deve essere chiaro – sottendono un’etica insita nella progettazione che nè determina la funzione sociale comportando di conseguenza,  implicazioni antropologiche e psicologiche che impattano sulla società tutta, sull’essere umano. Lo smartphone fa questo come tutte le tecnologie, di fatto, solo che lo fa in maniera molto particolare, in maniera capillare, invadente e pervadente. Analizziamo allora l’etica individualista che traspare da questa tecnologia e che plasma l’essere umano portandolo ad assumere tale Weltanschauung nella propria vita attraverso gli scritti del filosofo Eric Sadin.

Secondo il Sadin i neoliberisti della tecnocrazia della Valle del Silicio sono stati abili a conquistarci con il soft power, così mentre le crisi finanziare ci massacravano in soccorso, prima sono arrivati i social, i like, i commenti, i follower, poi arrivava il mitico e magico smartphone e così “tutti finalmente potevano provare l’esperienza di salire su un Concorde,” tutti potevano accelerare e raggiungere qualsiasi punto del globo dallo schermo, una sensazione di dominio sulla realtà così forte da farci sentire onnipotenti, anche perché finalmente eravamo liberi di informarci e di partecipare alla “democrazia” commentando comodamente da un divano.

Questo innocuo (all’apparenza) giocatollino, rende l’essere pseudo-indipendente, genera quella che Sadin definisce la condizione della “Autarchia Del Sè”, ovvero: la propensione ad isolarci, a disimparare a stare in comunità, sostituendo la necessità dell’interazione con il nostro prossimo con le applicazioni del suddetto e maledetto smartphone.

Cosicché per raggiungere un luogo non dobbiamo e non necessitiamo chiedere indicazioni ci basta il navigatore, non serve neanche più fermare un estraneo per farsi scattare una foto, c’è il selfie. E con l’avvento degli SME (Social Media Entartainmenet) tutti possiamo diventare star, influencer, tutti possiamo avere successo, tutti possiamo “scalare la piramide sociale”.

Per il filosofo Eric Sadin è “come se le logiche economiche in azione dalla svolta neoliberista avessero non solo insidiosamente impregnato gli animi, ma avessero anche fornito gli strumenti appropriati per consolidare la favola dell’individuo autocostruito, indifferente a qualsiasi universo condiviso”. Ed osserva come negli anni addietro alle soglie del nuovo millennio “le folle […] si sarebbero lasciate inebriare da dispositivi che promettevano loro un maggiore potere d’azione accentuando una galvanizzante sensazione di centralità del sé.”

Come facilmente si nota lo smartphone è il Re di questi dispositivi. Regna sovrano ed il suo schermo, o meglio, la sua “interfaccia tattile. Lo schermo di vetro […] reagiva immediatamente ai nostri comandi. Era possibile caricare un link con una leggera pressione dell’indice, scorrere con un semplice gesto […] si poteva zoomare all’interno di un’immagine [..] esaminando ogni punto di vista, come nessun metodo di rappresentazione aveva mai permesso di fare fino ad allora. Le operazioni avvenivano attraverso una carezza [..] instaurando una modalità relazionale con l’oggetto [..] fatta al contempo di un’immediata reattività e di un’intimità carnale. Lo smartphone dava la sensazione all’utente di un perfetto dominio.”

Un dominio che abbiamo pagato a caro prezzo. Quello che abbiamo ottenuto, infatti, oltre a tutte le implicazioni sopraccennate – che meriterebbero altre pagine di approfondimento – e che generano quello che Sadin definisce il fenomeno dello “Io Tiranno”.  Lo smartphone è un oggetto deputato a renderci “dominati” e “sorvegliati” e non “dominatori” come ci eravamo illusi di essere, oltretutto è una tecnologia che aliena e corrode i rapporti sociali contribuendo all’atomizzazione totale dell’individuo e porta allo smarrirsi delle competenze sociali che consentono di con-vivere in comunità. La sorveglianza e l’estrapolazione di dati, poi, gettano l’essere umano all’interno del dominio digitale, preda dei tentacoli delle multinazionali che ci manipolano a botte di “capitalismo della sorveglianza” analizzando le nostre esistenze e ci sottopone alle follie governative come i tracciamenti, le App Immuni ed i Green Pass.

L’abuso compulsivo-ossessivo di questa tecnologia é il problema. Lo smartphone è si strutturato ed architettato ad una certa maniera, come del resto intelligentemente osservava Cresti nella chiaccherata che abbiamo fatto qualche giorno addietro asserendo che “si è intesa la tecnologia – soprattutto negli ultimi 20 anni – per “titillare” e “stuzzicare” delle debolezze intrinseche, connaturate nell’essere umano. Si è voluta spegnere la volontà di cimento, d’impegno, di forza di volontà.” E tutti noi ci siamo cascati delegando le nostre esistenze a tali tecnologie subordinandoci ad esse diventando burattini di carne umana dotati di un cervello esterno (lo smartphone) che ragiona – per così dire – al posto nostro.

Non dobbiamo, però,  gettare il bambino con l’acqua sporca. Avere un computer tascabile non è un male, dobbiamo solo riconsiderare il nostro rapporto con tale tecnologia e prendere delle accortezze e delle precauzioni, forti della conoscenza che ormai abbiamo di come tale tecnologia è strutturata. Un consiglio? Cercate di ritagliarvi degli spazi off-line, cercate di vivere dei momenti della giornata “fuori da internet”.

Non siamo obbligati a vivere iper-connessi, ultra-sorvegliati e digitalizzati, non dobbiamo essere ovunque sempre in contatto con l’emisfero virtuale, non siamo obbligati a cercare, postare, condividere, informarci dallo schermo di uno smartphone, possiamo compiere molte scelte per limare, modificare o rigettare quel che nel nostro rapporto con la tecnologia è nocivo e rimodulare l’uso che ne facciamo; in maniera che siano strumenti al servizio dell’uomo e non finisca al contrario che sia l’uomo asservito ad essi.

Un pensiero su “TRA IPER-INDIVIDUALISMO E CYBER-CONTROLLO di Francesco Centineo”

  1. Carlo dice:

    …il capitale,dietro il quale vi sono uomini con una visione del mondo ben strutturata,ha fatto si che altri uomini hanno concepito,la tecnologia adatta alla sottomissione e controllo in questo ulteriore passaggio storico…infatti non va imputato alcunche alle nuove tecnologie….ma bensi all’uso….. imposto dall’elite che controlla il tutto!

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