1

INFERNO DIGITALE di Francesco Centineo*

Scrive Pitron: “Se c’è stato un tempo in cui guardavamo il cielo per migliorare la nostra comprensione del mondo qui in basso, oggi è l’esatto contrario: migliaia di astri elettronici guardano senza sosta noi e i nostri compagni, i tonni del Mediterraneo, i pinguini del Capo o i pini del Paranà in Brasile. Mai prima d’ora la natura è stata sottoposta a una tale sorveglianza!” – siamo in un mondo folle: tossico, freddo, pieno di cavi ed acciaio, sottoposti alla dittatura dei sensori e della digitalizzazione.

Quella verso cui andiamo non è una rivoluzione “Green”; questa è la favola che narrano a quattro colonne. In realtà: ciò verso cui andiamo è una nuova catastrofe ambientale dovuta ad una ennesima rivoluzione tecnologica che genera e genererà sempre più inquinamento.

Partiamo da una delle conclusioni del giornalista d’inchiesta Guillieme Pitron: “Sebbene stimoli la nascita di iniziative incredibili con lo scopo di proteggere il clima e la biodiversità, la rete non è pensata per “salvare” il pianeta e ogni discorso che collega la resilienza delle vita sulla Terra alle prestazioni degli strumenti digitali, è, secondo il nostro parere, una forma di mistificazione, una favola”.

Così, con un secco, lapidario, quanto ponderato e ragionato giudizio, Pitron smonta la balla della favola verde che altro non è che un mega operazione di “greenwashing” che comporta inquinamento ambientale, enormi costi energetici, e che, pensate un pò, per la gioia degli attivisti climatici, produce un sacco, ma un sacco di co2: più del 4% delle emissioni totali; ed è una percentuale destinata a crescere ed abbondantemente.

Pitron ci prende per mano e ci guida con lui in questa straordinaria inchiesta lungo 4 continenti: dalle miniere cinesi dove si “purifica” la grafite, in Europa dentro i Data Center (i giganteschi mostri energivori che conservano i nostri avatar digitali), poi negli States dove il gigante dell’energia Dominion spiana le montagne per estrarre il carbone con cui produrre l’energia che serve per mantenere i mega server delle Gafam (Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft), fino all’Antartico dove i “conquistatori digitali” vorrebbero far passare i nuovi cavi sottomarini per interconnettere il globo. Perchè, in caso non lo sapeste, l’industria del digitale per la gran parte delle proprie necessità va a carbone! Altroché “Green”, qui a rinverdirsi sarà solo il capitale.

Come osserva Pitron: “il mondo smaterializzato sarà sempre più materialista” , ed un mondo sempre più materialista non può che essere un mondo sempre più inquinato ed un mondo “insostenibile” sotto ogni punto di vista.

Secondo l’indice Mips — un’indice che si concentra sull’impatto dei materiali usati per fabbricarlo — “un computer di 2 chili richiede tra gli altri, 22 chili di prodotti chimici, 240 chili di combustibile e 1,5 tonnellata d’acqua pulita. Il Mips di una televisione varia dalle 200 alle 1000 volte in più, mentre quello di uno smartphone è di 1200 circa (183 kg di materie prime per n150 granammo di prodotto finito). Ma è il Mips di un microchip a battere tutti i record. 32 chili di materiali per un circuito integrato di due grammi, ovvero un coefficiente sconcertante di 16000 volte ad uno”.

Daremo solo un’altra informazione tratta da questo straordinario saggio-inchiesta che consigliamo vivamente. Sappiate che “Internet” e le sue infrastrutture consumano il 10 per cento dell’energia mondiale, 3 volte ciò che consuma una nazione come la Francia ed è una quota che è destinata ad aumentare esponenzialmente, con il rischio che questa “svolta digitale”, secondo il giornalista, non riesca neanche effettivamente a compiersi. Quello cui andiamo incontro comunque sia non è un mondo idilliaco e perfetto, tutt’altro, quello verso cui andiamo è un vero proprio “Inferno Digitale”!

Il saggio affronta nel dettaglio i molteplici aspetti di questa follia, consigliamo vivamente la lettura.

* Fronte del Dissenso -Torino




INCOSCIENZA ARTIFICIALE di Francesco Centineo

“IASIMA” così la chiama Chiriatti – nel suo saggio Incoscienza Artificiale –  alla cosiddetta Intelligenza artificiale. IA? Si, ma… in che senso? Nel senso che come afferma Massimo Chiriatti, tecnologo e dirigente informatico, che collabora con università e consorzi per eventi di formazione sull’economia digitale, ed esperto di innovazione e futuro del lavoro ed è autore anche di #Humanless. L’algoritmo egoista , l’IA tutt’è tranne che intelligente “sarebbe meglio, quindi, sostituire “intelligenza”, che ha un’accezione positiva con “incoscienza”, poiché gli algoritmi, eseguendo regole che imparano autonomamente dai dati, producono risultati senza alcuna comprensione e coscienza di ciò che stanno facendo”.

Questo, troppo spesso, le persone tendono a dimenticarlo, altresì non si rendono conto che ormai la tecnologia ha raggiunto livelli tali da aver prodotto “macchine autonome”, materiali e soprattutto “immateriali” come i chatbot ed altre diavolerie fisiche e virtuali generate dall’avvento della ”Incoscienza Artificiale” che influiscono, interagiscono, influenzano le nostre vite a tal punto da decidere in molti ambiti per noi! Il saggio del Chiriatti si concentra su questo dilemma. Dove stiamo andando? Chi stiamo diventando? Che cosa stiamo facendo? Siamo sicuri di aver compreso bene che cos’è questa “Incoscienza Artificiale” e come dobbiamo usarla? Cosa succederà nell’avvenire e quali dovrebbero essere le misure da prendere?

Chiriatti con questo brillante lavoro ci aiuta a barcamenarci in questo prossimo futuro che potrebbe colorarsi a tinte “distopiche” se non comprendiamo bene almeno due aspetti: 1) le macchine sono una nostra creazione e dobbiamo quindi sub-ordinarle alla nostra volontà 2) per fare questo dobbiamo imparare a fare le giuste domande e le giuste ricerche  (ah se solo la ricerca e la “scienza” fossero pubbliche) per comprendere bene come tali algoritmi vengono programmati e, soprattutto, dobbiamo prendere e pretendere il “dominio” dei nostri dati – insomma dovremmo abbattere il sistema capitalistico e superare il modello della competizione (sic!)

Come osserva Chiriatti “Quale controllo abbiamo sulle macchine ormai piene di nostri dati e di algoritmi scritti da pochissime persone?” Ed è perciò che per Chiriatti “Nel futuro, a contare non saranno le risposte ma le domande.” E qui il tecnologo pone una questione complicata ed in effetti centrale;  scrive Chiriatti: “Possiamo computare la fiducia che affidiamo alle macchine? Si, ma solo se nelle loro risposte sono compresi il chi, cosa, dove, quando, come e soprattutto perchè.”  E questo sottolinea la necessità che la tecnologia ed il sapere scientifico non siano dominio e proprietà di grandi multinazionali e dei poli “tecno-militari” delle grandi potenze.

In caso poi si superasse questo scoglio, a quel punto avrebbe ragione Chiriatti. Basterebbe  che ci rendessimo conto che è “evidente che le macchine non hanno le abilità necessarie a rispondere, ed è solo comprendendo bene i campi di applicazione e i limiti dell’IA che riusciremo scrollarci di dosso gli entusiasmi e gli scetticismi più ingenui.” – perchè bisogna essere scettici ma con cognizione di causa. Bisogna rendersi assolutamente conto che “Stiamo essenzialmente delegando la nostra fiducia a un’entità che, come abbiamo capito, non è assolutamente in grado di comprendere quello che comporta ogni sua azione e che non può esserne responsabile.”

Chiriatti perciò lancia un monito che dobbiamo accogliere e fare nostro, perchè il punto è proprio questo: “Stiamo cercando attraverso le macchine di deresponzabilizzarci, quando invece dovremo essere più responsabili per evitare rischi sistemici e imprevedibili.” Alchè la domanda è lecita: “Perchè ci comportiamo così?” Per il saggista “alcune cause di questo comportamento sono storiche: le persone connesse in rete sono lontane nello spazio, mentre i tempi di comunicazione si accorciano; altre sono tecniche ed economiche: la facilità di ottenere risposte su tutto in  real time ; altre ancora sono sociali: non ci fidiamo più dell’altro, e neanche di noi stessi.” – siamo giunti a tal punto e questo è un dramma.

Perchè “se questo è vero allora stiamo cambiando il mondo alla cieca: siamo ciechi davanti alla mole di dati, ciechi di fronte ai pregiudizi contenuti in dati e in modelli, ciechi perchè non sappiamo dove stiamo andando . Eppure, ci stiamo affidando alle macchine più che agli esperi perchè Iasima  sembra ma (non è) agnostica e affidabile.” Ma perchè non può essere affidabile “Iasima” non può essere affidabile? La risposta è semplice, scontata e lapalissiana, eppure, ai più, sembra non entrare in testa, soprattutto ai magnate che continuano a sognare ad occhi aperti, ad investire miliardi in progetti assurdi e a sparare cialtronerie per legittimare tale narrazione agli occhi della gente e speculare sui mercati.

Massimo Chiriatti giustamente osserva che “Il problema è che ci comportiamo come se il mondo fosse un dominio lineare, mentre non è così. Un dominio lineare è prevedibile e ha un basso grado di interazione tra gli elementi che contiene; in un dominio complesso, invece i legami causali sono difficilmente visibili e la prevedibilità estremamente bassa. […] In psicologia  ed economia ci sono fattori e cause che semplicemente non capiamo, o che hanno così alti livelli di interdipendenza che le previsioni ex ante sono inaccessibili dal punto di vista computazionale; pertanto le previsioni diventano disponibili solo ex post.”

Questo perchè la realtà è irriducibile, è incalcolabile ed è imprevedibile, perciò invece di venerare l’intelligenza artificiale e perseguire autisticamente come fanno le nostre istituzioni la svolta digitale in tutti gli ambiti delle nostre esistenze  “sarebbe meglio far risolvere a Iasima sia i problemi deterministici sia quelli probabilistici, e lasciare a noi tutto il resto, ossia quando ci sono novità, incertezze e quando servono astrazione, intuizione e creatività” a meno che non preferiamo trasformarci in dei robot, in dei burattini di carne umana, subordinati, sottomessi, soggetti assoggettati a degli artefatti irresponsabili ed incoscienti. Altroché transumani qua al massino ci trasformeremo in sub-umani.




IL LATO TOSSICO DELLA TECNOLOGIA di Francesco Centineo

Elettrosmog e technostress sono problemi grossi, enormi, sottaciuti e poco vagliati perchè in fondo, alle persone, poco interessano, troppi sono i vantaggi dovuti al progresso tecnologico per il cittadino medio.
Le lobby e gli interessi economici dell’industria e quella dei governi nell’implementare la sorveglianza digitale panottica fanno il resto e la quarta rivoluzione industriale procede; così come procede senza freni l’installazione di potenti antenne e si avanza nella connessione digitale perpetua di tutto l’ambiente circostante.
Nel mentre, oltre ai ripetitori, le antenne e tutti gli oggetti elettrici che circondano ed infestano le nostre vite, i cittadini-consumatori vivono sempre perennemente immersi nel campo elettromagnetico del proprio cellulare e degli smart objects di cui si circondano nei loro appartamenti, intossicando le proprie esistenze in maniera preoccupante.
Nel 2016 Gabriella Zevi nel saggio I Pericoli Della Tecnologia Invisibile denunciava che “La sindrome di elettrosensibilità e allergia ai campi elettromagnetici interessa decine di milioni di persone in tutto il mondo di cui 2 milioni solo in Italia e 300.00 in Lombardia. Queste persone devono assolutamente evitare i luoghi dove sono in stallate antenne e ripetitori e non possono usare cellulari e computer”.
Tale sindrome si manifesta con sintomi quali “cefalea, dolori, fischi nelle orecchie, calo della vista, debolezza, insonnia fino a sbalzi di pressione, aborti spontanei, aritmie cardiache e dermatiti che si manifestano ad ogni uso di un cellulare o di un elettrodomestico.
Noi ci soffermeremo e concentreremo in particolare sul ruolo delle “information technology”, in quanto smartphone e tablet rappresentano evidentemente quegli strumenti da cui le persone tendono ad essere totalmente “dipendenti” ed essendo utilizzati in maniera costante sono vettori potentissimi di technostress ed elettrosmog.
Partiamo da un fatto: “Nelle scuole della Sylicon Valley, frequentata dai grandi dell’informatica mondiale, è escluso l’uso dei computer” eppure le nostre istituzioni vorrebbero trasformare le nostre scuole in dei “laboratori informatici” iperconnessi e  già alcuni istituti di medie superiore costringono i genitori a comprare un telefonino cosicchè i figli  ricevano i compiti da fare a casa via email; i diari non vanno più bene, non sono alla moda!
Mentre in Italia si prosegue su questa china indegna, francesi e belgi da quasi un decennio hanno vietato l’uso di cellulari ai bambini fino ai 6 anni e fino a 12 hanno reso obbligatorio l’uso dell’auricolare.
Gabriella Zevi scrive che “ L’Agenzia Europea per l’Ambiente ha dichiarato, il 24 gennaio del 2013, che l’uso del cellulare compromette la formazione regolare del cervello dei bambini e la Corte di Cassazione con sentenza del 03.12.2012 n. 17438, ha riconosciuto il rapporto di causa effetto tra l’uso del cellulare e il tumore al cervello” una sentenza che dovrebbe far riflettere tanti genitori.
Inoltre siccome è di moda per i genitori odierni regalare al tablet il ruolo di babysitter dei propri infanti, sappiate che “I ricercatori dell’Università dello Utah hanno scoperto che il cervello di un bambino di 5 anni assorbe una quantità di radiazioni quattro volte maggiore rispetto al cervello di un adulto; la sua barriera emato-encefalica è assolutamente permeabile alle radiazioni, che distruggono cellule neurali che nella vecchiaia potrebbero compensare la morte dei neuroni causata da malattie degenerative come l’Alzahaimer”.
Infatti l’abuso di tali tecnologie favorisce l’insorgere precoce della de-menza come documenta ampiamente il neuroscienziato Manfred Spitzer nel saggio Demenza Digitale edito da Corbaccio che a pag,. 46  scrive “la malattia di Alzhaimer – la causa più frequente di demenza – interessa dapprima solo una piccola porzione del cervello e solamente in un secondo momento si diffonde in tutto l’encefalo. È quindi facile immaginare (ed è stato dimostrato scientificamente)  che il decadimento neuronale cominci molto prima dei sintomi soggettivi e oggettivi della malattia. In questi casi si parla anche della “riserva cognitiva” – quella riserva cognitiva che l’abuso da tecnologia squaglia e dissolve  in quanto il livello di questa “ riserva cognitiva” dipende da “quanto il cervello era formato prima dell’inizio del declino”,  e declino che l’uso di smartphone, tablet e qualsiasi tecnologia a schermo alimentano, impedendo una corretta formazione del cervello stesso.
Oltre ai grossi danni alla salute fisica e cerebrale, anche i danni psicologico-psichiatrici sono notevoli. Pensate che in Asia il problema delle dipendenze è così grave da aver indotto sia la totalitaria Cina che la democratica Corea del Sud ad istituire “campi organizzati in modo paramilitare per il recupero di giovani affetti da dipendenza da computer, internet e smartphone”.
Gabriella Zevi nel summenzionato saggio a pag. 20 riporta che “Nella città di Roma  il policlinico Gemelli ha costituito un ambulatorio per drogati del web e lo psichiatra Federico Tonioni non usa mezzi termini per descrivere il trauma di bambini e ragazzi incapaci di esprimere la loro fisicità, la loro giovinezza, la capacità di creare relazioni sociali”  e sempre la Zevi a proposito dei campi di rieducazione cinese scrive che “L’Espresso del 4 ottobre 2014 ha raccontato che in Cina i ragazzi computer-dipendenti sono curati con internamento e allenamenti di tipo militare; sono i genitori disperati a far internare i propri figli che non riescono più a staccarsi dal computer” e si è scoperto che “i ragazzi che giungono al centro presentaNO una depressione profonda, il 58% aggredisce i genitori, la maggior parte non è in grado di mantenere rapporti di amicizia fuori dal cyber spazio […] ultimamente hanno cominciato a macchiarsi di crimini violenti come avviene abitualmente negli Stati Uniti”.
I danni ed i problemi causati dall’abuso delle smart technology, dalla diffusione di oggetti elettrici ed intelligenti, la propagazione di onde energetiche capillare di antenne e ripetitori, e la mania di interconnettere tutti gli spazi possibili ed immaginabili sottopongono l’essere umano ed anche tutti gli altri esseri viventi ad una esposizione micidiale all’elettrosmog, un inquinamento terribile e poco considerato che porta con sè effetti devastanti sulle nostre esistenze.



LA DOLCE GABBIA DELLA TECNOLOGIA di Paolo Cleopatra

GOVERNO DEL CAPITALE FINANZIARIO: LA DOLCE GABBIA DELLA TECNOLOGIA Central Bank Digital Currency, ovvero la perdita del possesso 

Parte seconda

Alla fine del mese di agosto 2023 il summit delle nazioni BRICS, che si terrà in Sud Africa, lancerà una nuova piattaforma digitale, attraverso cui i membri del sistema potranno eseguire scambi tra loro. In futuro, essa potrebbe anche erogare una moneta unica, una sorta di sovra-moneta parallela a quella utilizzata nei loro rispettivi paesi.

Questa nuova moneta non sarà disponibile ai cittadini per le normali transazioni, ma sarà utilizzata unicamente dai governi e dalle principali banche ed entità finanziarie dei singoli stati per commerciare tra loro senza l’obbligo di dover usare il dollaro. Inizialmente, quindi, per le transazioni non governative o bancarie si continuerà ad usare la moneta attuale, anche se pian piano verrà sempre più incentivato l’uso di quella elettronica, ovvero CBDC, Central Bank Digital Currency. Sarà un tipo di valuta digitale centralizzata. Questa definizione racchiude in sé la natura dello strumento e la sua struttura organizzativa con limiti e prerogative.

Al momento vi sono molteplici perplessità, non è chiaro il punto di arrivo della trasformazione in atto e a cosa potrà portare negli anni futuri nella comunità dei BRICS.

L’India, membro importante ed economia in forte crescita per i prossimi anni al pari di altre economie, non pare disposta a rinunciare alla propria rupia. La Cina, altra realtà che insieme all’India totalizza circa il trenta per cento della popolazione globale, pare essere per storia, dimensione, cultura ed economia la nazione a forte vocazione egemonica in questo contesto.

Il rublo digitale è già stato annunciato recentemente e già la Cina dispone di uno yuan digitale. Brasile e India stanno anch’esse lavorando per lanciare le loro valute digitali e lo stesso vale, come oramai largamente pubblicizzato, sia per l’UE che per gli USA.

La Federal Reserve ha infatti lanciato lo scorso mese una prova per dodici settimane della propria CBDC, a cui partecipano varie istituzioni finanziarie come Mastercard, Citibank, HSBC e Wells Fargo. La piattaforma di nome FedNow è l’infrastruttura digitale programmabile con cui gestire il sistema che consentirà il futuro lancio del dollaro digitale, anche se al momento servirà solamente per transazioni tra Istituzioni.

È evidente come tutti i blocchi economici mondiali stiano lavorando per la trasformazione della moneta fisica, oggi di proprietà esclusiva del portatore, in uno strumento nuovo dai risvolti inediti.

Cerchiamo qui di seguito di esaminare le caratteristiche della versione privata delle CBDC, vale a dire quelle che saranno riservate a noi come privati cittadini e che potrebbero influenze i nostri diritti ed i nostri doveri.

Stiamo parlando di qualcosa che rappresenta il cambiamento più significativo per il concetto di denaro in tutta la storia dell’umanità. Senza timore possiamo affermare che le nostre vite e le nostre abitudini saranno cambiate per sempre in modo radicale.

Entriamo nel merito della questione.

Il partito dell’attuale ministro delle finanze olandese Sigrid Kaag il 26 ottobre ha presentato al parlamento una nuova serie di leggi. Questa proposta legislativa è stata pubblicizzata come freno al riciclaggio illegale di denaro e richiederebbe che tutte le banche siano costrette a tracciare e tenere registrazione di qualsiasi transazione superiore ai 100 euro. Il limite per la segnalazione, in questo momento, è fissato a circa 10.000 euro. Ciò darebbe al governo l’accesso a un’incredibile quantità di dati personali sui suoi cittadini. Si tratta di dati a cui sarebbe in grado di accedere in qualsiasi momento e senza specificarne le ragioni in assenza di alcun tipo di mandato giudiziario.

Dall’altra sponda dell’oceano, l’amministrazione Biden sta cercando di far passare nuove leggi che ridurrebbero la soglia per la segnalazione bancaria da $ 10.000 a soli $ 600. Questo ha attirato critiche importanti ed è stato definito un mandato di perquisizione su vastissima scala senza bisogno del consenso di un giudice. A difesa della proposta il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen, ha cercato di sminuire queste preoccupazioni suggerendo che gli americani non hanno nulla di cui preoccuparsi. Questo solleva alcune domande. Se si tratta solo di poche informazioni, perché il governo le vuole a tutti i costi? Ma in ogni caso, cosa succederebbe se il governo non avesse solo accesso alle transazioni oltre un certo limite di spesa, ma potesse vedere tutto illimitatamente?

È proprio qui che le CBDC entrano in scena. Assomigliano alle criptovalute, ma laddove la maggioranza delle criptovalute è decentralizzata e privata, le CBDC sono esattamente l’opposto. Una CBDC è completamente posseduta e controllata dal nostro governo che terrà quindi il nostro portafoglio, i nostri soldi, e avrà accesso a tutti i nostri dati finanziari, comprese le informazioni su ciascuna transazione nella nostra vita quotidiana.

Queste nuove valute renderanno anche obsolete le banche o il concetto di banca così come lo abbiamo vissuto sino ad oggi. I tipici servizi bancari, che nel corso degli ultimi anni si sono sempre più digitalizzati, non sarebbero più necessari. Il nostro conto e il nostro portafoglio sarebbero direttamente nelle mani del governo.

Ricordando la famosa finestra di Overton, potremmo dire che solo un paio di anni fa le CBDC erano considerate ipotetiche e irrealizzabili, ma oggi sono realtà.

Valute digitali analoghe sono già state lanciate appieno in undici paesi. E secondo il sistema di tracciatura dell’Atlantic Council, 112 nazioni in tutto il mondo sono in una fase di implementazione delle CBDC. In altre parole, molto presto una qualche CBDC arriverà anche nelle nostre tasche. Sembra che stiano tutti parlando la stessa lingua e dicendo le stesse cose. I maggiori centri di potere mondiali, infatti, lanciano il medesimo messaggio a reti unificate: sicurezza, tranquillità, facilità ed inclusione.

Il Primo Ministro del Regno Unito Rishi Sunak, nel suo precedente ruolo di ministro delle finanze ha detto che le CBDC sono una nuova forma di denaro che favorisce la sicurezza e l’inclusione (di chi e in che modo è tutto da dimostrarsi); la Federal Reserve statunitense afferma che la CBDC sarebbe la forma di denaro più sicura disponibile e offrirebbe un miglioramento della sicurezza rispetto all’attuale sistema monetario. Il Fondo Monetario Internazionale dichiara inoltre che le CBDC offrirebbero maggiore tranquillità e molta meno volatilità rispetto alle criptovalute attualmente disponibili. Il World Economic Forum ritiene che le CBDC contribuiranno a promuovere l’inclusione finanziaria in tutto il mondo, oltre che fornire maggiore sicurezza e protezione riducendo la criminalità finanziaria.

Purtroppo, però, l’introduzione di una CBDC rappresenta una fondamentale cessione di sovranità che consentirebbe al nostro governo di tracciare quasi tutto ciò che facciamo, cosa acquistiamo, quando lo acquistiamo e da chi lo acquistiamo. In altre parole, darebbe ai nostri governi una quantità di potere che non hanno mai avuto nella storia dell’umanità. Come se non bastasse, la parte più preoccupante non è solo che avrebbero accesso a tutti i nostri dati finanziari, ma il fatto che una CBDC è per definizione programmabile.

I nostri soldi e il modo in cui potremo utilizzarli potrebbero essere quindi programmati in modo da consentirci di spenderli solo per determinati prodotti approvati e impedirci di acquistarne altri. Potrebbe essere qualcun altro a decidere quali prodotti sarebbero essenziali. Potrebbe venir posto un tetto massimo oppure una scadenza temporale, avere un limite di spesa giornaliero oppure entro un certo lasso di tempo. Ricordiamo i recenti e ripetuti stati di emergenza che sono perdurati nel nostro paese almeno due anni.

È importante capire come queste azioni potrebbero diventare una realtà quando le CBDC entreranno nelle nostre vite. Un altro modo molto plausibile in cui una CBDC potrebbe essere utilizzata per controllare come usiamo il nostro denaro è di abbinarlo alla nostra produzione di anidride carbonica. Sappiamo tutti che il nostro mondo è diventato ossessionato dalle emissioni di anidride carbonica, e che, molto presto, la maggior parte di noi avrà un limite personale relativo a quanta ne potrà produrre.

Esso è in fase di collaudo e si parla di applicarlo in molte nazioni della Terra. La CBDC metterebbe nelle mani del nostro governo l’intera cronologia dei nostri acquisti e, in tal modo, potrebbe anche calcolare il nostro consumo di carbonio. Oppure, invece di impedirci di acquistare questi articoli, potrebbero semplicemente multarci per la produzione di CO2 in eccesso. E poiché saranno già padroni del nostro denaro, le multe sarebbero automaticamente prelevate dal nostro conto. È importante ricordare cosa è stato fatto pochi mesi fa in Canada da Justin Trudeau durante la rivolta dei camionisti contro il Governo.

In Cina, dove una versione di CBDC è già attiva, i punteggi di credito sociale di ogni singola persona sono collegati ai rispettivi conti bancari. Questo è il regime che il governo cinese ha già imposto su oltre 23 milioni di persone. La maggior parte di noi non vive in Cina ma in una società considerata molto aperta, libera e “inclusiva”. Questo è il motivo per cui molte persone temono l’implementazione di una CBDC, visto che i governi hanno già dimostrato un’inaudita sete di potere nei confronti dei propri cittadini.

Le implicazioni di questo cambiamento di paradigma sono considerevoli, e al netto del messaggio propagandistico che viene trasmesso ininterrottamente a suo favore non è chiaro, allo stato attuale, quali saranno le ripercussioni per la vita del normale cittadino.

Dal punto di vista storico possiamo dire che dopo l’età del baratto e la nascita della moneta come mezzo di scambio, quest’ultima abbia sempre rappresentato non solo la funzione di intermediario tra merci e persone, ma anche l’intrinseca proprietà dell’individuo che la possiede. Proprietà data dal possesso fisico che ne determina l’accumulazione, il risparmio, l’investimento o anche solo la sicurezza del soddisfacimento dei propri bisogni primari.

Se questi presupposti non sono più garantiti, ma tecnologicamente superati attraverso l’espropriazione del contenuto fisico ed in secondo luogo del valore nel tempo del denaro, il significato stesso del possesso sarà svuotato ed annullato.  Non per nulla, quest’operazione di svuotamento è iniziata con la finanziarizzazione dell’economia e la pervicace privatizzazione degli istituti bancari.

Oggi, infatti, il nostro denaro depositato presso un istituto bancario cambia automaticamente natura all’atto del deposito, divenendo da proprietà un credito verso l’istituto medesimo, credito che può anche essere perso in caso di fallimento, perché non più garantito dallo stato. Il cambiamento appare sottile, ma a ben riflettere diviene sostanziale. Attraverso la finanziarizzazione spinta dell’economia, la creazione di valore non è più dovuta ad un processo che richiede necessariamente il lavoro e la sua accumulazione, e quindi all’obbligatorietà che un titolo esprima sempre il valore rappresentato da un sottostante.

Guardando oggi al fenomeno, che ha radici lontane nel tempo, si comprende bene come la preparazione alla smaterializzazione della moneta e della sua proprietà sia già stata indotta concettualmente ad esempio attraverso le carte di credito. Oramai è solo questione di tempo per la sua completa attuazione.

La negazione della libertà è un altro degli aspetti che non viene valutato mai troppo ma che pervade un cambiamento di questa portata nella società e nella gestione della proprietà individuale. La libertà di disporre a proprio piacimento di ciò che è nostro, e magari anche di dissiparne il valore, è all’interno delle nostre prerogative di uomini liberi di agire senza costrizioni e vincoli ad un’autorità esterna che arriva a spiare atto dopo atto tutto quello che facciamo, carpendone informazioni che andranno ad alimentare il regime di controllo.

Non solo quindi potremo essere indirizzati a cambiamenti di abitudini e gesti quotidiani, ma teoricamente a tanto altro di cui al momento possiamo unicamente speculare.

Lungi dal volerci barricare dietro le abitudini del passato ed apprezzando le possibilità rese disponibili dalla tecnologia, dovremo affrontare questo cambiamento cercando di bloccare l’imposizione a paradigmi di subalternità intellettuale con strategie adeguate al nostro tempo, per cercare di conservare alcuni dei valori costitutivi dell’essere umano, quali la libertà e la dignità.




CHI C’È DIETRO ALLA SILICON VALLEY di Francesco Centineo

Quando si parla di “controcultura” e di Silicon Valley solitamente si volge lo sguardo al Flower Power e ai vari Timothy Leary, Aldous Huxley, ed ai grandi movimenti contro la guerra in Vietnam, ai grandi concerti, a Jimmy Hendrix ed ai Grateful Dead ed alle droghe sintetiche, ai viaggi triptaminici dei grandi Guru neospiritualisti ed alle più svariate utopie fricchettone e fricchetoidi. Ma questa non è stata l’unica rivoluzione siliconiana; nel frattempo, un’altra vera e propria rivoluzione si compieva nella valle del silicio e della quale poco si parla.

Eric Sadin nel saggio La Siliconizzazione Del Mondo affronta con piglio brillante l’argomento sviscerando con un’analisi dettagliata e puntuale tutti gli accadimenti, i risvolti e l’impatto di questa sotterranea rivoluzione che nell’ombra si insinuava e metteva radici profonde. Così’ alla fine degli anni ’60 mentre “La controcultura californiana aveva vissuto la sua stagione più intensa. Parallelamente era andata dispiegandosi un’altra forma controculturale, che però non ne portava il nome. Non aveva niente di solare e mirava a tutt’altri obiettivi. Agiva e si sviluppava sullo stesso territorio da molto più tempo, ma in maniera discreta e senza ostentazioni.”

Una rivoluzione silenziosa e travolgente che non mirava alla contestazione aperta dello status quo ma un progetto destinato a scardinare vecchi paradigmi ed a favorire lo sviluppo di un nuovo modello, di un particolare ambiente tecnico-scientifico, una rivoluzione sostenuta da svariati apparati coinvolti nello sviluppo di tecnologie d’avanguardia con lo scopo di creare un polo tecnico-scientifico-industriale autosufficiente a favore del “progresso” della nazione americana (progresso militare) ed avvalorarne la potenza.

Scrive Sadin che “Nella regione di San Francisco alla fine degli anni Trenta sorge per l’appunto l’ambizione di trasformare «un paradigma sociale o scientifico o estetico esistente» e di proporre un modello capace di autosostentamento per formalizzarsi poi nella creazione di un ambiente infrastrutturale tutto nuovo”. La nascita in buona sostanza del modello del partenariato pubblico-privato e di contempo la riduzione dell’università e del sapere scientifico a stampella dell’industria militare ed economica.

Per Sadin “L’intenzione dichiarata era quella di concentrare scienziati, ingegneri, studiosi di alto livello e di ogni disciplina insieme a dirigenti militari e industriali, per far germinare dalle loro mescolanze fruttuose sinergie. […] questo specifico ambiente militare-industriale portò alla fabbricazione di potenti radar, aeroplani calcolatori e intratteneva rapporti col Manhattan Project, preposto alla realizzazione delle bomba atomica e diretto da Robert Oppenheimer a Los Alamos, ne New Mexico”.

L’Università di Stanford diventerà il centro, il punto nevralgico da cui si svilupperà l’impero della Silicon Valley grazie soprattutto all’intuizione di “Frederick Terman, direttore del dipartimento Electrical Engineering di Stanford e futuro vicerettore della stessa universalità, nel dopoguerra si sarebbe ispirato a quello stesso modello e avrebbe inserito la medesima logica interdisciplinare all’interno del suo campus. […] Frederick Terman fu uno dei “padri fondatori” della “prima Silicon Valley”. Allora ne vennero fissati i principi fondamentali, basati sul primato dell’alta tecnologia, l’eccellenza universitaria, le partnership fra industria elettronica e ambiente militare , e infine una mentalità tesa a valorizzare l’iniziativa imprenditoriale, nucleo primario di quella che sarebbe stata poi chiamata «cultura del rischio».”

Ed ecco qua tutti gli elementi che hanno reso la Silicon Valley il luogo che tutti noi conosciamo, dove proliferano le Start Up ed i Venture Capitalist promuovono ed investono in esse. Un luogo iper concorrenziale in cui milioni di giovani competono aspirando a diventare il nuovo Bill Gates, il nuovo Steve Jobs, Elon Musk o Mark Zuckeberg, quelli che Sadin chiama con l’appellativo di “criminali in felpa”.

Questi squali multimiliardari che hanno ridotto il mondo ad un luogo pieno di ingiustizie ed accumulato capitali sulla pelle dei popoli del mondo, creando con le loro multinazionali una società castale su scala globale, in cui da un lato ci sono loro i nuovi plutocrati ed i loro scagnozzi: ingegneri e scienziati strapagati per le loro conoscenze e vero motore di questa rivoluzione, e dall’altra ci siamo noi: il caporalato digitale a servizio della sharing economy e ancor dopo di noi ci sono gli schiavi che nel terzo mondo lavorano in condizioni disumane alla produzione delle nuove tecnologie, intossicati, sfruttati e sottopagati, al limite della soglia di sopravvivenza.

Ma la vera mossa geniale fu quella propagandistica del mito fondativo su cui si regge la narrazione del self-made man, dell’imprenditore venuto dal basso, quel mito della Silicon Valley a cui milioni di giovani ambiscono: il mito del garage. Quel mito che nacque sotto l’influsso di Frederick Terman, il quale, in nome di quella “cultura del rischio” tanto sbandierata “incoraggiava i suoi studenti a fondare le loro società in zona anziché unirsi a quelle situate a est. I primi a seguire il suo consiglio furono William H. Hewlett e David Packard, che nel 1938 crearono il loro primo prodotto un oscillatore audio, in un garage di palo Alto situato al 367 di Addison Avenue, sulla cui facciata oggi campeggia una targa con su l’iscrizione: «In questo garage è nata la prima regione mondiale ad alta tecnologia, la “Silicon Valley”»

Ed ecco qua la narrazione perfetta, la quale necessitava di un mito fondativo ed il garage designa appunto questo: il mito della fondazione. Come osserva Sadin “Il garage designa la scena primaria , quella dell’impulso iniziale, il luogo della “ribellione originale […] il garage è un emblema ha molto più a che fare con un’architettura leggendaria che con la realtà storica. Mito fondatore, testimonianza della capacità di creare, non ex nihilo ma a partire da un’intuizione forte, da un’idea giudicata promettente all’interno di una cornice flessibile, un prototipo a vocazione imprenditoriale già costituito. Il Dna originale della Silicon Valley consiste nel contestare una struttura esistente che si giudica obsoleta a partire da una visione industriale ancora informe ma che incarna l’avvenire”, quel mito che oggi ritroviamo nella follia della quarta rivoluzione industriale, della disruption digitale e della distruzione creatrice. Il capitalismo è proteiforme e vive di rivoluzioni e stravolgimenti, ma sempre a beneficio dei padroni, su questo non c’è alcun dubbio.




L’ ALGORITMO DEFINITIVO? di Francesco Centineo

Note sul saggio L’ ALGORITMO DEFINITIVO di Pedro Domingos

Ci sono diverse scuole del cosiddetto ” Machine Learning”, ed ognuna ha trovato il suo algoritmo, queste scuole o meglio “tribù” sono 5:

CONNESSIONISTI: Per i connessionisti l’apprendimento è ciò che fa il cervello. Il compito dei connettivisi è eseguire il “reverse engineering”. Il cervello apprendere regolando la forza delle connessioni tra i neuroni; il problema principale è capire quali sono le connessioni responsabili di determinati errori per poterle modificare di conseguenza. l’Algorimo Definitivo dei connessionisti è la “retropropagazione”.

EVOLUZIONISTI: Gli evoluzionisti credono che la madre di ogni forma di apprendimento sia la selezione naturale. Se è stata capace di creare noi può creare qualsiasi cosa, e quindi “non dobbiamo fare altro che simularla al computer(sic!). il problema fondamentale da risolvere, per gli evoluzionisti, è l’apprendimento della struttura: più che definire il valore esatto di un insieme di parametri, come nel caso della retropropagazione, ciò che interessa è la creazione del cervello, che potrà essere ottimizzato successivamente modificando quegli stessi parametri. L’Algoritmo Definitivo degli evoluzionisti è la “programmazione genetica”, che fa accoppiare ed evolvere i programmi del computer nello steso modo in cui la natura fa accoppiare ed evolvere gli organismi.

SIMBOLISTI: Per i simbolisti , l’intelligenza può essere ridotta integralmente alla manipolazione dei simboli del tuto simile a quella con cui i matematici risolvono le equazioni sostituendo espressioni ad altre espressioni. I simbolisti sono consci dell’impossibilità si imparare partendo da zero: bisogna affiancare ai dati un minimo di conoscenza iniziali. Hanno imparato a incorporare nel processo di apprendimento le conoscenze preesistenti e a combinare al volo porzioni di sapere distinte per poter risolvere problemi nuovi. Il loro Algoritmo Definitivo è la deduzione inversa, che dopo aver identificato la conoscenza che ancora manca per poter completare una deduzione, conferisce a quest’ultima il carattere più generale possibile

BYPESIANI: Ai bypesiani interessa soprattutto l’incertezza. Ogni forma di conoscenza acquisita è affetta da un’incertezza, e l’apprendimento stesso è una forma di inferenza associata a un’incertezza. Il problema, in questo caso è trovare un modo per gestire un’informazione incompleta […] la soluzione è l’inferenza probabilistica. l’Algoritmo Definitivo è costituito dal teorema di Bayes e dai suoi corollari. Il teorema di Bayes ci dice come integrare nuovi dati nel nostro sistema di credenze, e gli algoritmi di inferenza probabilistica lo fanno nel modo più efficiente possibile.

ANALOGISTI: Per gli analogisti, l’ingrediente fondamentale dell’apprendimento é il riconoscimento delle situazioni simili, per poterne inferire altre somiglianze. Per gli analogisti il problema principale è valutare il grado si somiglianza. L’Algoritmo Defenitivo degli analogisti è la macchina a vettori di supporto che decide quali esperienze ricordare e come combinarle per estrarne ulteriori previsioni

Di Machine Learning si tratta, perciò di apprendimento. Ciò che sfugge a Pedro Domingos – professore dell’Università di Washington ed universalmente riconosciuto come uno degli “scienziati di punta nello studio dell’intelligenza artificiale” – è che l’intelligenza non è qualità riducibile all’apprendimento delle informazioni ma è data anche dalla com-prensione dell’informazione che come osserva il professor Faggin nel suo ultimo saggio “Irriducibile” è dote esclusiva degli esseri viventi, in quanto “Esiste un divario incolmabile tra l’intelligenza artificiale e quella umana, che è caratterizzata dalla “comprensione” : una proprietà sottovalutata e inaccessibile ai computer.” Una proprietà che non può riguardare i computer in quanto i computer sono dotati di un “riconoscimento dei simboli che, quando si parla di IA, viene fatto passare per “comprensione”, in realtà è solo una funzione meccanica che facciamo anche noi in automatico”. Ed oltretutto si “tende a eliminare l’abisso che separa gli esseri umani dalle cosiddette macchine intelligenti.” Infatti non sono i simboli per noi l’unica qualità dell’informazione, anzi, quel che conta per noi secondo Faggin “non è quella simbolica, ma è quella semantica, e qui la coscienza è indispensabile”.

L’intelligenza, la mente, è il prodotto dell’interazione tra corpo e cervello ed è nutrita da un’esperienza multisensoriale ed oltreciò, noi umani siamo dotati di coscienza, qualità “irriducibile” ad un codice binario, con buona pace per questi scienziati pazzi. Per quanto Domingos possa sforzarsi di andare alla ricerca dello “Algoritmo Definitivo” dando vita e forma, se mai ci riuscirà, appunto ad un algoritmo che riesca a sintetizzare e far convivere al suo interno le 5 peculiarità dei diversi sistemi di machine learning ( retropropagazione, programmazione genetica, deduzione inversa, teorema di Bayes e la macchina a vettori di supporto ) mai e poi mai comunque potrà dotare un artefatto della scintilla divina, quella che ci rende parte dell’Essere, parte della realtà stessa e che ci rende in grado di intellegere il mondo, inter-agire con esso e che soprattutto dota gli esseri viventi oltrechè della coscienza, anche e soprattutto, del libero arbitrio, qualità “irriducibile” di cui mai e poi mai potrà essere dotato un artefatto, con buona pace del professore Domingos e di tutti i super esperti che lavorano al sogno, all’utopia dell’intelligenza artificiale.




TECNO-TIRANNIDE E SUBUMANESIMO di Francesco Centineo*

La narrazione dissidente della controinformazione punta il dito, sui progressi scientifici nella sfera dei saperi e delle biotecnologie di stampo transumanista, ed a ragione! È evidente che i fiumi di denaro spesi in tale campo influenzano ed indirizzano la ricerca scientifica e guidano ed esercitano una palpabile ingerenza filosofica, sociale, culturale ed antropologica sugli esseri umani e sulle loro esistenze.

Dal lato del potere, intanto, proliferano le narrazioni ammiccanti ai “progressi” medico-scientifici ottenuti; si millanta di Super Intelligenze Artificiali; vengono incensati come grandi luminari dei nostri tempi dei pazzi deliranti come Brian Johnson, Ray Kurtzweil ed Elon Musk, quest’ultimo con i suoi deliri di ibridazione uomo-macchina, tramite l’inserto dei chip neurali nelle scatole craniche degli esseri umani – tanto per fare un piccolo esempio della follia di questi multimiliardari.

Si parla di pozioni, di elisir della lunga vita: telomerasi, parabiosi, interventi sul genoma, si spera in strane riesumazioni di cadaveri ibernati e di presunte immortalità “mentali”; si blatera di crionica, e si pratica la crionica; si spera nella follia del mind uploading, si pratica il biohacking.

Gli ultra-miliardari abbracciano il culto millenaristico e tecnoutopista di questa specie di neo-gnosticismo tecno-delirante ed ultra-materialista, in cui si riduce, l’anima, lo spirito a mente a cervello, e si confonde l’immortalità, l’eternità (la liberazione spirituale dalle catene della corporeità che dovrebbe illuminarci e renderci consci che c’è qualcosa oltre la vita terrena) con il concetto bizzarro di perpetuità: l’esser perpetuo; il durare o l’esser destinato a durare in perpetuo.

Una scimmiottatura del concetto di eternità, ed una condizione di “dannazione” più che di “liberazione” – poveri stolti! Forse dovrebbero guardare Highlander più spesso ed attentamente, o forse, qualche film di Vampiri per riprendersi da questa pericolosa allucinazione di stampo luciferino e prometeico.

Fatto sta che mentre questi imbecilli altamente selezionati conducono folli esperimenti e vivono in questo delirio escatologico di lotta alla Natura, di sovversione a qualsiasi limite contro se stessi, l’armonia e l’intelletto, a loro totale discapito, ingurgitando pasticche e sottoponendosi a strani esami e diete futuristiche a base di assurde sostanze commestibili; la razza umana, le masse, intanto affogano nel processo inverso: quello di un depotenziamento; ed è, a tutti gli effetti: un depotenziamento palpabile e tangibile.

Intanto, le persone comuni, per la stragrande maggioranza, si beano e si meravigliano dei super-progressi biotecnologici e tecnoscientifici; di converso, taluni (me compreso), una piccola minoranza, si spaventa e si preoccupa di tali derive postumane, scientiste e fanatiche.

Spesso, però, siamo talmente presi da tutte queste follie dei magnati della Silicon Valley e dai loro folli esperimenti da non considerare , invece, lo stato attuale di una società, che nel frattempo, ha totalmente abdicato all’uso della ragione, della propria coscienza, del libero arbitrio e dell’intelletto, delegando e deputando a tutto ciò quel maledetto aggeggio che è lo smartphone: cervello esterno che indirizza e guida gli Smombie delle city postmoderne, come marionette, come dei pupi siciliani: poveri uomini ridotti a burattini di carne umana.

Girano testa china sullo schermo, immersi nella loro “bolla virtuale”, smarriti e sottoposti, subordinati, teleguidati da sensori, impulsi, consigli per gli acquisti, analisi biometriche, contatori di passi, consigli per la salute e quant’altro.

Le strade che percorrono sono le mappe di Google. I contatti sociali? Un antico ricordo, adesso si chatta, si scambia posta elettronica, si whatsappa, tuttalpiù, fosse mai che scrivere risulti impegnativo, si può sempre premere sullo schermo tattile e registrare un bel vocale. Facile e diretto, ottimo esempio per una vita all’insegna del multitasking.

La società, le masse, non beneficeranno di nessun presunto progresso tecno-scientifico, al contrario, subiscono e sempre più subiranno, una pesante esautorazione, subiranno una pesante involuzione, un reale e preoccupante inviluppo dell’essere nella propria totalità.

Stiamo smarrendo e continueremo a smarrire abilità cognitive; stiamo impigrendo le nostre menti ed i nostri corpi; stiamo, altresì, smarrendo il senso della realtà e veniamo gettati in questa sfera-mondo ibrida in cui reale e virtuale si confondono; in cui l’essere perde il controllo della propria esistenza ed è oggetto-di e soggetto-a manipolazione, spremuto dai signori del neocapitalismo dei comportamenti, delle emozioni e delle esperienze, e vittima di esperimenti giorno e notte da parte delle grandi aziende big tech.

Siamo già ben sottomessi e soggetti alla dittatura dell’algoritmo e della “fisica sociale”, sottoposti a manipolazione emotiva, psicologia e comportamentale, oltreché ad una capillare sorveglianza che presto si trasformerà in un feroce autoritarismo basato sulla de-materializzazione e la digitalizzazione delle nostre identità e dei nostri conti in banca e saremo, così facendo, facilmente soggetti a punizioni e vessazioni sul modello del credito sociale cinese.

Sono molti e grandi i problemi che ci riguardano da vicino, anzi, da vicinissimo, e spesso li sottovalutiamo o non li consideriamo proprio. Tanto per iniziare: lo smartphone andrebbe levato dalle nostre tasche perché è lo strumento principale con cui ci sottoponiamo h24 a manipolazione e sorveglianza e poi dovremmo cominciare a ripensare totalmente al concetto di tecnologia e di progresso, per come ormai siamo abituati ad intenderli.

* Fronte del Dissenso Piemonte




FISICA SOCIALE E SCHIAVITÙ DIGITALE di Francesco Centineo*

Alex Pentland docente del MIT Media Lab, consulente del Forum di Davos ci insegna che grazie alla “fisica sociale [1] , studiando le nostre relazioni sociali, e sfruttando tale conoscenza per fornire incentivi individuali ad hoc , siamo in grado di affrontare problemi sociali da tempo trascurati”.

Per Pentland fanatico paladino dei big data [1] nonché fervente sostenitore degli sudi sul comportamentismo di Burrhus Skinner «la nostra società è governata da un’intelligenza collettiva derivata dai flussi circostanti di esempi e di idee, e non dalla razionalità individuale. […] è ora di sbarazzarsi della falsa idea che gli individui siano l’unità della razionalità, riconoscendo che questa invece determinata soprattutto dal tessuto sociale».

Shohanna Zuboff autrice de il Capitalismo della Sorveglianza ci informa che secondo Pentland — padre della società strumentalizzata (già il nome dice tutto) — “l’individualità è una minaccia, un ostacolo problematico che toglie energia alla “collaborazione”, “armonia” e “integrazione”.

Ed è per questo che Pentland nel suo saggio “Fisica Sociale” [2] afferma che “Per far cooperare tutti la fisica sociale usa incentivi di rete sociale” la versione moderna dei rinforzi enunciati da Skinner nella psicologia comportamentarista. Con tali incentivi spiega Pentland “ci concentriamo sul cambiamento delle connessioni tra le persone, e non su come portare i singoli cambiare comportamenti”.

Pentland e compari mirano, infatti, ad un indirizzamento collettivo delle masse. Puntano a trasformarci in uno sciame di api mossi da una mente alveare e Pentland ci rende edotti che “Possiamo far leva su questi interscambi per generare una pressione sociale che porti cambiamenti. Per farlo sono cruciali i social media, l’ambiente nel quale la pressione sociale può essere controllata, diretta, manipolata e alimentata.”

La Zuboff nel suo saggio denunciava che per “Pentland, in Facebook queste dinamiche sono già evidenti. I suoi esperimenti di contagio rivelano una padronanza attiva della capacità di manipolare l’empatia umana e l’attaccamento emotivo con tecniche di tuning come l’innesco e il consiglio.”

Queste possono sembrare assurdità ma non lo sono e vengono ormai costantemente denunciate da parecchi sociologi e studiosi delle tecnologie, per la portata che determinano sulla nostra società. Per Pentland l’individuo non esiste, anzi, è antitetico alla sua visione della società a tal punto da arrivare a dichiarare la “obsolescenze dell’individuo”.

A supporto delle sue teorie Pentland ritiene illuminanti e probatori gli esperimenti di “contagio” effettuati da Facebook. Alcuni accademici nel 2010 — durante il periodo delle elezioni del Congresso — hanno svolto uno studio su 61 milioni di utenti Facebook, divisi in due gruppi.

Morozov a proposito di tale esperimento in Silicon Valley: I Signori Del Silicio, riporta che «Entrambi i gruppi sono stati esposti a messaggi che esortavano ad andare a votare; mentre i membri del primo gruppo hanno ricevuto messaggi generici, ai membri del secondo ne sono stati inviati di personalizzati in cui comparivano i volti degli amici che avevano votato” e da ciò “Si è scoperto che le leggi della fisica sociale reggono: i membri del secondo gruppo sono andati a votare più di quelli del primo».

Ma non è tutto, Morozov infatti ci informa che “Per gli amici più stretti — al contrario dei semplici conoscenti online — il risultato è stato sbalorditivo: dopo l’esposizione al messaggio personalizzato hanno votato quattro volte in più”. Questo dovrebbe rendere cristallina anche ai più scettici la pervasività di controllo, manipolazione ed influenza che questi signori possono esercitare sulle nostre esistenze.

Non fosse abbastanza per comprendere la portata di tale fenomeno, la spiegazione di tale manipolazione ce la da sempre Evgeny ne I Signori Del Silicio. Morozov spiega che «i sistemi basati sulla fisica sociale funzionano perché ci conoscono: non solo i nostri spostamenti giornalieri, non solo le dinamiche comunicative, ma anche i nostri amici e la natura delle nostre relazioni, la fisica sociale ha implicazioni incredibili».

Siamo sottoposti ad una sorveglianza di massa pervadente e capillare; ed ha ragione Morozov quando afferma che «La grana fine e la tracciabilità delle nostre relazioni sociali mediate dal digitale ne rendono possibile la trasformazione nell’ennesimo strumento di ciò che Michael Foucault ha chiamato “governamentalità”».

Ed è chiaro che se non vogliamo sottometterci a questa governamentalità che rappresenta plasticamente e fattualmente la “morte” del “libero arbitrio”, dobbiamo staccare la spina da internet, levarci dalle tasche lo smartphone e rifiutare la sorveglianza di massa e la società del progresso tecnologico fine a se stesso, anzi, un progresso dell’industria totalmente antitetico al pieno sviluppo dell’essere umano.

*Fronte del Dissenso Piemonte

NOTE

[1] TUTTI SOTTO CONTROLLO, di Edoardo Camurri

[2] Fisica sociale. Come si propagano le buone idee. Bocconi Editore




TRA IPER-INDIVIDUALISMO E CYBER-CONTROLLO di Francesco Centineo

C’è uno strumento simbolo, emblema, rappresentazione plastica del cyber-controllo. Questo strumento così innocente, attraente, divertente, comodo e pratico, diffuso tra tutti, grandi e piccini, è ovunque: nelle tasche di tutti sempre e comunque, da quando ci svegliamo a quando andiamo a dormire, lo smartphone è con noi, e ce lo trasciniamo fin sotto alle coperte molto spesso.

Lo smartphone scandisce i tempi della nostra giornata: ci distrae, ci interrompe, ci consiglia, ci indirizza e ci raddrizza, ci avvisa e ci avverte, monitora i nostri stati d’animo, percettivi ed emotivi, scandaglia i nostri desideri, i nostri sogni, le nostre abitudini, estrapola dati sempre e pervasivamente in mille modi, con una combinazione potenziata ed intrusiva dei vari metodi del controllo (biometrico, estrattivo, visivo, psicologico, emotivo etc. etc.) di cui la sorveglianza digitale può avvalersi nutrendo il Machine Learning degli algoritmi e targetizza le migliori opportunità per noi.

Questo piccolo e rivoluzionario aggeggio: lo smartphone, l’adorata “lampada di Aladino” le cui doti magiche, le infinite potenzialità rendono l’essere umano psicologicamente suddito di esso. Lo smartphone questo artefatto pregno dell’etica protestane iper-individualista dell’homo homini lupus della scuola anglosassone, della cultura del self-made man è permeato strutturalmente di quest’etica appunto.

Le tecnologie – deve essere chiaro – sottendono un’etica insita nella progettazione che nè determina la funzione sociale comportando di conseguenza,  implicazioni antropologiche e psicologiche che impattano sulla società tutta, sull’essere umano. Lo smartphone fa questo come tutte le tecnologie, di fatto, solo che lo fa in maniera molto particolare, in maniera capillare, invadente e pervadente. Analizziamo allora l’etica individualista che traspare da questa tecnologia e che plasma l’essere umano portandolo ad assumere tale Weltanschauung nella propria vita attraverso gli scritti del filosofo Eric Sadin.

Secondo il Sadin i neoliberisti della tecnocrazia della Valle del Silicio sono stati abili a conquistarci con il soft power, così mentre le crisi finanziare ci massacravano in soccorso, prima sono arrivati i social, i like, i commenti, i follower, poi arrivava il mitico e magico smartphone e così “tutti finalmente potevano provare l’esperienza di salire su un Concorde,” tutti potevano accelerare e raggiungere qualsiasi punto del globo dallo schermo, una sensazione di dominio sulla realtà così forte da farci sentire onnipotenti, anche perché finalmente eravamo liberi di informarci e di partecipare alla “democrazia” commentando comodamente da un divano.

Questo innocuo (all’apparenza) giocatollino, rende l’essere pseudo-indipendente, genera quella che Sadin definisce la condizione della “Autarchia Del Sè”, ovvero: la propensione ad isolarci, a disimparare a stare in comunità, sostituendo la necessità dell’interazione con il nostro prossimo con le applicazioni del suddetto e maledetto smartphone.

Cosicché per raggiungere un luogo non dobbiamo e non necessitiamo chiedere indicazioni ci basta il navigatore, non serve neanche più fermare un estraneo per farsi scattare una foto, c’è il selfie. E con l’avvento degli SME (Social Media Entartainmenet) tutti possiamo diventare star, influencer, tutti possiamo avere successo, tutti possiamo “scalare la piramide sociale”.

Per il filosofo Eric Sadin è “come se le logiche economiche in azione dalla svolta neoliberista avessero non solo insidiosamente impregnato gli animi, ma avessero anche fornito gli strumenti appropriati per consolidare la favola dell’individuo autocostruito, indifferente a qualsiasi universo condiviso”. Ed osserva come negli anni addietro alle soglie del nuovo millennio “le folle […] si sarebbero lasciate inebriare da dispositivi che promettevano loro un maggiore potere d’azione accentuando una galvanizzante sensazione di centralità del sé.”

Come facilmente si nota lo smartphone è il Re di questi dispositivi. Regna sovrano ed il suo schermo, o meglio, la sua “interfaccia tattile. Lo schermo di vetro […] reagiva immediatamente ai nostri comandi. Era possibile caricare un link con una leggera pressione dell’indice, scorrere con un semplice gesto […] si poteva zoomare all’interno di un’immagine [..] esaminando ogni punto di vista, come nessun metodo di rappresentazione aveva mai permesso di fare fino ad allora. Le operazioni avvenivano attraverso una carezza [..] instaurando una modalità relazionale con l’oggetto [..] fatta al contempo di un’immediata reattività e di un’intimità carnale. Lo smartphone dava la sensazione all’utente di un perfetto dominio.”

Un dominio che abbiamo pagato a caro prezzo. Quello che abbiamo ottenuto, infatti, oltre a tutte le implicazioni sopraccennate – che meriterebbero altre pagine di approfondimento – e che generano quello che Sadin definisce il fenomeno dello “Io Tiranno”.  Lo smartphone è un oggetto deputato a renderci “dominati” e “sorvegliati” e non “dominatori” come ci eravamo illusi di essere, oltretutto è una tecnologia che aliena e corrode i rapporti sociali contribuendo all’atomizzazione totale dell’individuo e porta allo smarrirsi delle competenze sociali che consentono di con-vivere in comunità. La sorveglianza e l’estrapolazione di dati, poi, gettano l’essere umano all’interno del dominio digitale, preda dei tentacoli delle multinazionali che ci manipolano a botte di “capitalismo della sorveglianza” analizzando le nostre esistenze e ci sottopone alle follie governative come i tracciamenti, le App Immuni ed i Green Pass.

L’abuso compulsivo-ossessivo di questa tecnologia é il problema. Lo smartphone è si strutturato ed architettato ad una certa maniera, come del resto intelligentemente osservava Cresti nella chiaccherata che abbiamo fatto qualche giorno addietro asserendo che “si è intesa la tecnologia – soprattutto negli ultimi 20 anni – per “titillare” e “stuzzicare” delle debolezze intrinseche, connaturate nell’essere umano. Si è voluta spegnere la volontà di cimento, d’impegno, di forza di volontà.” E tutti noi ci siamo cascati delegando le nostre esistenze a tali tecnologie subordinandoci ad esse diventando burattini di carne umana dotati di un cervello esterno (lo smartphone) che ragiona – per così dire – al posto nostro.

Non dobbiamo, però,  gettare il bambino con l’acqua sporca. Avere un computer tascabile non è un male, dobbiamo solo riconsiderare il nostro rapporto con tale tecnologia e prendere delle accortezze e delle precauzioni, forti della conoscenza che ormai abbiamo di come tale tecnologia è strutturata. Un consiglio? Cercate di ritagliarvi degli spazi off-line, cercate di vivere dei momenti della giornata “fuori da internet”.

Non siamo obbligati a vivere iper-connessi, ultra-sorvegliati e digitalizzati, non dobbiamo essere ovunque sempre in contatto con l’emisfero virtuale, non siamo obbligati a cercare, postare, condividere, informarci dallo schermo di uno smartphone, possiamo compiere molte scelte per limare, modificare o rigettare quel che nel nostro rapporto con la tecnologia è nocivo e rimodulare l’uso che ne facciamo; in maniera che siano strumenti al servizio dell’uomo e non finisca al contrario che sia l’uomo asservito ad essi.




IL BELLO LA MUSICA E IL POTERE di Francesco Centineo

“Le persone sono talmente vampirizzate da pensare ciò che si vuole sia pensato. Chiunque può avere la possibilità di fare della propria arte oggetto di consumo: basta iscriversi a uno dei social network e il gioco è fatto. L’arte diventa paritaria a qualsiasi manifestazione della vita privata delle persone. E dunque, letteralmente, pornografia.”

Ha ragione Antonello come dargli torto ormai tutto è merce, tutto deve essere venduto e tutto deve essere di massa e per fare questo ovviamente il senso del bello non può che svanire, infatti un’opera d’arte deve essere unica come osserva all’inizio di questo saggio-dialogo Cresti che risponde a Giordi ”Io partirei da un fatto incontrovertibile: l’opera d’arte dovrebbe essere unica […] Ecco perché mi sento di dire che è proprio l’unicità il criterio fondamentale per distinguere un’opera d’arte dal semplice oggetto di merce.”

E prosegue “Con la mercificazione dell’arte  l’oggetto viene svuotato della propria sacralità e l’azione demiurgica che plasma la materia viene sottratta all’uomo e affidata all’industria.” Ed è proprio l’espropriazione da parte dell’industria il problema: una volta le persone vivevano del proprio lavoro, lo stesso lavoro dava dei frutti concreti, non banconote, una volta anche i poveri, anche il popolo, in un certo senso, viveva della propria arte.

Come intelligentemente osserva Cresti “Quello che dico sempre è che anche nell’oggetto artigianale c’è una potenza simbolica. Pensiamo, ad esempio, agli oggetti del mondo dell’agricoltura. Essi sono affinati da secoli di esperienza […]sapienza tramandata da intere generazioni a rendere bello un oggetto. Forse un oggetto artigianale non è arte nella sua massima espressione, ma di certo non possiamo escludere che in esso manchi armonia e bellezza.

Ed è forse proprio ciò che manca ai giovani: che qualcuno gli tramandi il senso della bellezza, ma purtroppo il capitalismo “assoluto” ha lavorato alacremente per distruggere ogni senso di bellezza e adesso “Ai giovani non importa che una cosa sia bella; a loro importa che quella cosa li faccia simbolicamente appartenere ad una cerchia di consumatori eletti dal dio del nuovo capitalismo.”

E questo accade perché come ben sottolinea Giordi “Quale bellezza potrebbe mai donarci, invece, il potere del capitale? È dissacrante e sterile. Nessun sovrano, nessun Dio da celebrare, né gesta eroiche. Oggi soltanto il capitale può essere oggetto di venerazione, un capitale amorfo, inodore, e, oserei dire, inumano. È per questo che le nuove generazioni sembrano aver perduto la memoria del bello.”

E prosegue “La società di massa si è avviata sulla strada di una disumanizzazione funzionale al capitale” e  Antonello rincara la dose gettando uno sguardo su un altro metronomo dei tempi che corrono “L’architettura del nostro tempo contribuisce all’abbrutimento dei cittadini, soprattutto dei ceti meno agiati. Sembra davvero che oggi bruttezza e povertà siano sovrapponibili.”

Ma il problema è più profondo non si è smarrito  solo il bello, infatti come ben detto da Giordi “Non è certo il brutto che mi spaventa, quanto l’inutilità della produzione seriale. Il vuoto del nostro Occidente non è quello caro ai poeti e ai pittori romantici ottocenteschi, né quel- lo degli esistenzialisti del secolo scorso. Il vuoto contemporaneo è agghiacciante. Il vuoto contemporaneo è stupido.”

Viviamo in un epoca idiota, un’epoca di imbecilli tecnologici, omologati, vamipirizzati, rincitrulliti, privi di identità. Antonello e Giordi in questo piacevole dialogo si interrogano su Il Bello La Musica E Il Potere.

Si interrogano anche sul ruolo della tecnologia e giustamente Cresti precisa che “Il problema di fondo è esaminare il reale rapporto tra tecnica e creatività.

Se si ricorre alla tecnologia salvaguardando il processo di creatività umana allora credo che la cosa sia di per sé positiva. Il suo utilizzo diventa, invece, disastroso quando l’uomo delega interamente il processo creativo alla macchina, distruggendo così l’arte stessa”.

Poi si sofferma su un punto che condivido pienamente “Da tempo sentiamo parlare dell’intelligenza artificiale che sarebbe capace, in pochi secondi, di comporre una sinfonia o di riprodurre un dipinto complesso. Que- sto è il punto di arrivo più devastante: qui il nemico non è tanto la tecnologia in sé quanto l’ideologia transumanista che tende a sacralizzare la tecnica. Rischia- mo di ripeterci, ma è bene ribadirlo più volte: non si può affatto sostituire l’uomo con la macchina.

Mettiamocelo e se lo mettessero in testa: non siamo sostituibili con dei robot, noi siamo “irriducibili” e meravigliosamente umani.

Il Bello, La Musica E Il Potere il nuovo piacevole, brillante e interessante saggio di Antonello Cresti in collaborazione con Roberto Michelangelo Giordi.