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CAPITALISMO: IL BARICENTRO SI SPOSTA IN ASIA

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LO SVILUPPO INEGUALE E…
SCOMBINATO

 Il Pil dei  principali paesi nel 2007…  e quello che si prevede avranno 
nel 2050. Notare la débâcle italiana. (Cliccare sopra per ingrandire)





di Martin Wolf*


Articolo davvero utile del noto columnist del Financial Times. La previsione è che nel 2030 l’economia cinese avrà una dimensione tripla rispetto a quella americana, maggiore di quella USA ed europea messe assieme. Seguace della grande narrazione post-moderna sulla “fine della storia” e delle “magnifiche sorti e progressive”… del capitalismo, Wolf da per scontato che questo ribaltamento colossale (“salutato positivamente” dall’oligarchia finanziaria globale), non provocherà alcun cataclisma geopolitico, nessun redde rationem bellico. Noi siamo di diverso avviso: l’imperialismo, come si è visto recentemente e come si vede, non perde né pelo, né vizio. Non si lascerà detronizzare… dalle tanto decantate “leggi di mercato”





«Redditi convergenti e crescita divergente: ecco la storia economica dei nostri tempi. Stiamo assistendo all’inversione del fenomeno verificatosi durante il XIX secolo e all’inizio del XX. Allora, le popolazioni dell’Europa Occidentale e le loro ex colonie di maggior successo acquisirono un enorme vantaggio economico sul resto dell’umanità. Oggi questo vantaggio si sta capovolgendo più velocemente di quanto si fosse creato. È un fenomeno inevitabile e desiderabile. Ma nello stesso tempo crea grandi sfide globali.

In un’autorevole opera Kenneth Pomeranz [1], dell’Università della California di Irvine, parla della «grande divergenza» tra la Cina e l’Occidente. L’autore colloca l’instaurarsi di questo divario tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. La questione è controversa: il compianto Angus Maddison, decano della ricerca statistica, sosteneva che nel 1820 la produzione pro capite del Regno Unito era già il triplo, e quella statunitense il doppio, rispetto a quella cinese [2]. In ogni caso la successiva e molto maggiore divergenza è incontestabile. A metà del XX secolo, i redditi reali pro capite (misurati a parità di potere d’acquisto) in Cina e India erano scesi rispettivamente al 5% e al 7% di quello degli Stati Uniti. Inoltre, fino al 1980 era cambiato poco [3].

Quelli che una volta erano stati i centri della tecnologia mondiale erano rimasti molto indietro. Ora la divergenza si sta capovolgendo. E questo è di gran lunga il fenomeno più importante del nostro mondo. In base ai dati di Maddison, tra il 1980 e il 2008 il rapporto tra il prodotto pro capite cinese e quella degli Stati Uniti è salito dal 6% al 22%, mentre prendendo in esame il prodotto pro capite indiano il rialzo è stato dal 5% al 10%. Secondo i dati del Total economy database pubblicato dal Conference Board, calcolati su basi leggermente diverse, tra la fine degli anni 70 e il 2009 il rapporto è cresciuto dal 3% al 19% per la Cina e dal 3% al 7% per l’India. Le percentuali sono incerte, ma la direzione del cambiamento non lo è affatto.

Una rapida convergenza verso la produttività delle economie occidentali avanzate si era già verificata nel periodo seguente la seconda guerra mondiale. Il Giappone aveva fatto da apripista, seguito dalla Corea del Sud e dalle altre piccole tigri asiatiche: Hong Kong, Singapore e Taiwan.

L’andamento del Pil mondiale (loro la chiamano crescita “crescita”)
negli ultimi 40 anni e il raffronto tra paesi imperialistici ed “emergenti”

Nel Giappone il processo di industrializzazione era già iniziato nel XIX secolo, con notevole successo. Dopo la sua sconfitta nella seconda guerra mondiale, il Giappone è ripartito da circa un quinto del prodotto pro capite Usa, più o meno il livello a cui oggi si trova la Cina, per raggiungere il 70% all’inizio degli anni 70. Ha toccato un picco di quasi il 90% del livello americano nel 1990, quando è scoppiata la sua “economia delle bolle”, prima di declinare nuovamente. La Corea del Sud è partita dal 10% del livello statunitense a metà degli anni 60 per raggiungere quasi il 50% nel 1997, giusto prima della crisi asiatica, e il 64% nel 2009.

Quello che rende senza precedenti la situazione attuale non è la convergenza in sé ma la sua scala. Supponiamo che la Cina segua quello che è stato il percorso del Giappone durante gli anni 50 e 60. Davanti a sé avrebbe ancora vent’anni di crescita vertiginosa, che la porterebbe a toccare circa il 70% del prodotto pro capite Usa nel 2030. A quel punto, la sua economia raggiungerebbe una grandezza poco meno che tripla rispetto a quella degli Stati Uniti, a parità di potere d’acquisto, e maggiore di quella di Usa ed Europa occidentale insieme. L’India è più indietro. Ai recenti tassi di crescita, l’economia indiana si collocherebbe circa all’80% di quella statunitense nel 2030, ma con un prodotto interno lordo pro capite ancora meno di un quinto di quello americano.

Oggi la Cina si trova nella stessa posizione che occupava il Giappone nel 1950, rispetto ai livelli degli Stati Uniti dell’epoca. Ma il suo prodotto pro capite è molto più alto in termini assoluti, dato che lo stesso livello statunitense si è triplicato. Oggi il Pil reale cinese si situa approssimativamente al livello di quello giapponese della metà degli anni 60 e di quello sudcoreano della metà degli anni 80. La posizione dell’India è quella in cui si trovavano il Giappone all’inizio degli anni 50 e la Corea del Sud all’inizio degli anni 70.

In breve, la divergenza degli attuali tassi di crescita tra le economie emergenti di successo e le economie ad alto reddito riflette la velocità della convergenza dei loro redditi. La divergenza della crescita è impressionante. In un importante discorso tenuto a novembre, Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve, ha osservato che nel secondo trimestre del 2010 il prodotto aggregato reale delle economie emergenti è stato più alto del 41% rispetto a quello di inizio 2005. È cresciuto del 70% in Cina e di circa il 55% in India, mentre nelle economie avanzate è aumentato solo del 5%. Per i paesi emergenti la “grande recessione” è stata una bazzecola. Per i paesi ricchi, una calamità.

La grande convergenza è un fenomeno che cambierà il mondo. Oggi in Occidente, che nella nostra definizione comprende l’Europa occidentale e le sue “propaggini coloniali” (Usa, Canada, Australia e Nuova Zelanda), vive l’11% della popolazione mondiale. Ma in Cina e in India ne vive il 37%. L’attuale posizione del primo gruppo di paesi non è destinata a durare. È un prodotto della grande divergenza. Finirà con la grande convergenza.

Questo scenario presuppone che il fenomeno della convergenza continui,anche se non necessariamente alla velocità recente. La migliore risposta agli scettici è: perché no? Potenti forze tecnologiche e di mercato stanno diffondendo il capitale della conoscenza a livello mondiale. Non vi è alcun dubbio che i cittadini cinesi e indiani sapranno metterlo a frutto. Sono altrettanto intraprendenti e motivati di quelli occidentali. Anzi, essendo più poveri, sicuramente lo sono molto di più.

Fino a poco tempo fa gli ostacoli di natura politica, sociale e strategica erano decisivi. Per diversi decenni non è stato così. Perché dovrebbero diventarlo di nuovo? Certo, saranno necessarie molte riforme affinché la crescita continui, ma probabilmente la crescita stessa porterà a cambiamenti sociali e politici nelle direzioni richieste. Certo, né la Cina né l’India riusciranno a superare il prodotto pro capite statunitense: non c’è riuscito neanche il Giappone. Ma oggi sono molto lontane. Perché non dovrebbero riuscire a raggiungere, mettiamo, la metà della produttività degli Usa? È il livello del Portogallo. La Cina può raggiungere il Portogallo? Senza dubbio.

Naturalmente può sempre verificarsi una catastrofe. Ma colpisce il fatto che persino le guerre mondiali e le depressioni economiche siano riuscite solo a interrompere la crescita dei primi paesi industriali. Se escludiamo una guerra nucleare, sembra improbabile che qualcosa possa fermare l’ascesa dei grandi paesi emergenti, anche se potrebbe benissimo ritardarla. La Cina e l’India sono abbastanza grandi per ricavare la crescita dai mercati interni, se dovesse instaurarsi il protezionismo. Anzi sono abbastanza grandi per stimolare la crescita anche in altri paesi emergenti.

Negli ultimi secoli, l’Europa prima e l’America poi, da terre periferiche si sono trasformate nel centro dell’economia mondiale. Oggi, le economie che erano diventate a loro volta periferia, stanno riprendendo un ruolo centrale. E ciò cambierà il mondo intero».


 

* Fonte: Il Sole 24 ore del 5 gennaio 2011. Originale: THE FINANCIAL TIMES 
(Traduzione di Elisa Comito)

Note:

[1] Kenneth Pomeranz:
La grande divergenza. La Cina, l’Europa e la nascita dell’economia mondiale moderna (Collezione di testi e di studi), Il Mulino, 2004 
[2] Secondo altre fonti invece, sempre nel 1820, Cina e India facevano tra il 20 e il 25$ del Pil mondiale
[3] Il parametro del “reddito procapite”, per giudicare l’effettiva salute e potenza di un paese. lascia tutto il tempo che trova. Tanto più che l’autore nemmeno prova a chiedersi quali saranno le conseguenze sociali in Occidente dopo tre decenni di declino.

4 pensieri su “CAPITALISMO: IL BARICENTRO SI SPOSTA IN ASIA”

  1. Anonimo dice:

    Ipotesi fantasiose. Viviamo un'epoca in cui, per imbecillità economica, si sbagliano le previsioni mensili figuriamoci quelle a 43 anni.

  2. Rivoluzione Democratica dice:

    L'economia non è una "scienza esatta", nel senso che non gli è dato, meccanicisticamente, prevedere con esattezza gli eventi futuri. Per questo si ricorre alla statistica, le cui proiezioni vanno prese "cum grano salis". Ma vanno prese in considerazione. La previsione che la Cina diventi nel giro di vent'anni la prima potenza economica è condivisa dalla più parte degli analisti, anche appartenenti a diverse scuole, le quali utilizzano per altro differenti criteri e parametri. Esse hanno, questo sì, un difetto (meccanicistico) capitale: che dilatano nel tempo e nello spazio i fattori di crescita presenti. Si escludono cioè non solo eventuali rotture, ma pure perturbazioni. E' questa, in ultima istanza, la metodologia delle scienze empiriche: presupposte determinate condizioni, ed esclusi fenomeni imprevedibili, a tendenza costante, il risultato sarà…Le analisi escludono quindi: (a) che si inceppi per cause economiche il ciclo espansivo del capitalismo cinese e (b) un conflitto militare Cina-USA. Due fenomeni che invece noi riteniamo altamente probabili. Ciò non toglie che le tendenze di fondo vanno prese in considerazione, perché hanno cause obiettive. Ti segnaliamo, su questo medesimo tema due pezzi nostri: «Prosegue il declino dei paesi ricchi» [http://sollevazione.blogspot.com/2010/10/prosegue-il-declino-relativo-dei-paesi.html e] di Ennio Bilancini e, sempre del Bilancini: «Il tramonto della supremazia occidentale» [http://sollevazione.blogspot.com/2010/11/il-tramonto-della-supremazia.html]

  3. Rivoluzione Democratica dice:

    continua dal post precedente:Le analisi escludono quindi: (a) che si inceppi per cause economiche il ciclo espansivo del capitalismo cinese e (b) un conflitto militare Cina-USA. Due fenomeni che invece noi riteniamo altamente probabili. Ciò non toglie che le tendenze di fondo vanno prese in considerazione, perché hanno cause obiettive. Ti segnaliamo, su questo medesimo tema due pezzi nostri: «Prosegue il declino dei paesi ricchi» [http://sollevazione.blogspot.com/2010/10/prosegue-il-declino-relativo-dei-paesi.html e] di Ennio Bilancini e, sempre del Bilancini: «Il tramonto della supremazia occidentale» [http://sollevazione.blogspot.com/2010/11/il-tramonto-della-supremazia.html]

  4. Rivoluzione Democratica dice:

    Suggeriamo sul tema QUEST'ALTRO ARTICOLO del Bilancini«La Cina avanza e l'Occidente perde terreno»[http://sollevazione.blogspot.com/2010/10/la-crisi-del-29-e-quella-attuale.html]

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