I MOTI IN TUNISIA E ALGERIA: INCHIESTA
«PER IL PANE E LA LIBERTÀ» |
Ha dello scandaloso il sostanziale blackout informativo a cui si sono attenuti e si vanno attenendo i principali media italiani e occidentali sui moti popolari che hanno scosso la Tunisia e l’Algeria. Basta che qualcuno starnuti a Tehran o a Caracas, a Rangoon o a Minsk ed ecco che i nostri mezzi d’informazione non risparmiano fiumi d’inchiostro, copertine dei Tg, ore di servizi speciali. Per non parlare della assordanti campagne umanitarie, vedi quella per Sakineh o per Asia Bibi in Pakistan. Neanche una lacrima, i nostri mezzi d’informazione, hanno invece versato per i tre cittadini tunisini suicidatisi in segno di protesta.
Poche scarne righe sulla cruenta repressione avvenuta sia in Tunisia che in Algeria.
I funerali di Bouazizi |
Una fiammata o l’inizio di un ciclo?
Ci auguriamo l’inizio di un ciclo, e se è così destinato ad estendersi. Il vento della sommossa nato in Tunisia si è infatti subito esteso, prima in Algeria, poi in Giordania. Il Re Abdallah II è dovuto intervenire di persona, proprio ieri, 10 gennaio, imponendo un immediato blocco dell’aumento dei prezzi del pane e dello zucchero, obbligando altresì l’Esercito, che con le sue ottanta cooperative alimentari gestisce buona parte della distribuzione, a fare altrettanto. I pochi sindacati tollerati nel regno hanno indetto per venerdì prossimo, 14 gennaio una protesta a scala nazionale. Se non è uno sciopero generale poco ci manca. [Le Monde, 11 gennaio 2011].
Manifestazione a Kasserine |
Sidi Bouzid: portando un ferito in ospedale |
Gli sponsor: con Bush |
Gli sponsor. Tunisi: 28 aprile 2009. Ben Alì con Sarkozy e consorte |
Nessuna opposizione, se non quella benvoluta dal regime è tollerata. Nelle “libere elezioni” sono ammessi come candidati “indipendenti” solo quelli scelti dallo stesso clan dominante.
Questo regime dispotico si era fatto le ossa, col pieno sostegno delle “democrazie” occidentali, proprio soffocando e sterminando le opposizioni islamica e comunista. Sul finire degli anni ’80 e per tutti i novanta, 30mila persone vennero incarcerate, migliaia fuggirono all’estero, decine furono i “desaparecidos”, centinaia i casi di tortura. L’ordine dei giornalisti epurato da quelli democratici, di sinistra o tacciati di avere simpatie islamiste. Col terrore Ben Alì evitò allora il contagio della guerriglia e del terrorismo islamisti allora imperanti in Algeria.
Gli sponsor: con l’amico Berlusconi |
Da allora le opposizioni sono di fatto illegali e resistono in condizioni difficilissime. I partiti e i movimenti di ispirazione marxista e islamista (esclusi i salafiti, tra l’altro i più colpiti dalla mannaia repressiva) hanno tentato a più riprese di fare fronte comune, nonché di presentare proprie liste ai vari gradi elettorali. Senza successo, a causa della spietata repressione preventiva. Il nostro augurio è che la rivolta, avendo azzoppato il regime, dia ossigeno alle opposizioni e che queste abbiano il coraggio e la determinazione di non venire a patti col tiranno. Il quale, presentatosi ieri (10 gennaio) alla TV a reti unificate, ha ostentato la carota, promettendo il blocco dei prezzi e investimenti per debellare la disoccupazione, come pure il bastone, affermando che i “disordini sono stati fomentati da elementi stranieri” (sic!), e che farà rispettare la legge.
Non riuscirà a fare né l’una né l’altra cosa. Non potrà arginare la disoccupazione e l’aumento dei prezzi, le cui cause attengono alla crisi di tutto il sistema economico occidentale (di cui la Tunisia è un orpello), né riuscirà a fermare il fiume in piena della protesta popolare. La repressione dura può arrestare movimenti di piccole minoranze, non di certo un movimento di massa.
Non riusciremmo a chiudere questa prima parte senza segnalare ai lettori un tentativo maldestro e goffo. Dopo aver aderito alla generale congiura del silenzio informativo, davanti all’enormità degli avvenimenti, Il Sole 24 Ore del Riotta, ha ordinato ad una delle sue penne più brillanti e argute, Alberto Negri, di dire qualcosa. E non ha detto, come gli è usuale, cose sciocche. Il bello, anzi il ridicolo, viene a galla leggendo l’articolo a firma Karima Moual. Il titolo è tutto un programma: «Le motivazioni più profonde della protesta: in piazza per il futuro non per il pane». Il tentativo esilarante è quello di cooptare le sommosse in Tunisia e Algeria nel torbido pentolone delle “rivoluzioni colorate” e filo-occidentali. Sentiamo: «Il Maghreb, che tradotto significa Occidente, con i suoi giovani, mai è stato più vicino a noi di come lo è oggi. E’ la generazione di internet, come viene chiamata in Marocco, che parla lo stesso linguaggio, può ascoltare la stessa musica, vestirsi allo stesso modo e avere le stesse aspirazioni e ideali di chi vive in Francia, Germania, Italia o Spagna».
Ma essendo che alla stoltezza non c’è limite, la Moual conclude: «C’è poi un aspetto fondamentale da non trascurare, al kamikaze che lascia dietro di sé odio e distruzione, si contrappone una figura nuova: quella di chi si suicida lasciando dietro di sé un messaggio, una speranza per gli altri». [Il Sole 24 Ore, 11 gennaio]
Al che, di fronte a tale enorme perla di filisteismo borghese, abbiamo avuto un irrefrenabile impulso, quello di sputargli in faccia. Invece no, merita solo una sonora pernacchia.