REFERENDUM: QUATTRO SI
4 SI’ contro il nucleare, contro le privatizzazioni, contro Berlusconi
Dunque il 12 giugno si voterà anche sul nucleare. La truffa predisposta dal governo è stata bocciata dalla Cassazione. Il dilettantismo con il quale Palazzo Chigi aveva congegnato la nuova normativa con l’unico fine, apertamente esplicitato, di bloccare il pronunciamento popolare, ha facilitato la decisione dell’Ufficio centrale per i referendum.
La conseguenza più importante di questa decisione sta nel fatto che ora, grazie all’effetto “traino” del nucleare, il quorum è di nuovo possibile. Possibile, ma tutt’altro che certo, considerata la disinformazione radiotelevisiva ed una campagna elettorale brevissima, schiacciata anche dal peso che hanno finito per assumere le recenti elezioni amministrative. Tuttavia, ora la vittoria del SI’ – valida solo con la partecipazione al voto del 50% + 1 degli elettori – è un obiettivo realistico. Una ragione di più per impegnarsi a fondo in questi ultimi giorni di campagna elettorale.
Perché il quorum è possibile
Ora, dopo le ultime vicende, in molti stanno saltando sul carro referendario. E’ il caso del Pd, la cui posizione è unicamente dettata dal calcolo politico di indebolire per questa via il già traballante governo Berlusconi. Obiettivo legittimo, ma che ha poco a che vedere con il contenuto dei referendum. Sicuramente ci sarà chi andrà a votare proprio per dare un’altra spallata al governo del Buffone di Arcore, ma saranno molti di più quelli motivati proprio dalla rilevanza dei temi sottoposti al voto.
E’ questa la vera novità della tornata referendaria del 12-13 giugno. Scrivevamo già agli inizi di marzo, cioè prima della tragedia di Fukushima:
«Questa volta, dopo tanti referendum andati a vuoto, è possibile che il quorum venga raggiunto. La curva declinante delle consultazioni referendarie italiane – da una partecipazione al voto dell’87,7% per il divorzio nel 1974, al 23,3% al referendum per una legge elettorale ultra-maggioritaria del 2009 – sembrerebbe non lasciare speranza alcuna. Ed in effetti il quorum è stato raggiunto l’ultima volta nel lontano 1995, mentre tutti i referendum successivi (1997, 1999, 2000, 2003, 2005, 2009) sono sistematicamente falliti. Sarà così anche questa volta? Non è detto. La crisi dello strumento referendario ha coinciso con tre precisi fenomeni: in primo luogo, l’uso a raffica, e sui temi più disparati ed a volte astrusi, che ne è stato fatto in particolare dai radicali; in secondo luogo, il suo utilizzo ripetuto su una materia assai ostica come quella delle leggi elettorali (si è votato su questo tema, sempre su quesiti sostanzialmente ultra-maggioritari, nel 1991, 1993, 1999, 2000, 2009); in terzo luogo, la crescente spoliticizzazione di massa ed il prevalere della rassegnazione di fronte ad un sistema oligarchico».
Questa volta invece si vota su temi chiari. Se il “legittimo impedimento” ci parla di una giustizia dove prevale in maniera perfino spudorata il privilegio dei potenti, se i quesiti sull’acqua ci parlano delle frontiere estreme verso cui si sta spingendo la follia privatizzatrice, è il tema del nucleare quello che ha la forza di mobilitare milioni di persone. Era così già prima di Fukushima, è a maggior ragione così dopo il disastro giapponese, benché i media abbiano spento da tempo i riflettori sulla portata del disastro atomico seguito allo tsunami.
Le ragioni del SI’
La vittoria del SI’ è dunque possibile, oltre che ovviamente auspicabile. Ma sulle ragioni del SI’ conviene soffermarsi in maniera più approfondita. Per dirla in maniera semplice: i nostri SI’ saranno comunque diversi da quelli di Bersani e Di Pietro. Il voto contro il nucleare non è il frutto di una conversione dell’ultimora, ma un tassello di una visione alternativa della società. Quello sull’acqua non vuol essere l’eccezione che conferma la regola privatizzatrice, bensì un possibile punto di ripartenza contro le privatizzazioni e per un’economia basata su principi sociali ed egualitari. Quello sulla giustizia non ha niente a che fare col giustizialismo dipietrista, bensì con l’idea di una giustizia da riformare in profondità per dare più garanzie ai comuni cittadini, non per aumentare i privilegi di una classe dominante che già oggi la fa sempre franca col denaro e la corruzione.
Sul nucleare oggi le cose appaiono semplici. Senza dubbio Fukushima ha sepolto i sogni di gloria, e soprattutto di business, del partito atomico. Il tentativo del governo italiano di impedire il referendum attraverso una sorta di moratoria, è apparso più penoso e maldestro che realmente pericoloso. La Merkel è dovuta tornare sui suoi passi per decretare la chiusura definitiva dei reattori tedeschi entro il 2022. Un passo analogo, sia pure con tempi più lunghi, è stato messo in cantiere dalla Svizzera. Tutti i programmi dei principali paesi atomici sono in fase di stallo. Giganti come Siemens, Toshiba e General Electric hanno annunciato il disimpegno totale nel nucleare (la Siemens) o comunque il ridimensionamento degli investimenti nel settore a favore delle rinnovabili (Toshiba e General Electric).
Tutto bene, dunque? No, sia perché c’è sempre il rischio di un «ritorno di fiamma» una volta svanito l’«effetto Fukushima», sia perché i tempi di uscita dal nucleare nei vari paesi saranno comunque lunghi (ed alcune nazioni – vedi la Francia – non ne vogliono proprio sapere). La vittoria del SI’ avrebbe invece un effetto di lungo periodo in Italia, un po’ come è stato con il referendum del 1987, andando inoltre a rafforzare le lotte del movimento contro il nucleare in tutta Europa.
Naturalmente, un referendum è un referendum. Ci si pronuncia su un quesito secco, con i pregi e i limiti di un simile strumento. Quel che vogliamo dire è che anche la vittoria del SI’, da sola, non sarà certo sufficiente a costruire un nuovo modello di società che ponga fine allo spreco ed al saccheggio delle risorse naturali, che metta al centro il benessere sociale e non più il profitto e gli affari. Per raggiungere questi obiettivi occorre una vera rivoluzione democratica. Il referendum può solo aiutarci a fermare le spinte più distruttrici, in questo caso un piano nucleare che ha la sua unica ragion d’essere nel voler alimentare gli interessi e le speculazioni dei grandi gruppi monopolistici del settore. Non è tutto, ma non è poco.
Anche il referendum sull’acqua bene pubblico ha una grande importanza. Le leggi che si intendono abrogare rappresentano lo sviluppo estremo della politica delle privatizzazioni. Una politica che il centrosinistra ha praticato prima ed in maniera più profonda della destra. Una politica che ha già portato ad un generale peggioramento dei servizi e ad aumenti incontrollati dei prezzi nei settori delle telecomunicazioni, dell’energia, dei trasporti, eccetera. Uno dei campioni di questa politica porta il nome di Pier Luigi Bersani, che oggi, nelle vesti di segretario del Pd, si è schierato per l’abrogazione delle leggi (qui i quesiti e le schede da votare sono due) sulla privatizzazione dei servizi idrici. Per cercare di sbrogliare questa contraddizione – alla testa di un partito dove la linea e la pratica delle privatizzazioni è assolutamente maggioritaria nel suo gruppo dirigente – Bersani dice di essere «contro la privatizzazione forzata dell’acqua». Il che si traduce come piena approvazione della privatizzazione purché non «forzata».
Questa contraddizione del Pd evidenzia un punto debole di questo referendum: fare dell’acqua un caso a parte della politica delle privatizzazioni. Si tratta di una linea perdente. Infatti, se da una parte può servire nell’immediato a raccogliere qualche consenso in più, sul piano generale il caso dell’acqua non deve rappresentare l’eccezione che conferma la regola (quella delle privatizzazioni, appunto), ma semmai la momentanea trincea da cui ripartire contro la politica delle privatizzazioni.
Non si tratta solo di una questione di principio. Si tratta di inquadrare la questione dell’acqua nel contesto attuale. Cosa chiedono Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale alla Grecia per erogare le nuove tranche previste dal cosiddetto «piano di salvataggio»? Privatizzazioni, privatizzazioni ed ancora privatizzazioni.
E di che cosa discuterà il nostrano Consiglio dei ministri il 15 giugno prossimo? Di una manovra da 35-40 miliardi per alleggerire il debito pubblico. Su questa gigantesca manovra non si sa ancora niente. Nel nostro pittoresco Paese il principale partito di governo è tutto preso dalla designazione del nuovo segretario generale, mentre il più importante partito d’opposizione preferisce girare la testa dall’altra parte. Sembra che la manovra economica riguardi i pinguini del Polo Sud, non gli esseri umani con cittadinanza italiana.
Se abbiamo chiaro questo contesto, è evidente come il SI’ all’abrogazione delle leggi sulla privatizzazione dell’acqua sarà anche un pronunciamento di carattere più generale: in primo luogo per fermare ulteriori privatizzazioni, in secondo luogo per mettere all’ordine del giorno la necessità di nazionalizzare i settori strategici dell’economia, dalle banche all’energia, dalle telecomunicazioni ai trasporti, eccetera.
Resta infine il voto contro il «legittimo impedimento». Una delle tanti leggi fatte approvare da Berlusconi per evitare processi e condanne: anche contro questa legge ad personam occorre una netta vittoria del SI’, ma avendo ben chiaro che la sconfitta del berlusconismo avverrà per via politica non giudiziaria.
Del resto non sarà del tutto un caso se Berlusconi è uscito finora sempre indenne dalle inchieste e dai processi in cui è stato ed è coinvolto. Occorre dunque un SI’ contro una giustizia ingiusta, di classe, amministrata da una casta indifendibile. Un SI’ di chi è consapevole della necessità di battersi per dare più garanzie a chi oggi non ce l’ha (cioè la stragrande maggioranza delle persone), togliendo i privilegi di cui oggi dispone la classe dominante, nella quale truffatori, bancarottieri, corrotti e corruttori transitano solitamente indenni dalle aule di tribunale.
SI’ dunque all’abrogazione del «legittimo impedimento», ma sapendo anche in questo caso che si tratta solo di un aspetto, per quanto odioso, di un «sistema giustizia» da cambiare dalle fondamenta.
Brevi conclusioni
Siamo dunque per votare quattro SI’. E siamo convinti che questa volta il voto popolare potrebbe davvero contare. Lo diciamo non guardando ai piccoli calcoli di bottega che stanno facendo i diversi partiti parlamentari, sui quali volutamente non ci soffermiamo, ma cogliendo una profonda spinta popolare verso il cambiamento.
Si tratta di un’esigenza di cambiamento ancora confusa, contraddittoria, che si cercherà in tutti i modi di riassorbire nel sistema bipolare. Ma si tratta di un’esigenza vera, profonda. Così come l’intero sistema politico continua a provocare una ripulsa, ed il costante aumento dell’astensionismo ne è una spia inequivocabile, il riavvicinarsi a temi concreti e politicamente rilevanti come quelli sottoposti a referendum indica il bisogno fortissimo di uscire dalla melma della seconda repubblica.
Ecco perché questa volta anche un referendum può essere utile. Strumento abusato e manipolato, piegato in passato al plebiscitarismo che ha portato alla cancellazione del sistema elettorale proporzionale, in questo caso potrà diventare l’occasione per dimostrare che più che un allontanamento dei cittadini dalla politica, abbiamo invece un rigetto di quel sistema politico che ha voluto cancellare del tutto ogni forma di partecipazione democratica. Lungi da noi ogni idea di «democrazia referendaria» alla radicale, ben venga invece per una volta il ritorno del referendum come strumento contro le scelte scellerate di un’intera classe politica.