UMBERTO BOSSI E VLADIMIRO LENIN
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Verso la scissione della Lega Nord?
L’altra sera il Tg de La7, riportando la notizia della grave spaccatura interna alla Lega in merito alla scelta del Capogruppo a Montecitorio (Reguzzoni è stato scelto con atto d’imperio da Bossi malgrado ben 49 deputati su 59 avessero scelto il bergamasco di fede maroniana Giacomo Stucchi) ha chiosato inopinatamente che questa vicenda «sembra porre la parola fine all’ultimo partito leninista restato sulla scena italiana».
Per cui avremmo, secondo il giornalista: partito leninista= regime interno monarchico=unanimismo. Chiunque abbia solo anche un’infarinatura di come funzionava il partito di Lenin, comprenderà come quest’ultimo si starà rivoltando nella tomba. Solo dei giornalisti ignoranti e in malafede possono scambiare il regime di centralismo democratico (massima libertà della discussione, decisione democratica a maggioranza, unità nell’esecuzione delle decisioni approvate) col regime interno della Lega, caratterizzato dal culto della personalità, dal dispotismo decisionista di Bossi, il quale governa la Lega attraverso una cricca di accoliti ubbidienti.
Sentiamo infatti cosa ha affermato Bossi ieri in un comizio a Magenta: «Ci metto due secondi a chiedere al Consiglio federale l’espulsione di chi si mette di traverso, anche se ci sono persone importanti: la base sa bene che chi fa casino nel partito non lo fa per interesse comune ma per interesse di altri».
Qui abbiamo un concentrato di monarcato assolutistico a patriarcale, per cui il sovrano caccia chiunque sia contrario alle sue opinioni e, si badi, con l’argomento che sorregge la presunta infallibilità del Papa, ovvero che solo egli incarna il verbo divino, in questo caso solo il capo supremo interpreta la volontà generale, mentre chi dissente sarebbe o eterodiretto o farebbe i cazzi suoi.
Ma la forma, in politica, è quasi sempre sostanza. La questione del regime interno della Lega fa velo a quella politica della linea generale e delle alleanze. Bossi è ormai prigioniero del suo Patto con Berlusconi, e più Bossi grida più egli si mette a nudo come un leader senza più alcuna bussola. Allora se qui c’è qualcuno che è eterodiretto, ovvero oramai privo di autentica autonomia politica, questo è proprio Bossi.
La cosa non sfugge a larga parte della sua base, che mal sopporta che il proprio sovrano si dimostri un suddito, per quanto importante, di Berlusconi e che la sua sovranità si manifesti non verso l’esterno, ma soltanto all’interno, “la Lega sono io”, come minaccia verso chi chiede la fine della subalternità ad un moribondo.
Non è per caso se sia a Pontida che ieri a Magenta, la folla leghista, per la verità striminzita, gridi “secessione! secessione!”, evocando il grido di battaglia dei tempi d’oro della Lega. Qui si manifesta non solo un mal di pancia, ma una pulsione latente a chiudere per sempre il capitolo “patarino” del sodalizio non solo con Berlusconi, ma con la curia politica romana.
Bossi ha risposto dal palco in perfetto stile peloso-meneghino-patarino: «La secessione è la migliore medicina, ma servono i patti giusti, non è che la fai così…. Se non si raddrizza il Paese, il nord se ne va per la sua strada». Che tradotto significa: “Lasciate perdere la secessione, siamo a Roma in posizione di forza grazie all’alleanza con il Pdl, e tornare indietro non si può».
Non è solo per la sua malattia, che l’ha evidentemente indebolito, che Bossi ha da tempo abbassato la cresta. Bossi sa che la prospettiva della secessione implica una rottura talmente radicale con l’ordine di cose esistente, che non è perseguibile, che essa è neanche più uno spauracchio per strappare potere, ma solo un messaggio demagogico per tenere buoni gli esagitati che ancora gli vanno dietro.
Avevamo segnalato per tempo che per la Lega Nord si era chiuso per sempre un ciclo, che essa aveva subito un processo di “imborghesimento”, ovvero non solo l’adattamento del suo personale politico al sistema, ma la sua sussunzione nel pantano della Seconda repubblica (di qui certe nostre critiche ad un certo antileghismo militante). Troppo grandi sono gli interessi capitalistici “trans-padani” che essa ha sposato, per poter tornare indietro.
Ciò non vuol dire che dal seno di questa Lega, ovvero dalle viscere del blocco sociale nordista, fatto della commistione corporativa tra padroni piccoli e medi, operai e bottegai, non possa risorgere una spinta secessionista ed eversiva —di cui il dissenso interno a Bossi è spia. Che questa spinta possa prendere corpo dipende da molti fattori, il cui ultimo per importanza si rivela proprio l’interdizione bossiana. Dipende dall’evoluzione della crisi economica e sociale, da come evolverà la questione del debito sovrano, se reggerà o non reggerà l’unione monetaria europea.
Se tutto dovesse precipitare non è escluso che dalla pancia di questa Lega possa essere partorito un nuovo movimento di massa reazionario che evochi la secessione e la fine dell’Italia come stato unitario, quindi l’aperta rivendicazione dell’aggancio geopolitico della “padania” alle zone forti dell’Europa.