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QUANTITATIVE EASING: SEMPRE DI NEOLIBERISMO STIAMO PARLANDO di Luciano Barra Caracciolo

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25 gennaio


Sì lo so che molti magari vorrebbero che parlassi del QE di Draghi;
– di come non “può” funzionare, specie se le politiche di bilancio pubblico in UEM restano quelle attuali in radicale contraddizione con la maggior “offerta” di moneta al (solo) sistema finanziario;
– di come la responsabilità-garanzia per le eventuali perdite all’80% posta a carico delle BC nazionali, – che rammentiamo non hanno potere di emettere moneta e quindi sono ridotte a meri “fidejussori” della BCE, come un qualsiasi istituto finanziario di diritto comune!– non appaia molto conforme ai trattati per tanti motivi (non ultimo quello che, a quanto pare, gli acquisti, per tipologia e quantità sarebbero decisi da BCE, e la garanzia sarebbe passivamente subita dalle BC senza alcun potere di decisione autonoma sulle strategie di acquisto e rischiando perdite di livello tale da rifluire in ricapitalizzazioni potenziali a carico dei cittadini, con ciò nullificando la stessa funzione di emittente della BCE e alterando il senso delle “operazioni open market” rispetto a quanto fa una normale BC).

Ma non lo farò (accontentatevi dei links e dell’accenno a questi problemi auto-evidenti).
Vi propongo invece un’intervista a von Hayek resa in Cile nel 1981, recuperata da Sil-viar e accompagnata da una sua documentata “prefazione”.
Perchè al di là dei tecnicismi su questo o quel “provvedimento” o “progetto” €uropeo,non dobbiamo dimenticare che:

a) siamo completamente impotenti di fronte a qualunque tipo di decisione assunta in queste sedi tecnocratiche. Se le nostre osservazioni critiche avessero un qualche tipo di peso, non sarebbero semplicemente più consentite. Ce lo dice Barroso con ostentata sicurezza di poterlo dire;

b) l’insieme inarrestabile di queste politiche sovranazionali, non si cura neppure più del consenso degli Stati nazionali-apparati (soggetti di diritto internazionale), dato che la tecnocrazia funziona ormai “col pilota automatico”, come dice lo stesso Draghi.

Lo scopo finale è quello che si preannunziava nel Cile di Pinochet: certo, dobbiamorapportarlo alle diverse situazioni di partenza della struttura economica dei paesi coinvolti.
Ma quanto a incremento delle fasce di popolazione sotto la soglia della povertà, ed a distruzione del “fastidio” di sindacati e elezioni, alla fine, ilrisultato è sostanzialmente omogeneo.
Su tutto domina il bis-linguaggio dei media asserviti, ora come nel Cile di quel tempo..

AVVERTENZA: se l’intervista che segue non suscita in voi “impressione” e vi appare come l’innocente disquisizione di un amabile filosofo della libertà, andatevi a leggere questo post. E leggetevi il link con quanto aveva denunziato Orlando Letelier.
E’ impressionante la banalità del male se le “belle parole” e gli “alti principi” vengono scissi dai fatti della Storia, dalle realtà di masse di persone ritenute sacrificabili e i cui destini riposano in queste argute teorizzazioni che nascondono la ferrea volontà di negare la pari dignità degli esseri umani.
L’uguaglianza (meramente formale) di fronte alla legge, nasconde infatti la realtàper cui, inevitabilmente, la legge vieta o prescrive comportamenti: quali siano in concreto questi comportamenti, dipende dalla condizione sociale di ciascun individuo.
La stessa norma può esigere uno sforzo inumano da taluno e avvantaggiare sfacciatamente qualcun altro, cui non viene chiesto altro comportamento che reclamare la protezione (autoritaria) dello status quo.
Il concetto di von Hayek presume, in nome di una presunta evoluzione arbitrariamente contrabbandata come immutabile “tradizione”, che la società umana debba fondarsi su una totale e gelida mancanza di solidarietà. Questa assenza autorizza che il privilegiato possa reclamare la forza dello Stato per impedire qualsiasi forma di avanzamento sociale di chi sia assoggettato al potere deiricchi che, per definizione, devono anche essere “potenti”: cioè devono essere posti sempre in grado di legittimare le regole di autoconservazione della propria posizione. Questo e null’altro è Hayek, ridotto alla sua essenza fenomenologica.

Esuli argentini mi fecero leggere alcune interviste rilasciate da Hayek in Cile ed Argentina.
Era ben chiaro a cosa servissero i golpes; e Hayek e Friedman erano riconosciuti come gli ideologi che avevano a disposizione Cile e Argentina per portare a termine i loro “esperimenti” economici che, da un lato, servivano alle multinazionali e ai grandi proprietari industriali ed agrari per accumulare ricchezza, e depredare i Paesi e i cittadini,senza la “noia” di sindacati ed elezioni, e dall’altro a “provare” dal vivo la bontà del loro “modello”: la restaurazione reazionaria dell’ideologia liberista delle privatizzazioni, liberalizzazioni, repressione salariale. Apriranno la strada alla Thatcher e a Reagan, e a tutto il resto.

Ho tradotto le due interviste che sono riuscita a trovare tra le molterilasciate da Hayek in Cile nel 1981 in occasione di un seminario al “Centro de Estudio Publicos”, di cui era presidente onorario, intervisteche risultano già citate su Orizzonte48.

Questa prima intervista è al giornale El Mercurio e l’ho trovatotrascritta in un forum.

Voglio ricordare Orlando Letelier, che descrive nel 1976 i risultati economici dei Chicago Boys, prima di essere ammazzato a Washington dalla DINA, la polizia segreta di Pinochet, per avere il contesto delle interviste: nel 1977 Hayek va in Cile la prima volta, incontra Pinochet, e loda i progressi nell’economia.

Nel Cile di Pinochet – migliaia di morti e di scomparsi, decine di migliaia di torturati e di prigionieri politici, circa 1 milione di espatriati-, Hayek parla del “calcolo delle vite”, e della fame come controllo demografico, quando era già ben noto che questo passa attraverso il benessere e il welfare: istruzione e sanità prima di tutto. Ne parla in un paese che ha il 20% di bambini denutriti!
Nel 1982, con la moneta agganciata al dollaro, con la crescita basata solo sulle esportazioni e con il prezzo del rame in picchiata, lapopolazione denutrita raggiunge 1/3 del totale, quella sotto la soglia di povertà oltre il 50%, e la disoccupazione il 25%.
L’ideologo della “globalizzazione” liberista mette “l’individuo” al centro di tutto, parlando di “libertà”, attraverso la mimesi e l’utilizzo del bis-linguaggio, insomma il Test di Orwell deve essere a portata di mano, ma è perfino troppo “onore”… in fondo è la libertà del “proprietario”: più è ricco, più è “libero”.
Ci sono diversi passaggi ridicoli, nonostante il “gentile” eloquio.

Hayek parla della “transizione” necessaria dalla “dittatura liberale” per arrivare alla “democrazia limitata” (l’intervistatrice parla di democrazia totalitaria! Nel Cile di Pinochet!).
E infatti i suoi epigoni, quelli della durezza del vivere (per noi, mica per loro!) ci hanno trascinato dalla democrazia “totalitaria” dello Stato Sociale e del benessere alla democrazia limitata di €/UE per raggiungere gli stessi traguardi economici di Pinochet (per mantenerli a lungo sarà necessario lo stesso tipo di repressione?).
In Cile nessuno è stato punito per i crimini commessi, Pinochet, già amico della Thatcher, non fu estradato in Spagna nel 2000, dal governo laburista inglese, per motivi di salute (o in nome della “riconciliazione”? che non c’è stata), o forse perché la dittatura “liberale” è stata un successo. Un successo mondiale.

Friedrich von Hayek: Dalla schiavitù alla libertà
di Lucia Santa Cruz.

A 82 anni non vi è alcun segno di vecchiaia. Sottile e agile nell’andatura, ma il passare del tempo lo ha costretto ad abbandonare gran parte dell’attività fisica. Alpinista, infaticabile e grande camminatore, oggi deve limitare le sue energie al lavoro intellettuale. Persino durante la sua permanenza in Cile, nonostante i suoi numerosi impegni, Friedrich von Hayek approfitta del tempo disponibile finendo gli ultimi capitoli del terzo volume di “Legge, legislazione e libertà”.


Ci mostra un indice degli argomenti trattati: “L’etica della libertà e la proprietà”; “L’evoluzione del mercato: Commercio e civiltà”; “La lingua avvelenata “, “Lo sfruttamento dei lavoratori da parte dei lavoratori”, “L’illusione della statistica come guida”, “Il carattere reazionario del concetto socialista”, “Il delirio di onnipotenza degli intellettuali” tra gli altri.
Leggere Hayek – si sia d’accordo o no con i suoi principi – è un piacere intellettuale per il rigore del suo ragionamento. Non ci sono nei suoi scritti eufemismi né mitologie. Tutto è messo in discussione e non ci sono problemi dell’umanità che non siano sollevati e sminuzzati nella ricerca di nuove soluzioni. Vincitore del Premio Nobel per l’economia nel 1974, è molto più di un semplice economista: un filosofo nel senso più ampio della parola. Il suo libro, “La via della schiavitù”, pubblicato durante la seconda guerra mondiale, può diventare una pietra miliare nella storia del pensiero politico e l’attacco più forte sugli effetti che i progressi socialisti hanno sulla libertà dell’uomo. Espone il pericolo del totalitarismo subdolo che si infiltra nelle istituzioni democratiche dell’Occidente.

Il pensiero del padre del liberalismo moderno, nonostante rifugga la classificazione di neo-liberista, si diffonde, con la lentezza delle idee, anni dopo la sua prima formulazione.
Un profeta isolato negli anni Trenta e Quaranta, quando Keynes presidiava i circoli intellettuali e politici in Inghilterra e negli Stati Uniti, oggi è una figura “rispettabile”, con un seguito tra i giovani universitari, tra i governi europei e nordamericani, e con governi come quelli di Reagan e della signora Thatcher, che lo riconoscono come una fonte importante di ispirazione.

In Cile, in qualità di Presidente Onorario del Centro per gli Studi Pubblici, si lascia intervistare con la modestia che solo le grandi figure sembrano possedere.
Il suo discorso è rilassato. L’inglese perfetto dopo anni in Gran Bretagna, dove ha ottenuto la nazionalità, ma con un accento austriaco forte e melodico. Impeccabilmente vestito, indossa una cravatta con l’immagine di Adam Smith riservata ai membri dalla Mont Pelerin Society, che ha fondato.

Inizia la conversazione con “El Mercurio”, dicendo scherzosamente:
“Per favore sieda alla mia destra sono sordo dall’orecchio sinistro, il che, come si capisce, si presta a molti scherzi politici”.
Ha accettato la presidenza del Centro per gli Studi Pubblici, perché il caso cileno lo interessa.
– Credo che parlare del miracolo economico cileno non è un’esagerazione per quel poco che ho visto, il progresso in questi anni è enorme.-
Avverte della necessità, però, di continuare sulla stessa strada:
“E’ necessario fermare l’inflazione completamente, evitandocontrolli dei prezzi o privilegi sindacali. Io non sono contro i sindacati, ma all’idea che potrebbero godere di privilegi che il resto dei cittadini non ha, perché possono distruggere l’economia”.
-La Libertà è diventata la bandiera di quasi tutti i movimenti politici. Ciò è in parte dovuto al fatto che essa nasconde significati differenti, non solo nelle sfumature, ma nella sostanza, che sono persino opposti. .

-Che cosa significa per lei libertà?
-Si tratta della libertà dell’individuo. E’ un abuso del termine credere si riferisca alla libertà di una maggioranza in un’assemblea rappresentativa, perché se l’assemblea ha poteri illimitati, inevitabilmente arriverà a limitare la libertà degli individui. Per l’individuo, libertà significa conoscere in anticipo le regole che deve obbedire per non essere costretto dal governo. La libertà è dunque l’assenza di coercizione. Si richiede un quadro di norme conosciute, uguali per tutti, in modo che ognuno possa sviluppare piani razionali e perseguire i propri fini. Questo non significa che il governo non dovrebbe avere altri poteri. Semplicemente non dovrebbe avere altri mezzi coercitivi. Penso che il governo può fare molto bene, provvedendo le infrastrutture necessarie, anche se nemmeno in questo dovrebbe avere il monopolio. Direi che lo dovrebbe avere solo chi realizza effettivamente meglio degli altri.
-Si tratta di un concetto negativo della libertà?
-Infatti. Il concetto di libertà è negativo. Quello che si chiama libertà positiva, che permette ad alcuni di godere di certi diritti per fare cose particolari, è inconciliabile con l’idea di uguaglianza davanti alla legge, con l’obbligo che dovrebbero avere i governi di trattare tutti allo stesso modo.
-C’è chi sostiene che non sarebbe giusto legiferare in forma uguale per esseri che sono uguali solo in apparenza. Cosa ne pensa?
-E’ possibile che alcuni governi, in alcuni paesi, debbano assicurare un livello minimo sotto il quale nessuno possa cadere. Tuttavia, se si concepisce la giustizia come la parità di fatto, essa non è raggiungibile. Le persone sono diverse e nulla potrebbe essere più ingiusto che cercare di rendere uguali esseri che non lo sono.L’unica cosa che può essere uguale, lo ripeto, è il trattamento che ognuno riceve dal governo.
-Stranamente, però, sullo sfondo della libertà come forza trainante della civiltà, appare necessario considerare: perché è necessaria la libertà? Normalmente si ascoltano difese retoriche, ma sembra che lei abbia argomenti empirici.
– Molto, molto empirici. Solo l’ordine del libero mercato ci permette di nutrire la popolazione che esiste nel mondo. Se ci fosse stato comandato di non utilizzare mai il mercato, avremmo continuato un’esistenza felice e selvaggia di raccoglitori. Ma abbiamo usato il mercato e conseguito di aumentare la produttività pro capite per mantenere vivo un numero di persone che, senza il mercato, senza la divisione del lavoro che questo permette, non sarebbe potuto sopravvivere. La verità è che, a meno che non si desideri eliminare, uccidere, l’eccesso di popolazione, dobbiamo continuare. Abbiamo creato non solo una civiltà, ma una popolazione la cui esistenza dipende dal mantenimento dell’ordine di mercato.
-Questi scopi non possono essere ottenuti con una pianificazione?
Direi che oggi, e nel mentre le complessità della moderna società aumentano, è ancora più impossibile di prima. Sarebbe più facile se una persona o un’azienda potesse effettivamente avere tutte le informazioni necessarie per prendere decisioni. Ma non è che il mercato si adatta a tutti i fatti noti. Funziona nonostante dati che nessuno conosce nella sua interezza. Dipendiamo dall’uso delle informazioni che consentono alle persone di contribuire al mercato, che agisce come un grande computer e sono i risultati del mercato, i suoi segnali automatici, che indicano cosa fare in ogni caso. Agisce come una guida essenziale che segnala agli individui come poter contribuire in modo ottimale al tutto. In altri sistemi si deve dire alle persone cosa fare e, peggio ancora, senza sapere realmente che cosa dovrebbero fare.
-Allora, la libertà economica è originaria?
– Non si può separare la libertà economica dalle altre libertà. La libertà consiste nello sperimentare e si può sperimentare solo se è possibile utilizzare tutti i mezzi a cui si tiene accesso. – La distinzione tra libertà economica e la libertà intellettuale o culturale è artificiale. Non esiste il sistema che, privando della libertà economica, abbia potuto garantire la libertà intellettuale.
-Pensa che una volta stabilite le fondamenta di un’economia libera, la libertà politica emerge automaticamente o potrebbe esserci il caso della perpetuazione di un governo autoritario, che priva molte libertà, ma mantiene un alto grado di libertà economica?
– Potrebbe essere. Dipende da cosa si intende per libertà politica. Se lei si riferisce alla libertà della maggioranza sì, ma se si vuole definire la libertà politica come assenza di poteri arbitrari, allora dovrebbe applicarsi a tutti i campi. Non è necessario per questo elencare specifici diritti. Basti dire che il governo non ha il potere di obbligare gli individui, se non applicando le stesse regole uniformi applicabili a tutti.
-Non pensa che queste leggi dovrebbero essere non solo uniformi, ma avere un carattere non coercitivo?
– Le Leggi uguali per tutti non sono, perché devono essere applicate anche a chi le formula. Capisco che le restrizioni possono essere necessarie in un periodo di transizione, ma come stato permanente non sarebbe auspicabile.
-Una delle più comuni confusioni nella teoria politica moderna sembra essere quella tra il concetto di democrazia e di libertà. Lei qualcosa ha anticipato, ma potrebbe specificare meglio in che senso queste idee sono diverse o addirittura ostili tra di loro?
-La libertà richiede un certo grado di democrazia, ma non è compatibile con la democrazia illimitata, vale a dire, con l’esistenza di una legislatura rappresentativa con poteri onnicomprensivi. Tuttavia, per la libertà è essenziale che gli individui possano porre fine ad un governo che la maggioranza respinge. Questo è di grande valore. La democrazia ha un compito che io chiamo di ‘igiene”, assicura che i processi politici si conducano in forma sanitaria. Non è un fine. Si tratta di una regola di procedura finalizzata a servire la libertà. Ma in nessun modo ha lo stesso status di libertà. Quest’ultima richiede la democrazia, ma preferirei sacrificare temporaneamente, ripeto temporaneamente, la democrazia, piuttosto che dover fare a meno della libertà, anche se fosse temporaneamente.
-Esiste allora qualche relazione tra libertà individuale e democrazia?
-La sola cosa che la libertà richiede è che l’individuo possa fare qualcosa per limitare gli atti del governo. Non penso che l’impartire istruzioni positive al governo su cosa deve fare sia parte della libertà. Ma la verità è che non ci può essere libertà se non siamo in grado di esercitare il diritto di impedire al governo di fare certe cose.
-Tuttavia, sembra un fatto evidente che la democrazia in Occidente sta attraversando una crisi di credibilità. A cosa si deve, a suo parere?
– Si suppone che la democrazia avrebbe la competenza di legiferare. Questo è stato in un momento in cui legiferare significava stabilire norme generali per il comportamento individuale. Ma ora chiamiamo legge tutto ciò che emana dall’autorità, abbia o meno il carattere di legge. Così il vecchio precetto di Montesquieu, la separazione dei poteri, è stata interrotta. Parlando di legislazione, egli si riferiva a qualcosa di molto diverso. Ora l’autorità legislativa è diventata onnipotente. Non abbiamo la separazione dei poteri, non solo perché il Parlamento ha poteri legislativi, ma può anche amministrare e nella procedura può utilizzare tutta la discrezionalità possibile.
-Allora, i problemi non sarebbero intrinseci alla democrazia stessa, consoni alla forma specifica con cui ha funzionato?
– Credo di si. Nel mio prossimo libro, il terzo volume di “Legge, Legislazione e Libertà”, propongo una nuova organizzazione per il governo democratico. Consiste di due camere con due scopi diversi. In primo luogo, un vero e proprio organo legislativo con poteri limitati per stabilire regole generali, e una seconda camera che diriga il governo. Il governo sarebbe, naturalmente, limitato dalle leggi generali che ha stabilito la prima assemblea.
-Come sarebbe generato il potere in queste Camere?
– Attraverso un sistema di elezioni, diverso nei due casi. In quella incaricata delle attività di governo, la rappresentanza potrebbe essere in accordo ai diversi interessi settoriali. In quella legislativa, invece, si richiedono i più esperti, uomini saggi ed esperti, che conoscano la materia. Sarebbero eletti, ma non sulla base di partiti, come potrebbe essere nel caso nel corpo legislativo, e inoltre per un periodo più lungo. Non potrebbero essere rieletti, per evitare che siano sottoposti a pressioni dei partiti. Inutile dire che l’assemblea esecutiva sarebbe soggetta alle leggi generali del paese.
-Lei crede nel diritto naturale e che la libertà e la proprietà, per esempio, sono anteriori allo Stato?
No, nel senso tradizionale, però sì in un certo senso. Penso che le migliori norme e leggi siano state selezionate attraverso un processo evolutivo. Non sono state elaborate intellettualmente. Come altri prodotti dell’evoluzione, si può legittimamente dire che c’è più saggezza nella tradizione che nelle costruzioni deliberate. Questo non significa che tutte le tradizioni sono buone. La tradizione deve dimostrare i suoi benefici.
Questi si possono misurare dal successo delle istituzioni che ha prodotto e, in generale, si può affermare che la tradizione del diritto, della libertà, si è dimostrata più efficace di altre tradizioni.
– Che rapporto c’è con il diritto di proprietà? È anteriore allo Stato o lo richiede per non essere un semplice possesso, come dice Kant?
– Lo Stato è necessario per far rispettare la legge, la quale non è una creatura dello Stato. E’ il prodotto di una evoluzione che consideriamo buona, non perché lo Stato lo ha decretato, ma perché ha creato una sorta di grande ordine che non potrebbe mai essere stato creato da azioni deliberate.
-Lei si è riferito in altre occasioni all’apparente paradosso per cui un governo dittatoriale può essere più liberale di una democrazia totalitaria. Tuttavia, è anche vero che le dittature hanno altre caratteristiche che sono in contrasto con la libertà, pur concepita nella forma negativa come fa lei.
Evidentemente ci sono grandi pericoli nelle dittature. Ma una dittatura si può auto-limitare e una dittatura che deliberatamente si limita può essere più liberale nelle sue politiche di un’assemblea democratica che non ha limiti. Devo ammettere che non è molto probabile che questo accada, ma ancora, potrebbe essere in un certo momento l’unica speranza. Non una speranza certa, perché sempre dipenderà dalla buona volontà di un individuo e si può contare su ben pochi individui, ma se è l’unica opportunità che esiste in quel momento, tuttavia, può essere la soluzione migliore. Sempre finché la dittatura si dirige visibilmente verso la democrazia limitata.
-Ha scritto che la libertà è la fonte e la condizione necessaria per la maggior parte dei valori morali.
Solo godendo di libertà –e mi riferisco, insisto, alla libertà individuale– una persona può comportarsi moralmente. Solo se si dispone di una sfera conosciuta, all’interno della quale si può scegliere, si può agire moralmente, solo se è il soggetto che decide come agire.
-Qual è il ruolo della morale nella teoria politica?
– Come le ho detto, credo che le nostre credenze morali non siano la costruzione del nostro intelletto. Al contrario, come gli altri organismi naturali sono state selezionate da un processo evolutivo che noi non dirigiamo. Per capire perché alcune regole morali hanno avuto, per così dire, più successo, dobbiamo definire cosa intendiamo per più successo morale. Sono giunto alla conclusione che, nel processo di evoluzione è stato possibile selezionare quelle regole morali che ci permettono di mantenere vive la maggior quantità di persone.
La morale, e includo in essa la proprietà e il contratto, deve essere giudicata in base al “calcolo delle vite”. Storicamente è dimostrato che un sistema di leggi tende in modo più efficace al sostentamento di un maggior numero di vite. Anche se può essere scioccante per alcuni, questo è dimostrato dalla creazione del proletariato da parte del capitalismo, perché ha dato vita ad un numero di persone che in altri modi non sarebbe sopravvissuto. Gli individui che compongono il proletariato semplicemente non esisterebbero se non fosse per il capitalismo.
– Lei crede che il liberismo è moralmente neutro o che gli obiettivi che persegue comportano una gerarchia di valori?
-Una società libera richiede determinate morali che in ultima istanza si riducono al mantenimento delle vite; non la manutenzione di tutte le vite perché potrebbero essere necessario sacrificare vite individuali per conservare un numero maggiore di altre vite. Pertanto, le uniche regole morali sono quelle che portano al “calcolo di vite”: la proprietà e il contratto. Sto deliberatamente lasciando la famiglia e la morale sessuale, perché non sono un esperto. Questo campo è più difficile perché le innovazioni, come il controllo delle nascite, hanno cambiato radicalmente i fondamenti della vita familiare. Ciò che è essenziale è il riconoscimento di certe regole morali. Sono convinto che non scegliamo la nostra moralità, ma che la tradizione per quanto riguarda la proprietà e il contratto che abbiamo ereditato è una condizione necessaria per l’esistenza della popolazione attuale. Possiamo cercare di migliorare parzialmente e sperimentalmente.
Dire che il diritto di proprietà dipende da un giudizio di valore equivale a dire che la conservazione della vita è una questione di giudizio di valore. Dal momento in cui accettiamo la necessità di mantenere in vita tutti quanti non abbiamo scelta. L’unico giudizio di valore si riferisce alla stima che si faccia della conservazione della vita.
-Lei direbbe che la Chiesa Cattolica si è tradizionalmente opposta al liberismo?
– Non necessariamente. Si è opposta soltanto al liberalismo razionalista europeo, non alla corrente inglese, perché sotto l’influenza della Rivoluzione Francese divenne anti-chiesa prima che la Chiesa fosse anti-liberale.
-Tuttavia i rapporti non sempre sono stati armoniosi.
– Nel XIX secolo la Chiesa ha adottato un atteggiamento molto anti-liberale verso la scienza. Attualmente ci sono grandi speranze per una riconciliazione tra la scienza e la Chiesa. Sono stato coinvolto in questi sforzi. Quattro mesi fa ero in un riunione in Vaticano con una dozzina di premi Nobel per discutere i problemi della riconciliazione tra la scienza e la Chiesa. Non so fino a che punto il Papa è disposto ad andare. Devo dire che non sono d’accordo con la posizione estremamente dottrinaria sul controllo delle nascite. Ma in questa occasione ci hanno detto che, a parte l’aborto -che per la Chiesa è fuori discussione-, si poteva parlare liberamente di tutto il resto.
-Sebbene la Chiesa possa non essere anti-liberale, ci sono stati pronunciamenti ecclesiastici contro il capitalismo.
– Guardi, la parola capitalismo nemmeno a me piace e vorrei cambiarla.Ma non credo che la Chiesa si sia pronunciata contro l’economia di mercato e le vecchie dottrine sull’interesse sono cose del passato. In realtà, importanti rappresentanti della Chiesa, cardinali, tra cui il Primate della Germania, appoggiano l’economia sociale di mercato. Non vi è alcuna opposizione ufficiale della Chiesa, hanno perso solo alcune restrizioni. Devo anche dire che la partecipazione dei sacerdoti ai movimenti socialisti è quasi un’esclusiva dei paesi di lingua spagnola.
-Lei non crede che il liberalismo genera materialismo?
– No. Affatto. Ci fornisce i mezzi materiali per soddisfare tutti i nostri scopi.
-Tocqueville fu forse il primo a sollevare la tensione permanente tra libertà e uguaglianza. Lei a cosa crede risponda il conflitto che di norma si crea tra loro.
– L’unica uguaglianza fattibile è l’uguaglianza di fronte alla legge. Se chiedete più di questo, immediatamente entra in conflitto con la libertà. Se si ha intenzione di creare uguaglianza materiale si può fare soltanto limitando la libertà.
-Ma, lei direbbe che l’idea di eguaglianza ha contribuito a trasformare la libertà da un privilegio ad un valore universale?
– Solo per quanto riguarda l’uguaglianza di fronte alla legge.
-Non pensa che è necessario garantire l’uguaglianza di opportunità?
– Anche questo è molto difficile da raggiungere. Le opportunità, che sono creazione dei governi, dovrebbero essere uguali, ma non si può assicurare l’uguaglianza obbiettiva. Le persone sono molto diverse, hanno padri diversi, hanno gradi differenti di salute, costituzioni biologici disuguali.
– Ma in materia di istruzione, per esempio, non crede che è importante non ci siano marcate differenze in quanto aopportunità?
– Alcune misure al riguardo sono convenienti. E’ auspicabile che gli individui di talento che non possono finanziare i loro studi siano assistiti, ma non sono sicuro che non abbiamo causato pregiudizio alle famiglie operaie privandoli dei loro elementi più dotati.
-E aspetti quali la cultura, dove la legge della domanda e dell’offerta storicamente non ha garantito né diversità, né qualità?
– Prima pensavo che i governi avrebbero dovuto fare qualcosa, ma l’esperienza giapponese, dove tutte queste attività ricreative sono nelle mani di imprese private, mi ha convinto che non sono i governi i più appropriati. Non lo sono mai stati. Né in Grecia né nel Rinascimento, non nel periodo d’oro della musica nel XVIII secolo. Sono sempre stati i mecenati i grandi promotori della cultura. Spetta alle classi ricche prendersi cura della cultura.
-Il liberalismo è stata tradizionalmente una mentalità più che una dottrina rigidamente strutturata, un approccio pragmatico ed empirico, l’applicazione del principio di “trial and error”. Alcune persone credono che il neoliberismo è sostanzialmente diverso in questo senso, perché offre una struttura molto solida che potrebbe essere classificato come ideologia molto coerente e globale. Come si può conciliare questo con l’idea del grande liberale Karl Popper che la politica, come ipotesi scientifica, è solo una proposizione congetturale senza valore di verità ultima?
– Popper e io siamo d’accordo su quasi tutti gli aspetti. Il problema è che non siamo neoliberisti. Chi si definisce così non sono liberali, sono socialisti. Siamo liberali che cercano di rinnovare, ci atteniamo alla tradizione che può essere migliorata, ma non può essere modificata nelle fondamenta. Il contrario è cadere nel costruttivismo razionalista, nell’idea che si può costruire una struttura sociale concepita intellettualmente dagli uomini e imposta secondo un piano senza tenere in considerazione i processi evolutivi culturali.
-Non crede che, nel caso del Cile, per esempio, dove si sta cercando di applicare un modello molto coerente in tutti i settori della vita nazionale, ci siano alcune caratteristiche di quello che lei chiama costruttivismo?
– Non ne so abbastanza per commentare. So che gli economisti sono solidi.
-Ma il modello comprende più che la mera economia.
– E’ possibile che questo si debba all’enorme influenza che il positivismo e l’utilitarismo hanno avuto in America Latina. Bentham e Comte sono stati grandi figure intellettuali del continente e il liberalismo in questo continente è sempre stato costruttivista. Milton Friedman, per esempio, è un grande economista con il quale concordo su quasi tutti i punti, ma su altri non sono d’accordo, non solo sull’uso meccanico di capitale circolante. Anche io sono economista, ma mi piace pensare che sono qualcosa di più. Io dico sempre che un economista che è solo un economista, non può nemmeno essere un buon economista. Be’, Friedman è cresciuto nella tradizione del Bureau of Economic Research sotto l’influenza di Mitchel. Egli sostiene che dal momento che noi abbiamo creato le istituzioni possiamo cambiarle come vogliamo. Questo è un errore intellettuale. Si tratta di un errore. E’ falso. In questo senso Milton è più costruttivista di me.
-Un modello che copre tutte le istituzioni e si impone senza che forze spontanee lo generino, per quanto persegua la libertà, potrebbe arrivare ad essere in conflitto con la libertà?
-Sì.
– Talmon dice che l’uomo è diviso tra due grandi ambizioni: il desiderio di salvezza attraverso un credo onnicomprensivo che risolve tutto e la libertà. Aggiunge sarebbe il perseguimento di entrambe le mete che porta inevitabilmente alla tirannia. Pensa che se la ricerca della libertà si trasforma un credo onnicomprensivo che risolve tutto può portare a certe forme di tirannia?
-Sì, naturalmente. In fondo, e in definitiva, si tratta di un problema di umiltà. Di riconoscere quanto poco sappiamo.
-Mi piacerebbe sentire i suoi commenti riguardo il seguente giudizio: Hegel, Marx e Freud sono responsabili di tutte le disonestà morali e intellettuali del XX secolo.
– Forse è posto in un modo un po’ esagerato. Sono i più cospicui rappresentanti del percorso sbagliato.

“Bene, direi che come istituzione a lungo termine, io sono totalmente contro le dittature. Ma può essere un sistema necessario in un periodo di transizione. A volte è necessario che in un paese si abbia, per un po’ di tempo, una qualche forma di potere dittatoriale. Come capirete, è possibile che una dittatore governi in modo liberale. Ed è anche possibile che una democrazia governi con una totale mancanza di liberalismo. Ed io, personalmente, preferisco un dittatore liberale, che non un governo democratico carente di liberalismo. La mia impressione è – e questo è vero per il Sud America – che in Cile, ad esempio, ci sarà una transizione tra un governo dittatoriale e un governo liberale. E, in questa transizione, può essere necessario per mantenere alcuni poteri dittatoriali, non come permanenti, ma come una disposizione transitoria.”

Hayek, Friedrich August von 1981: “Al presente il nostro compito principale è quello di limitare il potere del governo” [Intervista], in: El Mercurio, aprile 1981, pag. D8-D9.


* Fonte: Orizzonte 48

7 pensieri su “QUANTITATIVE EASING: SEMPRE DI NEOLIBERISMO STIAMO PARLANDO di Luciano Barra Caracciolo”

  1. Anonimo dice:

    La democrazia nasce in Grecia e oggi rinasce a nuova vita sempre partendo dalla Grecia.Adesso cominceranno le geremiadi di quelli che hanno capito sempre tutto che diranno che Tsipras è un venduto, che Grillo è un gatekeeper, che il Papa è al servizio del potere nero di Satana…Io dico che non è vero, che Tsipras non essendo pazzo cercherà di non buttare il proprio paese allo sbaraglio per cui sarà disponibile anche a qualche compromesso, ma sono certo che Syriza si opporrà con tutte le sue forze all'austerità il che susciterà in tutta Europa un'ondata di dissenso sulle politiche restrittive.Lo scopriremo nei prossimi mesi.P.S.: Barra Caracciolo è un altro che non è stupido ma che è così incasinatamente egocentrico da risultare del tutto inutile e anzi controproducente dal punto di vista politico.

  2. Anonimo dice:

    Aggiunta: anche perché se fallisce Tsipras dopo di lui c'è Alba Dorata…

  3. Anonimo dice:

    Non che io voglia fare l'uccellaccio del malagurio ma sul fatto quotidiano viene riportatata un intervista di Tsipras al Messaggero dove dichiara di non conoscere personalmente Matteo Renzi ma il suo staff ha gia'preso contatti con quello del premier Italiano e tra i due c'e' una naurale sintonia,Andiamo bene.

  4. Anonimo dice:

    Per l'anonimo delle 22.49.Tsipras lo giudicheremo su quello che fara' realmente nei prossimi mesi dopo tanti proclami elettorali credo che accordi al ribasso non sarebbero accettati da chi lo ha votatoChe Grillo non sia un Gatekeeper non e' poi cosi' scontato,che il Papa sia al servizio di satana o meno dopo che Padre Pio prima di morire confido' al sacerdote Luigi Villa che la chiesa era invasa dalla massoneria pronunciando la frase "ormai e' arrivata alle pantofole del Papa",dopo che Paolo VI nel 72 pronuncio' la famosa frase sul fumo di satana penetrato in vaticano dopo che nel 78 Pecorelli pubblico' su OP una lista di vescovi e cardinali massoni, dopo che nell'83 Giovanni Paolo II e il prefetto della congregazione per la dottrina della fede l'allora Cardinale Ratzinger dovettero emanare un documento pontificio per ribadire che i religiosi aderenti alla massonieria erano in stato di peccato grave e quindi in stato di scomunica e dovettero farlo perche' da molte voci all'interno della chiesa si chiedeva la rimozione della scomunica ai massoni,dopo la subdola guerra interna che e' stata fatta a Benedetto XVI ,con la vicenda delle carte trafugate e dopo le non ancora chiarite dimissioni di un Papa caso praticamente unico nella sua bimillenaria storia non mi meraviglierei se i massoni fossero infine riusciti a far eleggere un loro papa,e visto che i lupi sanno travestirsi bene da agnelli,visto che chi ti vuole fregare cerca sempre di conquistare la tua fiducia ,visto che satana e' il principe della menzogna ,non mi lascerei abbindolare cosi' facilmente dallo stile di questo papa che cosi'tanto consenso sta' riscuotendo,naturalmente anche per Francesco saranno il tempo e le opere a dirci che papa e'ma intanto io aspetterei a lasciarmi andare a facili entusiasmi si potrebbe fare la fine dei tanti che si entusiasmarono per un giovane leader alla leopolda ma questa e' tutta un'altra storia.Redazione lo so sono andato completamente OT ma per favore non mi censurare c'ho perso un bel po' di tempo a scrivere.

  5. Anonimo dice:

    Compagni della RedazioneHo letto su un articolo di Repubblica che il KKE pur di non allearsi con Tsipras si alleerebbe con Samaras.A voi risulta questa cosa?

  6. chiunque scriva ciò che vuole dice:

    Sintesi e commento al pensiero di von Hayek (una frase tratta dall'intervista cilena): "Le persone sono diverse e nulla potrebbe essere più ingiusto che cercare di rendere uguali esseri che non lo sono." Mi ricorda la risposta di Hemingway a Fitzgerald che aveva affermato"I ricchi sono diversi da noi" … "giusto, è perché hanno più soldi di noi".

  7. barbaranotav dice:

    scusate se vado off topic, anche iosarei interessata alla posizione del KKE che sul Tempo hanno descritto come critica senza specificare altro.http://www.iltempo.it/esteri/2015/01/26/il-comunista-tsipras-si-allea-con-la-destra-per-governare-1.1372081Avete modo di tradurre un loro comunicato?Grazie

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