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CATALOGNA di Emmezeta

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[ 25 settembre ]
Domenica prossima la Catalogna va al voto. Secondo alcuni si tratterà del classico “salto nel vuoto”. Formalmente si andrà alle urne per eleggere il parlamento catalano (parlament de Catalunya), ma la consultazione sembra assai più simile ad un plebiscito sull’indipendenza. E la cosa pare seria assai.
Il presidente uscente dell’Autonomia Catalana, Artur Mas, ha più volte annunciato il suo programma con estrema chiarezza (vediQUI l’intervista a RaiNews24): in caso di vittoria indipendentista ci sarà una dichiarazione del parlamento catalano che avvierà il percorso per il distacco dalla Spagna e la formazione dello Stato catalano. Un percorso che dovrebbe durare due anni, con l’approvazione di una costituzione catalana da sottoporre ad un referendum.

Ovviamente Mas, che vorrebbe rompere con Madrid, ma rimanendo nell’euro e nell’UE, mette nel conto una difficile fase di negoziati con il governo spagnolo e con  le istituzioni europee. Nelle sue parole tutto sembra semplice e tranquillo, ma ben difficilmente le cose potranno andare così.

Intanto bisognerà aspettare il risultato di domenica.

Un risultato che verrà sostanzialmente deciso dal rapporto di forza tra tre fronti: quello indipendentista, quello nazionalista centralista spagnolo e quello che, pur contrario alla secessione, sostiene «il diritto a decidere» dei catalani.

Il fronte indipendentista è formato da due liste: la prima è una coalizione molto vasta (Junts pel Sì), formata dalle forze che hanno governato in questi anni la Catalogna, e guidata appunto da Mas; la seconda è quella della CUP (Candidatura d’Unitat Popular) una formazione di sinistra, nazionalista ma anticapitalista ed assolutamente contraria alle scelte liberiste ed austeritarie di Mas. Insomma, la CUP è favorevole al processo di secessione, ma contraria alla politica di Mas che inevitabilmente sarà alla guida di tale processo: un bel dilemma.

Anche il fronte spagnolista è composto da due partiti: il Partido Popular al governo a Madrid eCiudadanos, una formazione nata proprio in Catalogna, ma adesso con grandi ambizioni in vista delle elezioni politiche del prossimo 20 dicembre. Ciudadanos sembra quasi una versione spagnola del renzismo, rappresentata da un mix di propaganda rottamatrice ed anti-casta ben impastata ad una visone e ad un programma ultra-liberista.

Sul terzo fronte, quello del «diritto a decidere» ci sono diversi partiti e coalizioni. C’è il Partito socialista di Catalogna (Psc). C’è la coalizione Catalunya Sì que es Pot che include tra gli altriPodemos ed Esquerra Unida. C’è, infine, una formazione (UdC – Uniìo Democratica de Catalunya)  in precedenza alleata con la coalizione che ha sostenuto il governo di Mas.

Come si vede il quadro è particolarmente variegato, ma tutti i sondaggi danno agli indipendentisti la maggioranza assoluta. Bisognerà vedere se sarà davvero questo l’esito delle urne. E bisognerà vedere – aspetto tutt’altro che secondario – se alla maggioranza di seggi corrisponderà anche una maggioranza di voti. Un fatto questo che potrebbe influire nelle scelte della CUP, qualora (come sembra assai probabile) i suoi voti si rivelassero decisivi nell’avviare il processo secessionista.

Fin qui la fotografia delle forze in campo prima dello scontro elettorale di domenica. Ma, in attesa dei risultati, cosa ci dice la vicenda catalana?

Essa ci dice essenzialmente una cosa: quanto siano forti oggi le spinte disgregatrici nell’Unione Europea. Certo, anche gli indipendentisti catalani (ma non la CUP) vogliono restare nell’euro e nella UE. Ma sarà possibile? Stando a quel che dice la Commissione europea – «Se una regione cessa di far parte di uno Stato membro, i trattati non si applicheranno più su quel territorio» – assolutamente no. Del resto sarebbe piuttosto strano il contrario. A meno che la separazione sia consensuale, ipotesi al momento del tutto impensabile.

Ma, al di là di quel che accadrà da domenica in poi, chiediamoci intanto una cosa: come mai i nodi della questione catalana – che potrebbe aprire il vaso di Pandora delle altre nazionalità presenti nello Stato spagnolo – viene al pettine proprio ora? Sarebbe accaduta la stessa cosa se non ci fosse stata la crisi sistemica e quella dell’euro? Difficile crederlo. Quasi impossibile.

Così come non è un caso che la Scozia sia arrivata ad un pelo dalla secessione giusto un anno fa, è chiaro che anche la vicenda catalana risente per tanti motivi delle spinte centrifughe presenti oggi nell’UE. E la stessa cosa si può dire per il referendum previsto in Gran Bretagna nel 2017.

Dopo le vicende greche, e la “normalizzazione” vestita da Tsipras messa a segno con il voto di domenica scorsa, in tanti si sono rimessi a decantare la forza imbattibile del progetto eurista, la sua capacità di superare ogni ostacolo. Di sicuro non possiamo negare la vittoria ateniese di lorsignori, ben segnalata dagli indici borsistici e dalla soddisfazione degli editorialisti mainstream. Resta il fatto che, messa temporaneamente da parte la crisi greca, grane ancora più serie potrebbero ben presto piombare sul cielo di Bruxelles. Quella catalana – pur nella sua evidentissima contraddittorietà – è certamente una di queste.

2 pensieri su “CATALOGNA di Emmezeta”

  1. Anonimo dice:

    Come faranno a ottenere l'indipendenza se la costituzione spagnola vieta le secessioni?

  2. Luca Tonelli dice:

    se quella catalana fosse una grana avremmo già sentito la solita tiritera dei burocrati UE sgolarsi contro Mas.Non è successo. per cui è tutto regolare.anzi….fin quando Mas rassicura sul restare nell'eurozona e nell'UE ai burocrati UE farà anche piacere qualche disgregazione dei vetusti stati nazione.

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