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SPERANZA DI CHE?

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( 15 ottobre 2018 )

Il convegno ITALIA AL BIVIO, DA CHE PARTE VA LA SINISTRA, svoltosi sabato a Roma è stato un successo — chi non c’era può verificarlo andando al nostro canale youtube.

Cosa volevamo venisse fuori da questo convegno? Non solo mostrare che P101, in barba ai tentativi di ostracizzazione e di oscuramento, c’è. No, non è solo per questo che siamo soddisfatti. Lo siamo perché abbiamo dato una spinta alla costituzione di un polo politico della Sinistra Patriottica. I prossimi mesi, ne siamo sicuri, lo confermeranno.

Andiamo subito al sodo. Di cosa infatti c’è bisogno nel nostro Paese? Di una sinistra d’alternativa che affermi l’unità inscindibile dei principi politici (non quindi solo meri “valori”) dell’eguaglianza sociale, del potere popolare e della sovranità nazionale.

Affinché questa sinistra sorga e prenda forma c’è un atto preliminare da compiere: tagliare i ponti con la sinistra realmente esistente, quella che abbiamo chiamato “transgenica”. Un taglio doloroso, che quindi spiega la difficoltà a farlo da parte di tanti compagni che pur hanno compreso la sua inevitabilità.

Con la nave della sinistra che affonda, l’alternativa è perire o calare la scialuppa di salvataggio e affrontare la tempesta malgrado non ci sia certezza di portare in salvo la pelle. Chi in politica vuole certezze è meglio che cambi mestiere. 

Il Paese vive un momento di straordinaria importanza. Potrebbe presto trovarsi, come altre volte accaduto, in una situazione d’emergenza, sotto l’attacco di forze globaliste ed eurocratiche potentissime che vogliono punire la sua insubordinazione. Una sinistra degna di questo nome è in questo secondo campo che deve stare, malgrado sia presidiato da due forze populiste con cui abbiamo ben poco a che spartire. Sarebbe bello avere un terzo campo tra la sottomissione e la ribellione populista, ma esso non ci sarà e, almeno in questa fase, sarà vano spendere energie a costruirlo.

Ma c’è modo e modo si stare. Non ci sfugge che il populismo porta seco pulsioni reazionarie che vanno combattute. Ma queste coabitano, qui una caratteristica di ogni populismo, con spinte sociali opposte. Per questo ogni populismo è per sua natura instabile, precario, mutante. 

L’uno, sosteneva il filosofo, è destinato a scindersi in due. Questa condanna, prima o poi, si abbatterà anche sul campo populista. I poteri forti lo sanno e tramano affinché questa scissione maturi adesso e si risolva a loro favore. Mentre occorre dare una mano ai populisti a resistere, a non piegare il capo, bisogna agire pensando al dopo, organizzarci per portare nel campo populista la sfida per l’egemonia. 

Per questo serve, al di là delle chiacchiere postmoderne sulla “società liquida” e la fine delle “meta-narrazioni”, un Partito che, mentre gli sta accanto per evitare che il nostro Paese soccomba, opponga ai populisti un diverso progetto di Paese, per dirla tutta un’alternativa visione del mondo.

2 pensieri su “SPERANZA DI CHE?”

  1. Anonimo dice:

    Positiva l'iniziativa, positivo l'entusiasmo, ma la domanda sorge spontanea: i relatori, dalle diverse storie e provenienze, che hanno partecipato al convegno sono disposti a rinunciare alle loro prebende e costruire una sinistra patriottica?

  2. Anonimo dice:

    Nell’articolo SPERANZA DI CHE? pubblicato su Sollevazione dopo la riunione di sabato 13 a Roma fra l’altro si legge “Andiamo subito al sodo. Di cosa infatti c'è bisogno nel nostro Paese? Di una sinistra d'alternativa che affermi l'unità inscindibile dei principi politici (non quindi solo meri "valori") dell'eguaglianza sociale, del potere popolare e della sovranità nazionale” viene espressa e formulata una precisa risoluzione politica che ha come cifra l’ennesima riproposizione della necessità della creazione di una (ancora un’altra!) nuova sinistra alternativa fondata sui principi politici dell’uguaglianza sociale, del potere popolare e della sovranità nazionale senza fare nessun riferimento al modello politico economico a cui ci si ispira e si fa riferimento perseguendo nel limite tragico della proposta politica che fin dalla sua nascita (i gruppetti degli anni settanta) per giungere fino a noi (sinistra madonnara) ha marchiato e caratterizzato in negativo quella che si è sempre autodefinita sinistra alternativa caratterizzata da un minoritarismo culturale congenito associato ad una mancanza di capacità di elaborare una propria originale proposta strategica culturale e politica in grado di renderla egemone e vincente, rilegandola così, sempre o a mera Cassandra o a spocchiosa ed inutile maestrina, sempre distante e scollegata proprio da quella stessa massa-popolo che avrebbe voluto rappresentare. Affermare ancora “Con la nave della sinistra che affonda, l'alternativa è perire o calare la scialuppa di salvataggio e affrontare la tempesta malgrado non ci sia certezza di portare in salvo la pelle. Chi in politica vuole certezze è meglio che cambi mestiere”. Ritenere che chi in politica vuole certezze è meglio che cambi mestiere è certamente una giusta cosa però, contestualmente, nello stesso modo perentorio, andrebbe contestato a chi non è disposto per convenienza politica o per una scarsa convinzione nell’ideale politico a cui dice di fare riferimento che anche per lui è meglio non tentare di cimentarsi in questo “mestiere” perché è ugualmente condannato a fallire in modo ancor più tragico e miserevole. Chi si oppone a questo sistema capitalista e fonda la sua azione e prospettiva di lotta politica sulla fredda analisi del presente e su di essa costruisce con un pragmatismo imbelle e rinunciatario il suo agire politico (pessimismo della ragione) può essere certamente definito di “sinistra” si!! ma quella riformista che storicamente ha sempre fallito perché succube e prigioniera di un gradualismo senza futuro che la conduce ad essere sempre impreparata e non attrezzata quindi inutile quando non dannosa per contenere, contrastare e sconfiggere gli attacchi sistematici che i dominanti portano nei confronti dei dominati ma vi è e ci può essere anche un’altra “sinistra”, quella rivoluzionaria che non condiziona e modula la sua visione e azione politica in rapporto e in conseguenza del “pessimismo della ragione” ma lo supera e va oltre modulando il proprio agire e operare politico partendo dalla irrinunciabilità del “ottimismo della volontà” solo “carburante politico” che nella loro storia hanno avuto a disposizione i rivoluzionari per alimentare e far progredire la “macchina” della liberazione ed emancipazione degli ultimi e dei poveri dal dominio politico e assoggettamento economico che il sistema liberal capitalista da sempre vuole imporre a loro e non potrà  mai essere vano tentare di costruirla.pasquino55

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