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IL PUTINISMO E LO SPIRITO NAZIONALE RUSSO di O.G.

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La Russia di Vladimir Putin non ha una propria identità nazionale?

L’ultimo numero di Limes, “Rivista italiana di geopolitica”, “CCCP: un passato che non passa”, afferma che non solo vi sarebbe una continuità diretta tra zarismo, Stalin e Putin ma addirittura che i russi non vedrebbero l’ora di ritornare a un regime simile a quello marxista e internazionalista sovietico. In realtà Zjuganov, il comunista internazionalista filocinese, ha avuto nelle recente elezioni un significativo incremento ma la Duma è rimasta saldamente nelle mani dei “nazionalisti” putiniani. Gli analisti e gli autori del presente saggio affrontano la storia sovietica senza nemmeno citare “Le fonti e lo spirito del comunismo russo” di Berdjaev, un capolavoro teorico che in poche decine di pagine è capace di delineare l’essenza del marxismo-leninismo applicato al progetto sovietico. Gli autori non citano nemmeno Ivan Ilyn e le motivazioni profonde, religiose, del suo antimarxismo radicale e della sua aperta apologia di regimi quali quello fascista, nazionalsocialista, franchista. Sarebbe stato però necessario in quanto Vladimir Putin ha costantemente interpretato “gli spiriti della rivoluzione russa” con la medesima visione di Berdjaev da una lato, di Ilyn dall’altro. In sostanza per Putin e per i verticalisti del potere l’Urss ha fallito laddove fallì prima ancora lo zarismo. Non fu in grado di salvaguardare e modernizzare l’eterna identità nazionale grande-russa. Dire perciò oggi che il passato sovietico non passa significa condannare storicamente il Putinismo e darlo già come sconfitto nell’odierna guerra di civiltà. Vladimir Putin, per gli analisti di “Limes”, ha dunque fallito laddove fallirono Nicola II e i burocrati sovietici: proprio sulla questione dell’ Identità Nazionale grande-russa.

La Resistenza nazionale russa come fattore imprevisto

Limes pochi mesi fa, in corrispondenza con i marginali moti navalnyani di scuola britannica e atlantica – che guarda caso incontrarono consensi e tra le sinistre radicali interne neo-sovietiche e tra alcune fazioni delle destre estreme filoucraine e filoazoviane -, dava come assai probabile il crollo del Putinismo e della Russia, che sarebbe stata inghiottita e spartita dall’Imperialismo Cinese a Est, da quello Atlantico a Ovest (CFR Limes 6/2021). Il limite delle analisi che si susseguono sulle riviste specializzate da mesi sulla Russia pare sempre il medesimo: se correttamente l’identità nazionale americana viene letta alla luce dello sforzo militaristico-tecnocratico che ha ne caratterizzato l’ascesa con il suo universalizzatore balzo di coscienza, se correttamente la Cina di Xi Jinping è caratterizzata per il suo nuovo impeto di nazionalismo Han panasiatico e neo-confuciano il cui motivo principale è riportare la Grande Cina millenaria al centro, si sbaglia di grosso qualora si applicano allo spirito nazionale russo questi medesimi punti di osservazione. Ai giornalisti che un giorno, alla fine degli Anni ’90, gli chiesero come la Russia si sarebbe potuta salvare dalla catastrofe incombente, Solzenicyn rispose pacatamente: “La madre di Dio non si è dimenticata della nostra Russia”. Per tentare di interpretare la nuova identità della Russia, nella guerra liminale tra le tre potenze sovrane (Cina Usa Russia), è quindi necessario non trascurare quell’elemento immateriale e misterioso che gli stessi Berdjaev e Ilyn posero al centro dell’Apocalisse che ebbe inizio nel ’17 e che si sarebbe ampliata negli anni successivi. Oggi la Resistenza nazionale russa di fronte ai due Imperialismi (Est e Ovest),  e a differenza dei due Imperialismi, gode sicuramente di questo capitale storico immateriale e adamantino. Tale Resistenza ha rappresentato non a caso il fattore imprevisto della storia contemporanea, mandando in frantumi il disegno globalista di Davos e delle tecnocrazie orientali e occidentali. Solzenicyn aveva ragione!

Bolscevichi o Wagneriani?

Gli analisti italiani prendono assai sul serio gli ideologi della Tecnocrazia Eurasiana, come ad esempio Sergej Karaganov, o i rampanti manager filocinesi come Kuznecov e Voskresenskij. In realtà, con la nomina di Mikhail Misustin  – un tecnocrate cultore della digitalizzazione – al premierato e con la partnership economica e finanziaria tra Mosca e Pechino sempre più radicata, vi sarebbero validi e seri motivi per interpretare gli ultimissimi anni del Cremlino come contrassegnati da una definitiva “svolta asiatica” sulla via di una tecnocrazia simile a quella di Pechino. Vi è dunque, sul campo, la possibilità sperimentale, fortemente caldeggiata dai Comunisti di Zjuganov e da altre fazioni di Sinistra radicale da un lato, dai Tecnocrati eurasiani dall’altro, che si arrivi a una irreversibile integrazione di civiltà tra Mosca e Pechino. In realtà Tatjana Stanovaja, la maggiore analista delle lotte di fazioni tra i vertici russi, in recenti articoli pubblicati in Russia ha ben rilevato come lo spirito della “Brigata Wagneriana” si vada fortemente facendo strada anche tra le elite russe più gelose della propria storia. Il constante e obbligatorio conflitto con l’Occidente genderista e moralmente perverso non deve significare – per i Wagneriani – lo scioglimento del millenario spirito nazionale russo, della sua gloria, in una vaga e “neo-socialista” e orwelliana civilizzazione neo-eurasiana. Il Wagnerismo, che possiamo considerare il guardiano dei più profondi e radicati valori dello spirito nazionale russo, è secondo la Stanovaja la fazione più potente e influente tra quelle presenti ai vertici; quella wagneriana non solo sarebbe la falange più “conservatrice” e patriottica, ma anche quella che avrebbe ormai l’ultima parola su questioni politiche e militari decisive. In un contesto di guerra globale liminale sempre più avanzata – dal fronte caldo militare a quello batteriologico e informatico – è facile immaginare che la falange Wagneriana sarà sempre di più, ben al di là delle analisi di Limes e ben al di là dei “tecnocrati” vicini al Cremlino, il guardiano dei destini della santa Russia.

2 pensieri su “IL PUTINISMO E LO SPIRITO NAZIONALE RUSSO di O.G.”

  1. Nello dice:

    Vorrei fosse spiegato il senso dell’aggettivo “wagneriano”. Io capisco un riferimento al mito nibelungico e all’anticapitalismo romantico di Wagner derivante dal collasso dell’universalismo romantico e dalla materializzazione dello spirito (vedi circoli di Heidelberg e di Berlino contra Romanticismo di Jena),ma cosa ha a che fare tutto ciò con la Russia?

  2. Pingback: HEGEL A PECHINO di O.G.
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