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IL CASO TSIPRAS: FISICA E METAFISICA DEL “TRASFORMISMO” di Manolo Monereo

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[ 24 settembre]


Una riflessione lucida e implacabile del nostro compagno Manolo Monereo sullo psicodramma greco e la capitolazione di Tsipras.
Loro, quelli che comandano, non sbagliano mai. E di solito hanno ragione. La loro specialità è quella di cooptare, integrare, domare i ribelli al fine di garantire che il potere di chi governa davvero (e non si presenta alle elezioni), si perpetui e si riproduca. 

Il trasformismo è proprio questo: uno strumento per allargare le file della classe politica dominante, integrando i ribelli, i rivoluzionari, assumendone alcune delle richieste allo scopo di neutralizzare e dividere le classi subalterne. 

La chiave è questa: affinché il soggetto popolare sia non solo vinto ma sconfitto, è necessario cooptare i loro capi, i loro leader. In questo modo si blocca la speranza, si alimenta il pessimismo e si dimostra che, alla fine, tutti sono uguali, tutti hanno un prezzo e che non vi è alternativa a quella esistente. L’organizzazione pianificata della rassegnazione.

Con Tsipras non è stato facile. Era un riformista sincero nonché un europeista convinto, tra coloro che pensavano di poter strappare delle concessioni da parte dei partner europei; che questi li si poteva convincere che le politiche di austerità non erano solo ingiuste ma profondamente inefficaci e che per poter pagare il debito si dovevano promuovere un insieme di politiche differenti, volte a rilanciare l’economia, che ponessero fine al disastro umanitario che vive il Paese; che la sovranità popolare sarebbe stata compatibile con l’adesione all’Unione europea. Varoufakis è stato il volto e gli occhi di questa strategia negoziale che, ad un certo punto, egli ha definito kantianamente, vale a dire basata sulla ragione e sulla ricerca dell’interesse comune.

La storia è nota. Oggi sappiamo che questa strategia si è risolta in un fallimento clamoroso: non si è mai riusciti a dividere i più potenti Stati europei e lo Stato tedesco è risultato chiaro e definitivo sin dall’inizio. Tutto questo lo sappiamo proprio da Varoufakis, che ha raccontato questo autentico “calvario” che non è mai veramente stato una trattativa e che, fin dall’inizio, è stato un ricatto in piena regola, un “prendere o lasciare”, il tutto mentre la pressione costante e permanente della Bce prosciugava la liquidità e le istituzioni europee negavano crediti.

Diciotto a uno. Così si è svolto questo processo, che aveva tre obiettivi chiave. 

Il primo, combattere il cattivo precedente greco in maniera chiara e netta: i paesi indebitati del Sud non possono avere altre politiche economiche se non quelle dettate dalla Troika. 
In secondo luogo, sostenere fortemente i governi delle destre e socialdemocratici, che, in un modo o nell’altro, in un momento o in un altro, si sono inclinati alle politiche imposte dallo Stato tedesco; questi partiti rimangono assolutamente necessari per garantire le politiche neoliberiste dominanti e in nessun caso li può lasciare cadere, soprattutto quando emergono forze alternative, quelle che nella Ue sono bollate come populiste. 
In terzo luogo, il vero messaggio viene inviato ai popoli, soprattutto al Sud, è che questa Unione europea, le sue politiche e le relazioni di potere reali, non hanno alternativa. Ciò che rimane è la strategia della paura: o si accettano o si avranno il caos e la catastrofe economico dell’uscita dell’euro.

Sotto molti profili il caso greco è assolutamente eccezionale. La Grecia è un vecchio-giovane paese con una profonda tradizione politica e culturale, con una forte identità di un popolo ed un grande senso patriottico. Si era prodotta in questi anni una simbiosi, un nuovo rapporto tra la difesa dei diritti sociali, l’indipendenza nazionale e l’unità di una gran parte del popolo intorno al sostegno alle classi lavoratrici, ai poveri ed ai giovani che stavano subendo una grave regressione delle loro condizioni di vita e di lavoro. Tutto questo ha finito per essere identificato con due nomi: Tsipras e Syriza. L’esempio più chiaro di questo è stata la vittoria nel referendum in un paese, non bisogna dimenticarlo, che stava vivendo un “corralito”*, con continue minacce da parte dell “autorità europee” e con i mass media a favore del “sì” .


Che alla fine Tsipras si sia rivelato l’anello più debole della catena ci obbliga a riflettere a fondo. 

In primo luogo, l’enorme pressione portata della troika, in un senso molto preciso e troppo spesso dimenticato: ciò che abbiamo davanti è un’alleanza strategica tra le istituzioni europee e le potenze economiche dominanti di ogni singolo, a sua volta garantita dal governo tedesco. Per essere più precisi: le classi economicamente dominanti sono d’accordo con questa Europa che è l’Unione europea e con il ruolo assegnato a questi paesi nella divisione del lavoro che si va definendo con e nella crisi. 
In secondo luogo, quello che Tsipras e la destra di Syriza hanno manifestato è una posizione ideologica confusa che, alla fine, si è convertita in un’enorme debolezza. Mi riferisco al cosiddetto “europeismo”. Riformismo socialdemocratico ed europeismo sono stati strettamente correlati. Si potrebbe dire che la bandiera dell’europeismo è servita a camuffare la crisi del progetto socialdemocratico poggiante su tre idee basilari: che la Ue era è l’unica forma possibile di costruzione europea; che l’Unione europea è un bene in sé, a prescindere dal conflitto sociale e la distribuzione del potere tra gli stati e le classi; e che lo Stato nazionale è diventato una reliquia che necessariamente si deve superare nel processo di integrazione europea.

La mancanza di un piano B nel processo di negoziazione ha a che fare, a mio parere, con la posizione politica che ho cercato di definire. E’ emerso chiaramente che per Tsipras era inimmaginabile una Grecia fuori dall’euro e al di fuori delle istituzioni dell’Unione europea, anche se ciò avrebbe significato la rovina finanziaria del proprio paese, il mantenimento del degrado delle condizioni sociali della maggioranza della popolazione e l’accettazione che lo stato greco è, di fatto, un protettorato dei paesi creditori.

La troika ha chiaramente raggiunto i suoi obiettivi. Le politiche perseguite da Tsipras e dal suo governo dopo la capitolazione (così definita Varoufakis) ci impediscono di essere ottimisti. La strada indicata adottata dalle istituzioni europee sono conforme alla lettera, a volte si ha l’impressione di trovarsi di fronte alla “furia del convertito”. Ci sono prove che ci portano a pensare che la cosa peggiorerà. Tsipras sapeva meglio di chiunque altro di non avere assicurata la maggioranza nel prossimo Congresso di Syriza. La richiesta di nuove elezioni non ha nulla di eroico. Sapendo che le cose nel suo partito si mettevano male, ha preferito le elezioni generali per ottenere tre risultati con una mossa sola: tenersi il nome del partito, promuovere la divisione di Syriza evitando il dibattito democratico impedendo qualsiasi sfida alla sua leadership e, infine, cercare il sostegno popolare prima che comincino a manifestarsi gli effetti economici e sociali delle politiche di austerità imposte dalla troika, accettate dalla maggioranza del parlamento greco.

Tsipras certamente vincerà [le elezioni del 20 settembre, Ndr], ma il suo partito avrà già cambiato natura e il movimento popolare e democratico sarà disarticolato per molto tempo. Nulla sarà come prima. Ricostruire dal basso l’alternativa dopo la sconfitta chiede tempo, intelligenza e un particolarmente forte impegno morale. Tsipras ora appare come un coraggioso, responsabile e realista, mentre gli altri, gli amici ed i compagni di ieri, massimalisti, populisti ed euroscettici. Quelli che comandano vincono ancora: sapremo apprendere dall’esperienza altrui?, o meglio, da un paese straniero? La vita lo dirà.

* Corallito: è il termine con il quale fu denominata durante la crisi economica argentina la restrizione della libera disposizione di denaro in contanti da conti correnti e casse di risparmio, imposta dal governo di Fernando de la Rua nel dicembre 2001, e che durò per quasi un anno fino all’annuncio della liberazione dei depositi il 2 dicembre 2002. In seguito a tale avvenimento, il termine è stato adottato da tutti i paesi di lingua spagnola e non.

L’obiettivo di queste restrizioni era quello di evitare l’uscita di denaro dal sistema bancario, cercando così di evitare un’ondata di panico bancario e il collasso del sistema. Secondo Domingo Cavallo, allora ministro dell’Economia, questa misura era positiva al fine di raggiungere un maggiore uso dei metodi di pagamento elettronico, evitando così l’evasione impositiva e rendendo la popolazione più dipendente dalle banche.

** Fonte: Cuarto Poder
*** Traduzione a cura della redazione

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