[ 27 ottobre ]
Dalle urne polacche e dal colpo di Stato europeo in Portogallo arrivano cinque lezioni formidabili.
I fatti: il Presidente della repubblica portoghese Anibal Cavaco Silva si è rifiutato di dare l’incarico per formare il nuovo governo al segretario socialista Antonio Costa —malgrado questi disponesse della maggioranza parlamentare grazie all’accordo (pur traballante) siglato con i comunisti no-euro e la nuova sinistra euro-critica. L’incarico è stato assegnato al primo ministro uscente, fedele alla setta ortodossa eurista ed austeritaria, Pedro Passos Coelho, e ciò malgrado questi non disponga della maggioranza dei seggi. Nascerà dunque un governo di minoranza. Un vero e proprio golpe compiuto per conto dell’eurocrazia ed in nome dell’Unione europea germanizzata.
Perché questo atto d’imperio? Il Presidente portoghese ha testualmente affermato:
«In 40 anni di democrazia, nessun governo in Portogallo è mai dipeso dal sostegno delle forze anti-europee, vale a dire forze che hanno fatto una campagna per abrogare il trattato di Lisbona, il Fiscal Compact, il Patto per la crescita e la stabilità, forze che hanno fatto appello allo smantellamento dell’unione monetaria per portare il Portogallo fuori dall’euro, oltre ad aver chiesto lo scioglimento della NATO. (…) “Questo è il momento peggiore per un cambiamento radicale dei fondamenti della nostra democrazia. (…) Dopo che abbiamo eseguito un programma oneroso di aiuti finanziari che comporta pesanti sacrifici, è mio dovere, usare i miei poteri costituzionali, fare tutto possibile per evitare che vengano inviati falsi segnali a istituzioni finanziarie, investitori e mercati».
Si apre in Portogallo una fase di acuta instabilità politica. A gennaio verrà eletto il nuovo Presidente della Repubblica, il quale presumibilmente dovrà sciogliere le camere ed indire nuove elezioni per la primavera 2016.
Prima lezione proveniente da Lisbona, a conferma di quanto chi voleva sapere sapeva già: soprattutto negli stati “periferici” la democrazia è soppressa. In barba al voto popolare l’eurocrazia decide chi debba governare e chi no. Questi paesi sono quindi sotto un regime di protettorato esterno.
Seconda lezione: le elezioni a poco servono, se non per confermare quanto detto sopra. O i popoli oppressi si sollevano o per loro non c’è scampo al destino di miseria e umiliazione.
Terza lezione: suonano, dopo quelle di SYRIZA, le campane a morto per quella sinistra che si ostina a voler restare nella gabbia dell’Euro(pa).
La medesima lezione arriva, per la sinistra che si ostina a credere nella riformabilità dell’Euro(pa), dalle urne polacche. La sinistra polacca ha subito una cocente sconfitta, nessuna lista riuscendo ad eleggere nemmeno un parlamentare, punita dal suo cieco europeismo, dal suo apparire una corrente globalista e tenacemente antinazionale.
«Addio alla Polonia europeista dei liberal, addio agli otto anni di governo di Platforma in cui l’economia è cresciuta del 50 per cento e oltre coi conti sovrani sotto pieno controllo. Alle elezioni politiche svoltesi nel paese più importante (per peso demografico economico politico geopolitico e militare) dell’Est di Unione Europea e Alleanza atlantica, i nazionalconservatori di Prawo i Sprawiedliwosc, PiS, Diritto e Giustizia, il partito il cui leader storico Jaroslaw Kaczynski è ritenuto uno dei più influenti euroscettici del continente, hanno stravinto, oltre ogni previsione dei sondaggi, e potranno governare da soli con in mano oltre metà dei seggi del Sejm (Dieta, la decisiva camera bassa del Parlamento, mentre il Senato ha 100 seggi uninominali)».
Dimenticano di dire, gli zelanti pennivendoli, quali sono stati i pesantissimi costi sociali delle politiche neoliberiste imposte dall’Euro-germania alla Polonia e applicate dal governo liberale: bassi salari, precarizzazione, peggioramento delle condizioni di vita, privatizzazioni e svendita dei beni pubblici, predominio dei capitali stranieri, sudditanza politica totale verso il vicino imperialismo tedesco.
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Jaroslaw Kaczynski, leader di Diritto e Giustizia |
I media europei di fede eurista imprecano contro il…”populismo” della destra nazionalista di Diritto e Giustizia di Jaroslaw Kaczynski. Gli vien comodo spiegare questa vittoria in base alle parole d’ordine xenofobe e autoritarie. Purtroppo non è così. Non è così semplice. Milioni di polacchi di umili condizioni, molti dei quali sfruttati nelle aziende di proprietà delle multinazionali, magari tedesche e italiane, hanno votato Diritto e Giustizia per le sue rivendicazioni sociali: fine delle politiche di austerity portate avanti dai liberali, abbassamento dell’età pensionabile dai 67 attuali a 65 anni, istituzione di assegni familiari di 125 euro per ogni secondo figlio, aumento delle spese per le politiche di assistenza sociale, lotta contro la disoccupazione e politiche attive per far rientrare in patria tanti emigranti, anzitutto giovani, il tutto da finanziare con aumenti delle imposte sulle banche (in gran parte in mano straniera).
Viene quindi una quarta lezione dalle elezioni polacche: quando la sinistra non fa il suo mestiere, quando lecca il culo alle élite dominanti e dimentica i bisogni e le aspettative della sua base sociale, c’è sempre una destra pronta ad occupare i suoi spazi ed a prendere il suo posto.
Quinta ed ultima lezione: anche la Polonia dimostra che sta finendo un po’ dappertutto, seppure con ritmi differenti, l’effetto lisergico della droga globalista ed europeista. La fine della sbornia porta alla luce sentimenti nazionali e patriottici. Questa tendenza è solo ai suoi inizi e tenderà a dilagare, pur con diverse declinazioni nei diversi paesi.
La Polonia suona la campana a morto per ogni sinistra che non si sbarazzerà per tempo di ogni codismo ideologico verso le élite globaliste dominanti.
Resisteranno ed avanzeranno solo quelle forse di sinistra e popolari che sapranno declinare patriottismo ed internazionalismo, democrazia ed eguaglianza sociale.
Resisterà e avanzerà solo quella sinistra (o quella forza politica qualsiasi) che avrà la capacità di proporre e fare accettare un progetto basato sulla ALLEANZA FRA CLASSE MEDIA E LAVORATORI.Per classe media intendo i piccoli e micro imprenditori, la società civile dei professionisti come avvocati ingegneri medici commercialisti etc etc, quella parte di media imprenditoria legata in maniera indissolubile, per ragioni produttive e commerciali, al suo territorio nazionale. Anche nell'ambito dei lavoratori esiste una importante distinzione: vanno uniti nello stesso progetto i lavoratori col posto fisso e quelli di alto livello con i precari e quelli con meno abilità e competenze. Se ci si dimentica del disprezzo e della discriminazione che i "posto fisso" riservano ai precari, che vedono come quelli che gli stanno peggiorando il contratto, non si riuscirà mai a creare un fronte unito.Abbandoniamo AL PIÙ PRESTO gli slogan basati sulla lotta di classe e ritraduciamo il concetto che in sé stesso ha un nucleo di validità: lotta di classe significa che gli oppressi prendono coscienza del loro ruolo indispensabile nel processo produttivo e quindi comprendono di avere un peso politico da far valere A PATTO DI UNIRSI IN UN BLOCCO UNICO.Allora non deve essere più "lotta di classe" ma lotta degli sfruttati contro gli sfruttatori, lotta dei consumatori contro i produttori che li vogliono relegare in un ruolo subalterno (appunto il consumatore "e basta"), lotta di tutti i popoli uniti al loro interno dalla cultura e dal territorio MA TUTTI AFFRATELLATI CONTRO IL COMUNE NEMICO APOLIDE.Limitarsi al "prima noi poi gli stranieri" è pericolosissimo; prima la Patria, siamo d'accordo, ma perché si possa avere successo occorre assolutamente che le diverse "Patrie" si riconoscano unite PONENDO UN NEMICO COMUNE CHE È LA GRANDE "NON PATRIA" DEL CAPITALISMO APOLIDE DELLA GRANDE FINANZA.Per questo servono parole d'ordine, slogan forti, concetti nuovi, si deve suscitare rabbia e orgoglio PRIMA (PRIMA) DELLA CONSAPEVOLEZZA SCIENTIFICA E FILOSOFICA PERCHÈ QUESTA PROVIENE DA QUELLE E NON VICEVERSA.