USCIRE DALL’EURO È DI SINISTRA – Incontro con Domenico Moro
998 total views, 2 views today
![]() |
Domenico Moro |
letteralmente, visto che i Trattati possono essere cambiati soltanto all’unanimità), e che la moneta unica è in tutta evidenza quantomeno una parte significativa dei problemi che ci troviamo di fronte, preferiscono fuggire da un lato nel sogno radioso di un’“altra Europa” (senza mai riuscire a definirne né i contorni, né una strada concretamente percorribile per arrivarci), dall’altro in una cupa metafisica. Una metafisica dell’impossibilità (“uscire è impossibile”), dell’angoscia (“uscire sarebbe una catastrofe”) e della regressione (“uscire sarebbe storicamente regressivo”).
«L’internazionalismo, come parte del pensiero socialista del XIX e del XX secolo, non prescinde dall’esistenza delle nazioni e dagli Stati e ha un carattere collettivo e di classe. Infatti, si propone di superare le differenze e le rivalità nazionali e statali mediante la costruzione di una solidarietà e di una unità di intenti economici e politici tra classi subalterne e lavoratori salariati appartenenti a nazionalità differenti, nei confronti del capitale. L’internazionalismo tiene conto dell’esistenza delle nazionalità e sostiene il principio dell’autodeterminazione dei popoli, cioè il diritto alla separazione, come strumento di lotta contro l’oppressione dell’imperialismo e dei regimi autoritari e arretrati. Ma inquadra l’intera questione nazionale all’interno della difesa degli interessi generali del lavoro salariato e delle classi subalterne e lotta contro tutto quanto divida e metta in concorrenza i lavoratori, comprese le differenze nazionali.
Il cosmopolitismo, invece, prescinde dalle nazioni e ha un carattere individualistico. L’individuo si sente cittadino del mondo, invece che legato a una determinata comunità territoriale. Sul piano economico, il cosmopolitismo esprime l’aspetto della mobilità, una delle caratteristiche vitali del capitale, che richiede sia l’esistenza dello Stato territoriale, per le garanzie e le regole che questo può offrire, sia una ampia libertà di movimento al di sopra e attraverso i confini statali. Il cosmopolitismo nasce come ideologia nel periodo illuminista ed è fatto proprio dalla massoneria, organizzazione segreta che nasce con una impostazione universalistica, e in genere dalle élite capitalistiche legate a interessi globali e a reti di relazioni sovranazionali, piuttosto che soltanto a specifiche relazioni territoriali… Il carattere cosmopolita risulta accentuato in particolari momenti storici, ad esempio in quello attuale, quando si afferma la tendenza all’internazionalizzazione dei capitali. Le contemporanee élites transnazionali hanno un carattere marcatamente cosmopolita: studiano nelle stesse Università di prestigio mondiale, frequentano gli stessi circoli e gli stessi think tank internazionali (la Commissione Trilaterale, il Gruppo Bilderberg, l’Aspen Institute), hanno residenze nelle maggiori metropoli europee e statunitensi, ma soprattutto si incontrano nei consigli d’amministrazione di imprese e banche transnazionali. Il cosmopolitismo è alimentato da specifici meccanismi d’integrazione delle élites: gli interlocking directorates, che prevedono la partecipazione contemporanea a consigli d’amministrazione di imprese diverse, e il meccanismo delle “porte girevoli”, che si basa sulla alternanza di incarichi in imprese e banche, nell’amministrazione statale, negli organismi sovrastatali, e nelle istituzioni universitarie».
«l’Unione europea (Ue) e la Unione economica e monetaria (Uem) sono la manifestazione di una fase del capitalismo nella quale l’elemento cosmopolita ha maggiore peso sia rispetto alla fase classica dell’imperialismo territoriale degli anni tra il 1870 e il 1945, sia rispetto alla fase di decolonizzazione e di pre-globalizzazione tra il 1950 e il 1989, anno in cui con la dissoluzione dell’Urss si fa iniziare la cosiddetta globalizzazione, che poi non è altro che l’allargamento a livello mondiale del mercato capitalistico, mediante l’abbattimento o la restrizione delle barriere statali alla libera circolazione di capitale e merci. La Uem, infatti, favorendo e accentuando la fuoriuscita dei meccanismi dell’accumulazione dal perimetro di controllo dello Stato, asseconda lo spostamento del baricentro dell’accumulazione dal livello nazionale al livello sovranazionale».
«L’euro è stato lo strumento principale di riorganizzazione dell’accumulazione nella fase capitalistica globale, nelle specifiche e particolari condizioni economiche e politiche dell’Europa occidentale… In Europa continentale, soprattutto in Italia, Spagna e Francia, a causa dei particolari rapporti di forza economici e politici esistenti tra le classi sociali, si è reso necessario far ricorso alla leva del vincolo esterno europeo. Questa leva ha consentito di bypassare parlamenti e sistemi elettorali che, esprimendo interessi variegati, non consentivano la tanto auspicata governabilità, cioè la capacità dei governi di mettere in pratica le controriforme del welfare e dei mercati dei capitali, delle merci e del lavoro, volute dal capitale e imposte per suo conto dalla Bce e dalla Commissione europea».
«i concetti di nazione e di patria divengono lo strumento ideologico delle potenze europee nuove e vecchie in competizione, in Francia e in Italia così come in Germania, per la creazione di consenso attorno alle politiche imperialiste e infine per la mobilitazione delle masse nella guerra mondiale. Dalla nazione si passa quindi al nazionalismo, cioè a una concezione di superiorità della propria nazione sulle altre. In contemporanea, però, si assiste allo sviluppo del concetto di nazione in senso progressivo, cioè come lotta contro l’oppressione imperialista dei popoli, in Europa e soprattutto nelle colonie».
«il concetto di nazione viene egemonizzato ed esasperato dal fascismo e dal nazismo. L’idea di nazione e di patria riprende linfa soprattutto a seguito dell’invasione nazi-fascista dei Paesi europei, soprattutto dopo l’invasione dell’Urss. Qui il partito comunista fa appello a tutto il popolo per la difesa della patria nella lotta contro l’invasione nazista, che, infatti, verrà definita Grande guerra patriottica. Anche in Occidente la Resistenza è non solo lotta contro il fascismo ma insieme anche lotta contro l’invasore straniero. Di conseguenza, assume, tra le altre connotazioni, quella di guerra patriottica. Le formazioni partigiane italiane, indipendentemente dalla loro coloritura politico-ideologica, scelgono spesso di chiamarsi con nomi che si riferiscono a patrioti risorgimentali: Mazzini, Pellico, Menotti, fratelli Bandiera, ecc. Le stesse formazioni partigiane del Partito comunista italiano, maggioritarie nella Resistenza italiana, fanno frequente richiamo alla tradizione risorgimentale, assumendo ad esempio la denominazione collettiva di brigate Garibaldi». Dopo la guerra, il PCI di Togliatti come noto svilupperà, soprattutto dopo il 1956, la “via nazionale o italiana al socialismo».
»l’élite capitalistica ha abbandonato il concetto di nazione o, per essere più precisi, l’ha messo in secondo piano e reso subalterno all’autoregolazione del mercato, alle istituzioni sovranazionali. Mentre fino a qualche tempo fa esistevano interessi comuni, tra l’élite economica e i settori subalterni, o almeno la possibilità che si potesse stabilire un patto sociale a livello nazionale, oggi tale patto è stato stracciato proprio da quell’élite sempre più internazionalizzata. In questo modo, la precedente unità della comunità nazionale, per quanto abbia sempre escluso una parte più meno grande dei subalterni, si è profondamente incrinata… Il capitale ha stracciato il patto sociale keynesiano, cioè la base materiale della Costituzione, e oggi i suoi interessi, specie in Italia e negli altri Paesi più penalizzati dall’integrazione europea, si contrappongono oggettivamente agli interessi popolari, cioè a quelli della maggioranza della popolazione. Per il pensiero dominante il concetto stesso di popolo è ora “politicamente scorretto”, fino al punto che dichiarare di perseguirne gli interessi acquista una accezione negativa, diventando populismo».
«patriottismo costituzionale, cioè dell’appartenenza a una comunità nazionale condizionata al rispetto e al rilancio della Costituzione. Una Costituzione, però, non stravolta dalle modifiche richieste dall’Europa come è adesso, bensì nel suo impianto originario e soprattutto unita alla critica al capitalismo. Soprattutto ciò che distingue una concezione progressiva e attuale di nazione da una reazionaria e arretrata è la questione del potere. La concezione progressiva, infatti, basandosi sul principio della volontà popolare, si deve porre in prospettiva la questione della conquista del potere da parte delle classi subalterne e, nell’immediato, quella dell’azione per la modifica dei rapporti di forza tra le classi. Proprio per queste ragioni, il recupero della volontà popolare e del patriottismo costituzionale, nel contesto fortemente cosmopolita e internazionalizzato, non può che configurarsi, se vogliamo stare nel concreto e non nelle astrazioni teoriche, in termini nazionali e internazionalisti insieme. Però, solamente il recupero della volontà popolare e il miglioramento dei rapporti di forza a livello nazionale, nelle condizioni specifiche dell’integrazione europea, può porre le fondamenta per lo sviluppo di una politica internazionalista, che sia in grado cioè di costruire una collaborazione e una unità di intenti tra i salariati e i subalterni d’Europa».
«il ristabilimento di un contesto di lotta in cui i subalterni non siano sconfitti in partenza, mediante la reintroduzione di meccanismi economico-istituzionali che consentano di ridefinire rapporti di forza più favorevoli al lavoro salariato. Questi meccanismi si concretizzano, innanzi tutto, nella ricollocazione al livello statale del controllo sulla valuta, al fine di manovrare sui cambi e di attribuire alla Banca centrale il ruolo di prestatore di ultima istanza e di acquisto dei titoli di Stato.” Da questo punto di vista, osserva Moro,“l’uscita dall’euro… è una condizione certamente non sufficiente ma necessaria, sul piano politico, e non solo sul piano economico, per difendere gli interessi del lavoro salariato e soprattutto per ricostruire una strategia di cambiamento a livello europeo, cioè una strategia internazionalista. È una condicio sine qua non, senza la quale non si può né portare avanti una politica di bilancio pubblico espansiva, né un allargamento dell’intervento pubblico, mediante vere ripubblicizzazioni di banche o di aziende di carattere strategico, né tantomeno difendere efficacemente salari e welfare. All’interno dell’euro si può e si deve lottare per il lavoro, il salario e il welfare, ma non ci sono le condizioni per dispiegare fino in fondo e con efficacia tale lotta».
«i meccanismi dell’integrazione valutaria creano o approfondiscono le divisioni tra le classi operaie dei singoli Paesi, mettendole in competizione le une contro le altre sul piano salariale e della riduzione del welfare e dividendo i popoli in “cicale” e spreconi, come i greci e gli italiani, e in “formiche” e probi, come i tedeschi. Ben altro, quindi, che lo sviluppo di solidarietà e valori comuni, ben altro che il superamento del nazionalismo e la ricomposizione di classe grazie alla globalizzazione e all’Europa”. Contro tutto questo, “solamente una elaborazione politica che metta al centro la pratica dell’obiettivo del superamento dell’euro e dei trattati europei, collegandola a una critica dei rapporti di produzione, alla crisi del capitale e al neoliberismo, può permettere di rilanciare una politica che sia insieme efficace a livello nazionale e internazionalista a livello europeo, permettendo alla sinistra di ricreare una forza politica che non sia vista come residuale e ormai destinata al cimitero della storia».