LA VERITÀ IN BIELORUSSIA di A. Vinco
*sullo stesso tema: BIELORUSSIA. SOSTENERE LUKASHENKO? di Serguei Novikov
Secondo la stampa italiana mainstream (quindi anche quella della sinistra globalista), Putin non vedrebbe l’ora di dare avvio ad una lunga e permanente esercitazione militare in terra bielorussa, che sia così da monito ad ogni futura insorgenza nello spazio vicino.
In realtà, sia nella crisi di Minsk sia nella vicenda Navalny, ciò che sta emergendo è la forte e centrale trazione diplomatica e non militaristica esercitata dal Cremlino, di contro ai propositi ben più aggressivi che la Cancelliera (Kanzler) di Berlino e il rappresentante dell’UE, Josep Borrell, stanno manifestando.
Questi ultimi, probabilmente già certi che i Dem, fanatici russofobi anticristiani, tornino alla Casa Bianca per ridare finalmente avvio a una lunga stagione di fuoco e tensione nello spazio euro-russo assicurando alla Kanzler Frau Merkel e alla moribonda Deutsche Bank il tanto sospirato e dirimente Drang Nach Osten, sognano infatti una nuova Rivoluzione Arancione o di velluto che però, spiace per loro…, non c’è, né ci sarà.
Lo scenario bielorusso è ben diverso da quello dell’Euromaidan.
Non andrebbe dimenticato che in tempi recenti Lukashenko si era distinto per una strategia di chiara dissimulazione geoeconomica e geostrategica verso Mosca, aprendo su tutta la linea a Pechino: in ballo non ci sono solo i due miliardi di dollari che Xi aveva messo sul piatto per la “perla della Silk Road Economic Belt”, un parco di futuristica avanguardia tecnologica che la Cina avrebbe “donato” a Minsk, ma c’è soprattutto una vera e propria linea strategica filoeuropea e filocinese, portata avanti da Lukashenko negli ultimi tempi, non gradita a Mosca.
Del resto, la stampa russa da tempo sottolineava come Minsk, che aveva iniziato a importare petrolio occidentale mediante la Lituania, si era anche messa a disposizione di Xi Jinping per costruire un percorso di oleodotti alternativo a quello di Gazprom, su cui Pechino è costretta obtorto collo per ora a contare.
Il pesantissimo arresto, dello scorso luglio, di decine di volontari russi di ritorno dall’Africa, dove si erano recati per sostenere l’offensiva dell’Esercito Nazionale Libico di Haftar, operato inspiegabilmente dal presidente bielorusso avrebbe dovuto dire qualcosa alla stampa italiana, ma pare non aver detto nulla.
Va del resto precisato che il più grande partner economico della Bielorussia rimane comunque la Federazione russa con circa il 40% dello scambio. La via bielorussa, quindi, difficilmente anche su questo versante si potrà eccessivamente rappresentare, anche in un futuro più o meno prossimo, come eterodiretta da Berlino o da Pechino. Dmitry Peskov, di contro ai propositi bellicosi di UE e Berlino ed in parte dello stesso presidente bielorusso, ha gelato, proprio due giorni fa, la controparte di Minsk con autentica doccia fredda precisando che Mosca, allo stato attuale, non vede motivi per un interventismo militare diretto in Bielorussia. Allo stesso tempo, ha segnalato che non sarà tollerata alcuna interferenza dei mercenari “Rivoluzionari” del Deep State euroatlantico sul modello ucraino.
Ma anche tale prospettiva pare assai aleatoria e parlare di Maidan bielorusso sarebbe forzato; lo stesso ministro degli esteri russo Lavrov si è guardato bene dallo sposare su tutta la linea la retorica del presidente bielorusso precisando che le elezioni si sono svolte a Minsk “in modo non ideale” e le iniziali proteste di massa sono state patriottiche.
Non a caso è atterrato in queste ore in Bielorussia Dragomir Karic, console serbo di lungo corso, che sta trattando per una uscita indolore di scena del presidente bielorusso. La stessa Lituania ha risposto all’approccio diplomatico di Mosca, ripudiando le fughe in avanti “rivoluzionarie” su cui ha invece scommesso Berlino: il governo di Vilnius ha immediatamente detto di non riconoscere la Tikhanovskaya, che pur si trova in Lituania, come presidente.
Sia comunque chiaro che la stessa Tikhanovskaya rimanda a figure che in un modo o nell’altro risponderebbero in ultima istanza al capitalismo di stato moscovita o a Gazprom.
Al tempo stesso, però, va assolutamente dato il grande merito storico a Lukashenko di aver rifiutato, nello scorso gennaio, centinaia di milioni di dollari offertigli da OMS e FMI nel caso in cui avesse imposto il lockdown in Bielorussia.
Quali conclusioni trarre da un quadro così caotico e mutevole? Anzitutto che la stampa globalista italiana, russofobica nel dna, prende come al solito lucciole per lanterne e i sovranisti, “russofili di destra”, quasi in un strano gioco di coppia, ne seguono le indicazioni, per arrivare a posizioni solo apparentemente differenti. Globalismo di sinistra e sovranismo di destra costituiscono anche in tal caso i classici due volti della stessa moneta.
Immaginare un asse Pechino-Mosca è pura fantasia, come è pura fantasia immaginare l’interferenza russa nella competizione elettorale statunitense. Mosca non può avere alleati strategici, per storia e conformazione geografica. Ci torneremo su, se vi sarà modo, anche in relazione al contesto italiano.
In secondo luogo l’opposizione a Lukhashenko non è affatto, in larga maggioranza, russofoba e antiputinista. Tutt’altro. Quando iniziarono le prime rivolte contro i risultati elettorali, va ricordato, decine di combattenti patrioti della Federazione russa erano, contro ogni logica, detenuti nelle prigioni militari di Minsk e in Bielorussia lo sapevano tutti.
In terzo luogo, infine, va collegata la decisione del presidente Putin di lasciare trasportare il malato Navalny in un ospedale tedesco con l’approccio assolutamente diplomatico riservato alla crisi bielorussa: siamo ancora in una fase assolutamente interlocutoria, tutta tatticistica, in vista del risultato elettorale del Novembre americano.
Solo la Cancelliera, come è spesso avvenuto nella storia dello stato maggiore germanico, confonde la strategia con la fase tattica. Ben più diplomatico e assennato l’Eliseo francese, non a caso. E lo stesso Presidente del Consiglio Conte, per quante critiche gli si possano rivolgere su altri piani, non ha giocato male le sue carte geopolitiche.
L’UE, meraviglioso esperimento di pace, ha bisogno di guerre e continue Rivoluzioni Colorate per la propria sopravvivenza, da Belgrado ‘99 ad Ucraina 2014 gli esempi non mancano: per questo l’élite euro-germanica è gemellata con il clan russofobo e bellicista dei Dem e dei neocons statunitensi e per questo non possiamo considerare Conte un integrazionista euro-germanico.
Quattro anni di sostanziale pacifismo trumpiano, più vicino di quanto si creda alla Presidenza del Consiglio di Roma, hanno non a caso azzerato il peso internazionale della economicistica e mercantilistica UE condannandola a una stato di insipienza politica.
Infine, l’approccio diplomatico del Cremlino, con le fiamme alle porte di casa, può anche sembrare eccessivamente moderato; ma è questa una regolarità e una costante della storia russa. Nei momenti immediatamente precedenti a una probabile, per quanto non ancora certa allo stato attuale, pianificazione di grande aggressione strategica contro la Russia, il Cremlino ha sempre concentrato al massimo le forze al proprio interno evitando inutile dispendio di energie.
L’articolo è anche condivisibile ma sino a ieri.
OGGI X LA PRIMA VOLTA SONO COMPARSE BANDIERE UE E USA