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GEOPOLITICA ED ELEZIONI AMERICANE di Manolo Monereo

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Quattro anni fa avevo predetto la vittoria di Donald Trump su Hillary Clinton. Adesso le cose erano più chiare, forse troppo. L’usura del presidente americano sembrava evidente e i sondaggi prevedevano una netta vittoria per il duo Biden / Harris. Sono rimasto sorpreso dalla coerenza e dalla forza del voto repubblicano. Biden è stato il candidato più votato nella storia degli Stati Uniti; il secondo è stato il candidato Trump. Quello che abbiamo avuto davanti ai nostri occhi è stata un’enorme polarizzazione e una fortissima mobilitazione che è cresciuta di giorno in giorno. Trump è stato sconfitto da una “coalizione negativa”. Il “tutto contro il presidente” ha funzionato. Trump avrebbe perso senza covid-19? Non credo. La pandemia è stata un catalizzatore che ha attivato un’ampia opposizione stanca di tanta retorica, di tanto diniego che ha contrapposto un numero impressionante di morti, contagiati e, soprattutto, che hanno messo a nudo il disastroso, costoso e ingiusto sistema sanitario nordamericano. L’apparato del Partito democratico ha fatto di questo tema il tema centrale della sua campagna; non si sono sbagliati.

Biden vince? Ne dubito. Una coalizione negativa (Donald Trump ne sa molto) è relativamente facile da formare in determinate circostanze. La proposta di Biden / Harris è stata costruita dall’opposizione, intrappolando i profili degli elettori, aggiungendo aspettative sociali e traducendole in voti. Trump, come tanti altri populisti di destra, domina il discorso, la capacità di definire i nemici trasformando in forza sociale coloro che contano poco o che si sentono emarginati dalla politica. La pietra angolare è governare; cioè disegnare strategie, alleanze sociali, gestire la macchina statale e avere una squadra forte che dia fiducia ai cittadini. Trump è stato il suo peggior nemico troppe volte; ha trasmesso messaggi contrastanti e le sue decisioni spesso sono mancate di coerenza. Le memorie di John Bolton mostrano una gestione capricciosa e infondata e un’improvvisazione inappropriata per un leader politico. La polarizzazione che gli ha dato risultati così buoni gli ha impedito di ampliare il consenso; ha aperto tutti i fronti possibili e ha sbagliato su quello fondamentale, la pandemia. Tuttavia, anche così, ha ottenuto quasi la metà dei voti.

Trump è stata la reazione di un Nord America profondo che era stufo del regno di Obama e dei Democratici, che aveva la sensazione che gli Stati Uniti fossero in ritardo di fronte a una Cina, che contestava apertamente la sua egemonia e, ciò che è fondamentale, che si sentiva in l’obbligo di difendere un’identità politico-culturale in pericolo. I dati elettorali ci dicono che queste percezioni sono diventate forti, sono diventate cultura politica e che con o senza Trunp continueranno ad esserci. Con Biden / Harris, l’ala destra del Partito Democratico sale al potere. Di nuovo, come direbbe Nancy Fraser, “neoliberismo progressista” al potere? Certamente. Ci sarà sicuramente il neoliberismo; progressismo nelle grandi dichiarazioni sul femminismo, la crisi climatica e il sostegno alle minoranze. Le sfide sono grandi, le aspettative create sono molte. Il blocco del “no” sommava molte cose, troppe; rivendicazioni vecchie e nuove, bisogni sociali storicamente insoddisfatti, libertà da conquistare e dignità calpestate. All’inizio tutto sarà facile e correrà con l’entusiasmo della vittoria. Molto presto si prenderanno decisioni e si vedrà il vero margine di manovra alla Camera dei Rappresentanti e del Senato, senza dimenticare che siamo in tempi di pandemia e depressione economica, sociale, politica e culturale.

Non è il momento di fare una valutazione di ciò che è stata l’amministrazione Donald Trump con le sue politiche. “America First” era il tentativo di mettere un paese in decomposizione all’offensiva in un mondo che sta dentro una grande transizione geopolitica. La Cina è il nemico, se non da battere, almeno da fermare. Gli Stati Uniti non potevano acconsentire (non hanno mai acconsentito) all’egemonia di una potenza nemica nell’emisfero orientale. In termini militari: ritiro tattico, circoscrizione del fronte e accumulo di forza nel punto decisivo. All’inizio ha provato a fare la “mossa di Kissinger” a rovescio; cioè un’alleanza più o meno esplicita con la Russia contro la Cina. Non è stato possibile. Ha confermato l’enorme capacità della Cina di utilizzare a proprio favore le istituzioni e i trattati multilaterali creati dagli Stati Uniti e, a colpi di martello, l’amministrazione Trump li ha decifrati, se non infrangendoli senza riguardo. Una questione centrale come quello della NATO è stato messa da parte, gli alleati tradizionali sono stati maltrattati nel quadro di una strategia che aveva l’Asia come obiettivo centrale e le sue enormi sfide. È stato doloroso vedere i leader politici europei inseguire un presidente americano che li trattava con arroganza e, a volte, con disprezzo che rasentava l’umiliazione. Troppe mosse, fretta eccessiva e decisioni arbitrarie. Sì, Israele, Israele sempre al comando.

L’altro lato della questione è quello della politica interna, un po’ peggio di quanto ci si aspettasse. Governo al servizio dei ricchi, massicci aiuti alle grandi aziende e difesa intransigente dei più vecchi postulati liberisti. La Federal Reserve che immette massicciamente denaro e il governo che accumula debito. I dati macroeconomici prima della pandemia erano buoni, questo è vero, ma andavano di pari passo con enormi disuguaglianze, bassi salari, carenze strutturali nei servizi pubblici, sfruttamento eccessivo di una forza lavoro segmentata territorialmente, a causa della sua composizione razziale e di genere. La retorica nazionalista e industriale non si è tradotta in politiche concrete e gli appelli al ritorno delle aziende o alla reintroduzione delle catene del valore non hanno trovato molta eco; a proposito, i Democratici hanno proposte simili nel loro programma elettorale.

Stupiscono i peana della democrazia americana e della sua presunta salvezza grazie a Biden. Basterebbe prendere atto del sistema elettorale e dei giochi di strategia delle élite per rendersi conto che quello a stelle e strisce è la quintessenza di un sistema politico plutocratico, centralmente antidemocratico e controllato dalle grandi potenze economiche, oggi per lo più allineate con l’ala destra del Partito Democratico. Lo stupore si trasforma in perplessità quando si ipotizza che la nuova amministrazione sarà positiva per le relazioni internazionali, le istituzioni multilaterali e per la salute del pianeta. Parlare della presunta esemplarità democratica degli Stati Uniti non aiuta a capire un mondo che sta cambiando radicalmente e che lo sta facendo contro la sua egemonia, contro il suo, fino ad ora, indiscutibile dominio; di fronte a un ordine creato a sua immagine e beneficio; né aiuta, paradossalmente, a comprendere la reazione di una parte significativa della popolazione nordamericana che si è mobilitata contro un potere autoritario al servizio di un’oligarchia sempre più ricca e onnipotente.

Cosa aspettarsi dalla nuova amministrazione? Ci sarà sicuramente un riordino delle priorità in cui l’interno e l’internazionale si sovrapporranno a seconda degli interessi del momento. Secondo alcuni media ci troveremmo di fronte a un programma economico e sociale marcatamente di sinistra che significherebbe, in pratica, un cambio totale rispetto alla politica seguita da Trunp. Lo abbiamo già sentito con Clinton e Obama. Occorre necessariamente un cambiamento sostanziale nella lotta al virus, importanti investimenti in sanità pubblica e maggiore attenzione alle enormi disuguaglianze sociali e territoriali, senza dimenticare il tema della disoccupazione che è cresciuto molto con la pandemia.

I cambiamenti, a mio avviso, verranno dalla politica internazionale della nuova amministrazione democratica. In primo luogo, la Cina sarà il nemico da battere, l’avversario sistemico (come lo chiama l’Ue) da contenere e sconfiggere. Per gli USA è una questione esistenziale: non acconsentiranno, ripeto, all’egemonia del vecchio impero nell’emisfero orientale. Parlare di questione esistenziale significa che andranno sul serio e fino alla fine utilizzando tutti i loro enormi mezzi, tutte le loro capacità, combinando hard e soft power, guerre economiche e ibride, cyberspazio e intelligenza artificiale. Senza dimenticare una questione non sempre ben sottolineata, la sua destabilizzante superiorità politico-militare e geostrategica. In secondo luogo, la strategia cambierà. Sarà, per così dire, trilaterale. Gli Stati Uniti sanno che, da soli, non possono vincere questa guerra e hanno bisogno di alleati stabili. Si tratta di costruire un blocco alternativo a Cina-Russia a livello mondiale aggiungendo UE, Gran Bretagna, Australia, Giappone e Corea del Sud. Il presupposto è che, in un modo o nell’altro, gli alleati contino, siano presi in considerazione e incorporati nelle decisioni. È ciò che Donald Trump non ha visto. Il territorio è favorevole e il signor Borrell [politico spagnolo, attuale “alto rappresentante della Ue per gli affari esteri, NdT], disponibile. Inoltre, Pedro Sánchez, sempre un discepolo eccezionale, sta già parlando di costruire uno spazio transatlantico economicamente e politicamente al di là di Berlino e Parigi. La Ue vuole essere un alleato privilegiato in cambio della rinuncia ad essere un soggetto politico autonomo, un attore internazionale con interessi propri e definiti; protagonista di un mondo multipolare in costruzione. L’Unione Europea fa parte di un’alleanza strategica egemonizzata dagli USA, questa è la linea di demarcazione decisiva che segnerà il futuro del nostro Paese.

In terzo luogo la NATO verrà rifondata per l’ennesima volta. Sarà la spina dorsale della strategia politico-militare, ampliando ulteriormente le sue aree di influenza. Viene così definita la cosiddetta Difesa Europea: forza complementare e subordinata alla politica globale della NATO; cioè degli Stati Uniti. Infine, in questa strategia, sarà molto importante la piattaforma ideologica, politico-culturale che legittima il discorso di questa nuova tappa che si sta aprendo. L’obiettivo esplicito sarà ricostruire l’Ordine Liberale Internazionale di fronte alle vecchie politiche di Donald Trump e all’autoritarismo di Cina e Russia. La nuova amministrazione riprenderà vecchi temi e vecchi slogan in nome del multilateralismo, del libero scambio e dei diritti umani. Il confronto sarà sistematico e globale. Vedremo la richiesta di diritti umani in Bielorussia, a Hong Kong, in Cina, in Russia. Parallelamente, il ritorno agli accordi di Parigi, l’OMS e, con riserva, la rinegoziazione degli accordi con l’Iran.

Prima ho parlato di Nancy Fraser. Come è noto, lei ha difeso un populismo progressista contro il populismo reazionario di Donald Trump. Questo non è quello che ha vinto negli Stati Uniti. Biden / Harris rappresenta quello che il noto politologo americano chiamava “neoliberismo progressista”. È difficile che il termine “nuovo consenso transatlantico” sia questo. Arriverà un “liberalismo progressista” che esprimerà una nuova sintesi e che permetterà di rompere con la tradizione della sinistra europea. In mezzo, una crisi geopolitica di enormi dimensioni, una pandemia che si trasforma in depressione economica, sociale e psichica e una società che vive tra paura e risentimento. Vedremo presto chi vincerà.

* Traduzione a cura della Redazione

4 pensieri su “GEOPOLITICA ED ELEZIONI AMERICANE di Manolo Monereo”

  1. Cittadino dice:

    Dice di non voler “fare una valutazione di ciò che è stata l’amministrazione Donald Trump” però descrive i suoi avantidrè, che ovviamente ci sono stati, ma attribuendoli alla poca capacità di Trump o alla sua umoralità (che luoghi comuni), quando in realtà sono dovuti all’aspro scontro interno all’oligarchia dalla quale non riescono a venir fuori. Stessa cosa infatti sembra avvenire con la brexit quindi l’umoralità e l’incapacità di Trump c’entrano come i cavoli a merenda. Cosa intenda per errori nella gestione del covid non lo specifica neppure. Non una parola sugli evidenti brogli che ci sono stati perché il vecchio establishment è disperatamente disposto a tutto pur di non cedere il potere al nuovo establishment che glielo contende.

    Però si vanta di aver previsto la sua elezione quattro anni fa, quando in realtà l’elezione è avvenuta per il rotto della cuffia e nessuno poteva prevederla. Si poteva solo prevedere che Trump stava aggregando attorno a sé vaste sacche del malcontento creato dalla crisi, ma questo lo avevano previsto tutti mica solo Monereo. Ma se fai una profezia hai comunque in 50% di possibilità di prenderci, se ti va male non se ne ricorda nessuno se ti va bene te ne puoi vantare a vita.
    Ci dice che ora la situazione è più chiara (bontà sua, a me non pare) però è stupito perché si aspettava una usura del presidente americano che non c’è stata, perché ha creduto ai sondaggi (manipolati da sempre). La situazione sarà pure più chiara però guarda che strano lui stavolta ha sbagliato la profezia.

    Insomma mi sembra un articolo molto superficiale perché non guarda i veri punti critici della situazione limitandosi a ripetere dei luoghi comuni, e con poco stile visto si vanta di capacità predittive che mi pare non ci siano se non in qualche fortuita coincidenza e nei suoi giri di parole.

    Giovanni

  2. Francesco dice:

    I giornalisti/analisti che definiscono Biden e il clan dei clintoniani_obamiani “politici di sinistra” o addirittura “socialisti” o sono dotati di molta molta molta fantasia (…ma davvero MOLTA)… oppure, molto più probabilmente, sono in grossissima MALA FEDE: appiccicano quella etichetta ai liberisti americani paladini dei diritti civili, della globalizzazione e delle guerre “umanitarie” per poi fare la stessa cosa con i “democratici” italiani che sono al governo e che perseguono le stesse politiche economiche e sociali. In questo modo anche Conte, Mattarella e tutta la loro combriccola diventeranno magicamente “socialisti” e il loro operato non potrà più essere considerato “antipopolare”.

    Francesco F.
    Manduria (Ta)

  3. Piero dice:

    Monereo fa una analisi di ” a volo d’uccello” partendo dalle elezioni e rilevando i punti di forza e debolezza dei due schieramenti, io preferisco chiamarle fazioni, che si contendono il potere. Gli interventi che precedono criticano l’analista perché l’analisi non coincide con il loro punto di vista. Scendono sul terreno e, bontà loro, si schierano con Trump. Personalmente non riesco a schierarmi, comunque si tratta pur sempre del presidente dello stato canaglia che utilizza la forza militare per piegare il mondo ai propri interessi. Biden lo vuol fare in un modo, Trump in modo leggermente diverso, tutti e due in modo egemonico. Non esiste un imperialismo migliore. Il meno peggio è l’anticamera del peggio.

  4. RobertoG dice:

    Un altro che dà per scontata l’elezione di Biden. Ci sono milioni di voti postali contestati sui quali dovranno pronunciarsi i tribunali, probabilmente addirittura la Corte Suprema. L’articolo andava bene per i lettori del Corriere o di Repubblica.

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