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LA QUESTIONE CINESE di Umberto Bianchi

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Al giorno d’oggi, in tempi di normalità, in giro, se ne sentono dire tante. Analisi ed opinioni di tutti i tipi bombardano  l’opinione pubblica in modo inverecondo, finendo con il perdere di sostanza e credibilità. Ci sono analisi però che, ad oggi, in circostanze di (pseudo) pandemia, finiscono con l’assumere la valenza di una paradossale beffa. E’ il caso di quanto, qua e là, si sente dire e profferire a proposito della Cina .

Salito agli onori della cronaca con il caso Wuhan ed il Covid, il gigante cinese è fatto oggetto di uno strano e contraddittorio atteggiamento da parte della nostra opinione pubblica. Da una parte, la buonistica condanna delle malefatte cinesi in materia di diritti umani, fa coppia con un quanto mai ottuso ed avido atteggiamento, di apprezzamento ed interesse per le “performances” dell’economia cinese.

Dall’altro, invece, vi sono taluni settori diciamo così, più “idealisti” che vedono, tuttora, nel gigante cinese l’alfiere di un nuovo modello di socialismo ed una valido contraltare all’imperialismo statunitense. E questo, da parte sia di ambienti espressione dei vecchi rimasugli di quella che fu la sinistra antagonista che, (a qualcuno potrà può parer strano ma è vero…sic!) ad altrettanti “superstiti” della cosiddetta “estrema destra”. Se a “ sinistra”, c’è chi si spinge a conferire all’attuale governo cinese, un’impostazione ideologica “gramsciana” e confuciana, di contro a quella taoista della precedente leadership maoista, da parte di talune individualità di “destra”, invece, si esalta e sottolinea una presunta funzione anti imperialista della Cina.

A onor del vero, va detto che quello cinese fu un modello di marxismo originale, sicuramente imbevuto di quel Taoismo che faceva delle masse un protagonista allo stesso tempo, mobile e compatto, in grado di auto rinnovarsi di continuo (vedi la Rivoluzione culturale…) in continua osmosi con il suo Grande interprete e Timoniere, rappresentato dalla carismatica figura di Mao Tze Tung. Ora se, quello maoista, con tutti i suoi pregi e le sue pecche, rappresentò, nel bene o nel male, un modello di socialismo, altrettanto non si può dire con quanto verificatosi, a partire dalla “gestione” di un Deng Hsiao Ping.

Da quel momento in poi, il “modello cinese” ha subito una irreversibile mutazione, tutta in direzione di uno sfrenato iper liberismo, coniugato ad una attualizzata versione dell’autoritarismo assolutista mandarino, ora più elegantemente definita “neopaternalismo”. Questo, in omaggio ad una tendenza progressivamente affematasi nel contesto geo politico delle cosiddette “ Tigri del Sud Est Asiatico”, a partire da realtà come Singapore, Malaysia, Taiwan e via discorrendo. Un modello, quello neopaternalista cinese, caratterizzato da stridenti contrasti socio economici: accanto alla crescita impetuosa di centri come Pechino, Shangai o Wuhan, presenta vaste sacche di miseria ed arretratezza, per lo più localizzate nel pianeta-campagne ed in una miriade di piccoli centri.

Una realtà troppo spesso fatta di lavori sotto pagati e di esistenze condotte al limite della sussistenza. La massiccia produzione industriale cinese, è, per lo più costituita da catene di lavoratori iper sfruttati e sotto pagati, i manufatti sono di pessima qualità e grazie ai vari accordi-cappio sul commercio globale (WTO…), finiscono con l’inondare i mercati mondiali, con prodotti a buon mercato, ma di qualità assolutamente scadente. Inoltre, non solo con i propri fondi sovrani, ma anche tramite una aggressiva e rampante oligarchia liberista, la Cina, senza farsi troppi scrupoli, giuoca il domino dei mercati finanziari internazionali.

Con la stessa mancanza di scrupoli, la Cina ha permesso l’insediamento sul proprio territorio del famigerato laboratorio di ricerca di Wuhan, da cui è partita l’intero “affaire” pandemico, sovvenzionato dall’Oms, ma anche da varie entità private, dietro cui si cela la “longa manu” di Bill Gates e della sua “filantropica” fondazione.  Ora, cosa in tutto questo, si possa ravvisare di marxista o financo di minimamente  socialista o, come qualcuno ha ritenuto, di “gramsciano”, è tutto da dimostrare. L’iconografia, i pugni chiusi, le bandiere rosse,sono solo il lontano retaggio di un modello oramai superato, perchè di “sua sponte”, tramutatosi in una burocratica dittatura iperliberista.

Del vecchio stato maoista permane la struttura ed una certa impostazione stalinista, volta allo schiacciamento ed all’uniformamento di qualsiasi nota non conforme ma, come abbiamo già detto, considerati tutta una serie di elementi, questo fatto non costituisce, di per sé, un elemento che ci possa giuocoforza far ravvisare, una prassi socialista. La Cina non è più quella di Mao, né quella di Bandung e della costituzione del Blocco dei Paesi Non Allineati, ma solamente, un nuovo e, questo sì, formidabile strumento nelle mani del capitalismo globale.

I contrasti con gli Usa si giuocano sul controllo delle grandi rotte commerciali del Pacifico e dell’Asia Centrale, sino allo sbocco sugli appetibili mercati occidentali. Assieme al Giappone, la Cina, ad oggi, è una delle grandi detentrici del circolante in dollari nel mondo ed altresì dei titoli del debito pubblico Usa. Una posizione di indubbio vantaggio, ma che presenta anche degli indubbi rischi, rappresentati da una repentina tentazione di insolvenza, ma anche dal fatto che, ad oggi, gli Usa rimangono gli unici ed incontrastati produttori ed esportatori di valuta al mondo. Con tutto quello che ciò comporta.

Oltretutto, se sinora, i grandi centri decisionali del capitalismo globale avevano cominciato, sempre più, a puntare sulla Cina, quale nuova mecca per gli investimenti, ora, dopo l’affaire Covid e nonostante la sua ripresa economica, le quotazioni del gigante asiatico, sono sempre più destinate ad andare incontro ad una significativa contrazione. Come accaduto per l’Unione Sovietica all’indomani dell’episodio di Chernobyl, lo strapotere della Cina potrebbe avere le ore contate.

“Potrebbe” dico, perché, ad oggi, quello cinese ha dimostrato di essere un efficientissimo ed ipertecnologico modello di coazione e controllo sociale, in grado di far da battistrada e laboratorio sociale all’instaurazione di quello status quo, di quel resettaggio post Covid, di cui tanto si parla e che si traduce nell’instaurazione di una dittatura globale, così come nei desiderata delle oligarchie globaliste e dei loro lacchè. E tutto questo, con buona pace di coloro che, illusoriamente, ravvisano nell’attuale Cina, una qualsivoglia forma o parvenza di socialismo.

6 pensieri su “LA QUESTIONE CINESE di Umberto Bianchi”

  1. alessandro+chiavacci dice:

    Menomale qualcuno è ancora lucido. Però ora basta con i cazzari filocinesi, eh…?

  2. Cittadino dice:

    Esatto. Potremmo dire, usando un anglicismo (li detesto pure io ma un eccezione talvolta non guasta) per ora di moda che la Cina è CINO: communism in name only.

    Giovanni

  3. Con Stalin dice:

    Iperliberista la Cina?

    ma ha bevuto l’autore!!!!

  4. Stalin Mao Ho Chi Min dice:

    Il solito trockismo sotto mentite spoglie.

  5. Graziano+PRIOTTO dice:

    In sintesi: la Cina è tanto socialista quanto l’UE è democratica !.
    Resta però il fatto che non essendo socialista nemmeno la Federazione Russa, almeno dal punto di vista dello sviluppo economico e pur con tutte le evidenti disparità di reddito, la Cina si presenta meglio: esistono sí sfruttamento e repressioni, ma la Cina non ha un esercito di disoccupati o sottoccupati come gli altri Paesi. Nonostante i limiti evidenti del modello, in due decenni la Cina ha superato gli USA economicamente e si è posizionata strategicamente in tutti i continenti con investimenti e acquisizioni, Svizzera e Germania comprese, quindi anche laddove sono fortissime le resistenze contro l’ingresso di capitale straniero e quindi di potere decisionale nei consigli di amministrazione delle grandi imprese .
    La Cina non è certamente un modello da seguire, ma nemmeno da demolire o unicamente demonizzare. Ad onor del vero ce ne sono altri modelli economici che meritano ben prima di implodere per le loro contradizioni interne. In quanto alla possibilità di modificare in senso socialista il modello cinese, attualmente tutto sembra tuttavia dimostraare che la marcia va in senso opposto.

  6. Fabrizio dice:

    Articolo di scarsissimo acume tattico. Poniamo che l’Italia esca unilateralmente dall’euro, la cosa non sarà indolore, in quanto il potere finanziario nostrano non mollerà l’osso facilmente facendoci precipitare in una forma di guerra civile. Il nuovo governo popolare di liberazione nazionale che casomai si formerà con chi cercherà l’interlocuzione sul piano internazionale? Con l’imperialismo americano come vorrebbe Paragone? O con i paesi dell’area mediterranea che stanno più inguaiati di noi? E’ inutile rigirare la solita solfa sulla degenerazione burocratica o sul capitalismo burocratico di stato (vi parla uno di formazione trotskista), ma bisogna cercare alleati contro l’imperialismo americano e la Cina è l’unica potenza che potrebbe darci una mano. O vogliamo cadere in un corporativismo autarchico questo si foriero di una nuova casta burocratica?
    Invito pertanto l’autore di questo articolo ad approfondire criticamente alcune analisi di Losurdo e a rileggersi Bettheleim che mi pare il pensatore più lucido in merito allo studio delle società post-rivoluzionarie

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